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Chiudi gli occhi, Nina – Paolo Mascheri

5 min read

Edizioni Clichy (Firenze, 2024)

pag. 208

euro 19,50.

Il dono della scrittura è una dote che pochi e poche hanno. Come si fa a capire chi la possiede?

“Mia moglie è morta un mese fa.

Sono stato io il primo a trovarla già cadavere e sono l’unico a sapere che la sua non è stata una morte naturale”.

Questo è un incipit. L’apertura perfetta che presenta un autore talentuoso.

“Mentre me ne vado a bordo del mio pick-up, vedo questa casa come un grande albero con un’enorme chioma ma con poche radici. Io e Nina a sfidare i giorni a venire sotto le fronde e i rami incerti. Superstiti. Ecco cosa siamo l’uno per l’altra, io e lei. E ricordandosi sempre a vicenda la tragedia vissuta, come possono due superstiti essere felici assieme?”.

“Riconosco i nomi incisi sulle lapidi vicine, volumi impilati su una libreria di calcestruzzo”.

“Lentamente superiamo una fabbrica dismessa, la teoria di autosaloni e il centro fiere con le sue promesse di fortune e affari. Nella bolla di calore della città, la nebbia di dissipa man mano che risaliamo la tangenziale verso est”.

Paolo Mascheri, come è facile intuire poi da questi periodi estratti dal suo nuovo romanzo “Chiudi gli occhi, Nina” (Clichy), è capace di usare la lingua per portare subitaneamente lettrice o lettore dentro la trama. Dunque facendo paesaggio con il paesaggio: dove persona-protagonisti e sentimenti, luoghi e oggetti/soggetto della vicenda che si sviluppa sono portati a nostra conoscenza con lampi di termini e frasi che ci piacerà vedere e sentire più di una volta.

Per questa ragione, per dire, aspettavamo il nuovo romanzo di Mascheri. Che ancora in testa abbiamo la vita di “L’albero delle farfalle” (Pequod), dentro il quale, su tutto, una madre ed un figlio sono chiamati, come si deve dire, a rispondere ad un interrogativo di quelli da scatola delle meraviglie. Un poco come in questo romanzo, insomma, proprio lì, le marionette erano costruite, create e messe in moto per reagire ad un’accidente della vita. Nel mentre una comunicazione deve essere mantenuta.

Questa volta, comunque, con questi due “superstiti”, la questione è ancora più complessa.

“In attesa di un conforto che non arriva forzo la vista nel buio fino a sentire gli occhi bruciare. Senza perdere sonno, resto rigido nella mia porzione di letto.

In guerra con i vivi e con i forti:”

Queste sono le proposizioni che presentano la psicologia devastata del protagonista del romanzo, giardiniere per recuperare qualche soldo ma che, soprattutto, devoto a fiori e piante, questo Andrea è ‘improvvisamente’ costretto ad essere e non essere padre e madre di, appunto, l’adolescente Nina; figlia di sua moglie da poco scomparsa, la ragazzina deve crescere mentre l’uomo deve resistere. Ed ecco il primo, il più importante degli spunti narrativi, che alimenterà il discorso di questo sublime testo di Paolo Mascheri.

Nelle pagine, come in mostra su belle scansie, Mascheri mette delle scene risolutive. Alcune, per dire, riguardano direttamente la sorella di sua moglie. Una, su tutte, ancora, ci piace perché in due parole racconta l’immagine di qualcosa che sembra ma non è e che è ma non sembra: Andrea e il padre dell’amichetta di Nina parlano, con il secondo che pensa ad una affratellamento per via delle storie simili di entrambi: mentre Andrea si sente profondamente diverso e altro da quest’uomo…

Abbiamo la tentazione di riportare altri passaggi narrativi di alcuni capitoli. Ma perché la misura, la precisione, il lirismo senza poeticismo con i quali Mascheri racconta le conseguenze di un abbandono sono devastanti quanto devastata al momento e la mente di Andrea. Ché la presenza di Chiara, la moglie scomparsa, con tutto il carico della personalità che aveva, presa da problemi e certezze, si fa schiacciante eppure naturale.

Mascheri è un grande scrittore anche per il suo carattere intransigente. Intransigenza che ci fa risolvere il rischio della subordinazione al manicheismo. Noi abbiamo pietà di noi stessi? Oppure, sappiamo almeno guardarci e provare un poco a capirci? Sono le domande conseguenti.

Fra le altre cose, c’è il fatto, semplice e determinante, che Mascheri in questa opera usa la prima persona.

“Arroccata nella sua separatezza, non riesco a provare pietà per lei. Per provarne, per sentire un filo di compassione devo ritornare alla vergogna della sera passata, al mio gridare non sono la tua mamma!, e alla sua reazione. Per provare pietà nei confronti di quest’orfana, devo vergognarmi di me stesso, dunque?”.

Nei capitoli che scorrono troveremo un romanzo che è vero. Pieno di dubbi. E che questa ragione di vita propone; dall’inizio alla fine. La verità in fondo è una stanza con le finestre aperte alle certezze, dalle quali queste entrano. Ma il più delle volte, escono.

La storia è questa. Soprattutto questa:

“La luce di un lampione proietta le nostre ombre sull’asfalto di fronte. Né padre né figlia. Né patrigno né figliastra. Due creature. Due creature umane legate da un cordone di odio e di invidia”.

E in prima persona ora proprio dico che piango.

 

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