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Intervista con Marco Parente

11 min read


LIFE”
IL NUOVO ALBUM

Dal 23 ottobre è disponibile su tutte le piattaforme di streaming e in formato CD negli stores “LIFE” (Blackcandy Produzioni), il nuovo album di MARCO PARENTE.

A distanza di sette anni dalla pubblicazione del precedente lavoro discografico dal titolo “Suite Love”, MARCO PARENTE torna con un nuovo album: “LIFE”, come “vita”. Quella delle persone che vivono e vanno avanti tutti i giorni, nonostante il sentore di assurdo e irrisolto che ronza nelle loro orecchie, quelle che si sono abituate a tutto pur di esperire ogni cosa, dal dolore al piacere, dalle montagne russe dei sentimenti alla ruota del destino quotidiano. Ci si abitua a tutto questo e tanto altro, pur di non mollare e restare sulla giostra. Il nuovo progetto discografico full length di MARCO PARENTE, attraverso i dieci brani che lo compongono, parla di questo.

Spiega l’autore a proposito del nuovo album«L’unica finalità di questo disco è se stesso! Le dieci canzoni che lo compongono sono come oggetti galleggianti e, anche se ne conosco e ne ho curato ogni singola molecola, non saprei raccontarne più la provenienza. So solo che stanno a galla nonostante le forti correnti, il sole a picco, le navi alla deriva e le acrobazie dei delfini. Loro galleggiano, con una certa consapevolezza. Tutto qui».

Di seguito la tracklist di “LIFE”: “Nella giungla”, “Vita”, “Lo spazio tra i personaggi”, “Ok panico!”, “Avventura molecolare”, “In mezzo al buio”, “Ma quand’è che si ricomincia da capo?”, “Il gusto della via”, “Mai solo”, “Bar 90”.

Biografia

Marco Parente nasce il 28 luglio 1969, lo stesso giorno di Duchamp. Comincia la sua carriera come batterista, prestando i suoi colpi tra gli altri ad Andrea Chimenti e i C.S.I. Nel 1996 avvia il suo percorso da solista, sviluppatosi in un coraggioso viaggio lungo dischi che hanno segnato la storia dell’anti-cantautorato italiano: dall’esordio Eppur non basta – con la partecipazione di ospiti del calibro di Carmen Consoli, ristampato di recente in occasione del suo 20ennale – agli innovativi Testa, dì cuore (contenente un duetto con Cristina Donà) e Trasparente (prodotto da Manuel Agnelli degli Afterhours e impreziosito da un pezzo, Farfalla pensante, interpretato anche da Patty Pravo), dagli speculari Neve ridens alla La riproduzione dei fiori e non meno importante la suite ‘Suite Love’, fino ad arrivare al ‘Disco Pubblico’, spartiacque definitivo sulla modalità di pubblicazione e fruizione. Tra i molti apprezzamenti dai colleghi si becca quello di David Byrne. Molti i progetti paralleli, il disco dei Betti Barsantini con Alessandro Fiori fino all’ultimissimo ‘Lettere al mondo’ con l’amico Paolo Benvegnù, spettacoli teatrali (Il Diavolaccio, Il rumore dei libri), parole in dialogo con il suono della poesia (anche al fianco di pesi massimi quali Ferlinghetti e Jodorowsky) quelle de ‘I Passi Della Cometa’ partitura/performance su Dino Campana, pubblicato di recente insieme al ‘Disco metraggio’ American Buffet, entrambi sotto la trilogia  POE3 IS NOT DEAD, che si concluderà con il nuovo disco di inediti in studio “LIFE”, in uscita ad ottobre 2020 per l’etichetta fiorentina BlackCandy Produzioni. 

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Intervista

Davide

Ciao Marco. Sono passati sette anni dal tuo ultimo lavoro discografico, “Suite Love”. A parte altri progetti, come sei tornato a un tuo disco, partendo da quali idee o pensieri o esperienze dominanti? 

Marco

Dopo Suite Love mi son trovato a riflettere sul senso di pubblicare dischi oggi, non interrompendo comunque il lavoro quotidiano e l’abitudine a scrivere canzoni. Avevo la sensazione, e ce l’ho tuttora, che la macchina produttiva fosse obsoleta e inadeguata rispetto alla velocità del  modo di fruire e usufruire della musica, negli ultimi anni (giusto o sbagliato che sia).
Così è nato l’esperimento Disco Pubblico: un disco che girava solo nel momento in cui lo suonavo (con una band) dal vivo, con la precisa richiesta e autorizzazione al pubblico di registrarlo con le loro ‘protesi digitali’, cioè lo smartphone. Naturalmente siamo in Italia, peggior paese per fare esperimenti. Chiusa la parentesi disco pubblico rimanevano le canzoni, canzoni a cui tenevo molto.
A quel punto ho azzerato tutto, mi son chiuso in casa e da solo ho iniziato a suonare, arrangiare e anche registrare quelle canzoni. Mi sono molto divertito senza dover rendere conto di niente a nessuno, neanche quando sono passato in studio per i mix, non mollavo fino a che non ero completamente convinto del risultato. È stato come tornare ai sussulti dei provini del mio primo disco.
Stessa freschezza, con in più solo un po’ di consapevolezza data dall’esperienza. Detta così sembra esser stata una passeggiata, ma in realtà mi sono sfinito 🙂

Davide

C’è qualche filo che avevi interrotto con “Suite Love” o con altri tuoi lavori o progetti paralleli (a cominciare dalla trilogia POE3 IS NOT DEAD a cui appartiene anche “Life”), quindi ripreso o completato in “Life”?

Marco 

Mmmmm, no non credo, nemmeno per disco pubblico, pur essendo le stesse canzoni (a parte Ok panico!). Tendo a dare un punto e a capo ai miei lavori, o almeno lo spero. 

Davide

Su quale sia il senso della vita ci possiamo interrogare all’infinito, ma di sicuro la parola inglese “LIFE” sappiamo che origina da una parola indoeuropea, “lip”, divenuta poi “lif” quando fu adottata nella lingua inglese, e che significava “rimanere, perseverare, continuare”. Cosa significa invece per te “LIFE” a titolo del tuo disco?

Marco

Non conoscevo le origini  e i significati della parola Life, se l’avessi sapute prima le avrei di sicuro usate per il comunicato stampa 🙂 rimanere, perseverare, continuare… perfette! Aggiungerei solo ‘sbagliare’.
LIFE è una parola sufficientemente vaga e universale da poter racchiudere tutto quello che ognuno ci vuol vedere dentro… ed è sempre giusto, anche se non combacia con la mia idea originale 

Davide

Chi ha suonato con te e che tipo di apporto cerchi dagli altri? In quale punto intermedio ti poni tra il lasciare carta bianca e la scrittura di ogni parte? Quando un pezzo ti soddisfa nel suo arrangiamento?

Marco

Non sapendo scrivere la musica, dipende molto dal musicista e da quale l’idea da cui si parte per l’arrangiamento. Di base mi comporto come il regista di una improvvisazione, massima libertà all’istinto fino a che non sento qualcosa che mi piace, poi cucio il tutto.
Altra cosa se si tratta di duettare, lì gli equilibri cambiano, prima di tutto perché vedo il partner come completamento della canzone, come anello mancante, ovvero quel luogo dove sento di non saper arrivare da solo.
LIFE invece fa storia a sé: al 95% ho suonato e arrangiato tutto da solo, l’altro 5% sono degli special guest favolosi (Enrico Gabrielli che ha scritto il quartetto,  Marco Lazzeri per le orchestrazioni, Michele Staino al contrabbasso e Andrea Beninati al violoncello)
Poi naturalmente c’è Paolo Favati, il produttore che mi ha affiancato. 

Davide

Un tempo il quartetto d’archi piaceva ai sostenitori della musica pura, sinonimo di contemplazione delle forme musicali per ciò che sono in opposizione a un ascolto guidato invece da un programma poetico. Perché hai scelto un arrangiamento di solo quartetto d’archi per “Lo spazio tra i personaggi”?

Marco

Credo per il testo, l’ho sempre trovato una sorta di  moderno quadretto Shakespeariano. Dunque il quartetto d’archi si prestava perfettamente come sfondo teatrale.  All’inizio aveva tutt’altro arrangiamento, molto pop, alla XTC, poi quando ho pensato al quartetto d’archi ho dato come riferimento esplicito, al Gabrielli, quello di Eleanor Rigby. Non capisco perché ancora nessuno lo abbia rilevato.

Davide

Un album che suona complessivamente tranquillo, ricco ma in modo sommesso e soffuso di calde penombre e di vuoti e possibili silenzi, che porge rilassato parole da ascoltare e su cui riflettere. Come volevi che suonasse questo disco, fin dalla scelta della strumentazione, e perché?

Marco

Volevo suonasse come quei dischi con cui mi sono formato, dove il dettaglio è invisibile ma sostanziale, proprio come in un mosaico. Dove le tecnologie del momento si usano e non si subiscono. In una definizione: il gioco della musica, l’aspetto ludico che ha tempi tutti suoi, soprattutto che esula dalle geografie temporali, che tanto piacciono alla storia stampata.
Ma per fare questo bisogna darsi del tempo, cosa che ho fatto in questi ultimi 3 anni, pur non potendomelo permettere. Fare un disco oggi vuol dire prima di tutto difenderlo

Davide

La musica in Italia è da tempo in crisi e diviene sempre più difficile viverci anche per i professionisti. Quest’anno poi… Hai critiche per la situazione attuale e suggerimenti costruttivi per il futuro?

Marco

Critiche tante ma trascurabili, suggerimenti uno solo: lasciamo in pace la parola Cultura. Usiamo ‘intrattenimento’, quello delle anime in pena che siamo noi ‘artisti’ e del pubblico che inspiegabilmente ci segue 🙂

Davide

Tra i tuoi ultimi lavori c’è il soundwalking “I passi della cometa”, un cammino creativo e performance tra concerto e reading dedicato al poeta (e grande camminatore) Dino Campana. Perché Dino Campana, al di là del luogo comune del “genio matto” e della sua opposizione radicale   alle istituzioni letterarie?

Marco 

Perché poeti ‘si nasce… e modestamente Campana lo naque’. I passi della cometa nasce 3 anni fa come performance su commissione per festeggiare l’anniversario della nascita del poeta, ma quasi subito (proprio per la mia allergia alle onoreficenze) diventa partitura musicale e originale sul paesaggio sonoro, ritmo e musica nella poesia di Campana, il quale non era affatto matto, almeno non quando componeva versi: modernissimi e allo stesso tempo primordiali. 

Davide

American Buffet (per il quale hai rispolverato un vecchio moniker o alter-ego, quello di Buly Pank)… Un disco o “discometraggio” realizzato, come hai scritto, “…pensando all’America, questo grande Film dove abbuffarsi, masticare bene ed infine risputare tutto in (lingua) finto-americano. In fondo ci hanno colonizzato l’inconscio, allora perchè non giocarci a “Cortocircuiti culturali” e a “Grande truffa rock’n’roll”?…” Nel bene o nel male, tutti abbiamo sentito il fascino degli States fin da bambini (credo tutti incondizionatamente nell’infanzia), ma crescendo i sentimenti verso l’America sono stati sempre più complessi e fluttuanti tra l’amore e l’odio. Cos’era per te l’America venti o trenta o più anni fa, cosa è per te oggi? 

Marco

È proprio questo passaggio continuo tra verità e finzione. L’America è un film infinito sempre in bilico tra la libertà del sogno e la crudeltà del documentario.
E American Buffet ne è il cortocircuito coloniale in formato audio video.
Mentra dal punto di vista antropologico è tutta una questione evoluzionistica, e Darwin in questo senso li classificherebbe di sicuro come specie ancora giovane 🙂 non per questo meno invasiva e pericolosa, aggiungo io.
Trump docet.

Davide

Magari è solo una mia impressione… Quest’anno, causa la pandemia di Covid-19, sembra quasi che sia stato cancellato ogni dubbio e ogni pensiero sfumato (e con esso la possibilità di esprimere opinioni personali senza essere attaccati, giudicati come idioti, magari anche “odiati”, specialmente nella giungla dei social) tra posizioni manicheiste, rigide, intransigenti, tutto 1 o tutto 0, “accettazionista” o negazionista e avanti. Allo stesso modo si sono evidenziate soprattutto le persone che hanno dato il proprio meglio oppure il proprio peggio, mentre (forse) le persone che si muovono ancora tra gradi e “colori” diversi tra il tutto bianco o tutto nero, preferiscono forse ritirarsi e sparire temporaneamente (per intelligenza? Per timore?) e aspettare silenziosamente o timidamente che tutto passi e torni dicibile e ascoltabile, esprimibile quanto meno. Questo terreno integralista è letale per tutto ciò che è cultura, arte, poesia… e non solo. Tu cosa ne pensi? 

Marco

In questi giorni mi è capitato di sentire un discorso interessante da parte della virologa Ilaria Capua, che parlava appunto della situazione che stiamo vivendo come una zona grigia, né bianca né nera. Non avevo capito fino in fondo cosa volesse dire, fino a quando non ho letto la tua domanda.
Tutto ciò che è poesia soprattutto, per me è sempre al limite delle convenzioni, si muove sempre su quel bordo Deleuziano che entra ed esce dalla realtà. Questo è il lusso e il limite del bordo, il grigio. Ma la cultura secondo me vive ai margini del visibile ben prima del Covid-19, questa pandemia non ha fatto altro che portare allo scoperto la sua attuale e totale inconsistenza.

Davide

La funzione della musica, della canzone e della poesia cambiano in relazione ai tempi e ai luoghi, alle culture. Quale soprattutto, secondo te, ha da essere quella del 2020 in Italia?

Marco

La musica, l’arte in generale non credo debbano avere una funzione sociale o civile. Al contrario credo che ciò che succede nel mondo ha sempre un’influenza sull’arte, la musica e il loro processo creativo. L’arte non ha una funzione, è una disfunzione.

Davide

In “Bar 90” (un nome che a me personalmente evoca una di quelle tante attività, specialmente periferiche, sorte in occasione dei mondiali di calcio di Italia ’90 e che oggi, quelle poche sopravvissute, mi suscitano insieme nostalgia e tenerezza) citi Pasolini e il Rinascimento. Verso un nuovo Umanesimo, un nuovo Rinascimento ma solo se disposti a mettere tutto di noi stessi fino alla fine, intelletto e cuore, corpo e anima?

Marco

Pasolini in bar90 rappresenta la contraddizione, il Rinascimento la visione del caos.
Non c’è  nuovo umanesimo, c’è solo l’assurdità della vita alla quale nessuno di noi è disposto a rinunciare. Tutto qui.
E bar 90 in questi anni è stato il mio osservatorio privilegiato.
Ps: bar 90 è esistito davvero fino a 1 anno fa nel mio quartiere… ora ha cambiato nome

Davide

Cosa seguirà?

Marco

Non ne ho la più pallida idea, forse prenderò finalmente la patente 🙂
O lezioni di flamenco

Davide

Grazie e à suivre…

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