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Noi la farem vendetta – Paolo Nori

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Allora, vendetta, quando uno vi fa qualche cosa che vi fa molto male, ma molto, voi vedrete la prima reazione lo vorreste punire, però il problema che si presenta come lo volete punire, lo volete ammazzare? Gli volete sparare? Lo volete massacrare? Gli volete spaccare le gambe? Gli volete dare un fracco di botte? Lo volete esiliare? Qual è la punizione migliore? vi chiederete te e i tuoi coetanei tra poco quando sarete di fronte al problema. Ecco, io lo so, qual è la punizione migliore, mi sembra. La punizione migliore è guardarlo e pensare La tua punizione, è essere quello che sei. Hai capito? le ho chiesto all’Irma.

 

Dopo alla fine

Dopo alla fine se l’Irma aveva capito o non aveva capito io non lo so, non ha detto niente. Non ho neanche insistito di chiedere Allora, hai capito?, l’ho presa su dal passeggino, l’ho messa a sedere sull’altalena, le ho stretto le mani intorno alle corde Tienti soda, le ho detto, e ho spinto.

 

Leggo e rileggo i paragrafi meravigliosi che compongono Noi la farem vendetta. Un paragrafo al giorno, o anche più, a seconda di come mi sento e di ciò di cui ho bisogno. Dopo la prima lettura totale, e dopo lo studio successivo alla prima lettura, so che il romanzo non è affatto esaurito, e che Noi la farem vendetta meriti altra attenzione, poiché può sempre regalarmi qualcosa di nuovo. Primo. Voglio leggere tutti i libri di Paolo Nori, quelli che hanno per protagonista Learco Ferrari, quelli che non ce l’hanno, le traduzioni dei grandi autori come Puskin, gli articoli apparsi sui giornali, quelli conservati sul sito della Feltrinelli. Secondo. Voglio che tutti leggano, per primo, Noi la farem vendetta, e poi, indietreggiando, tutti gli altri libri. E poi voglio che ne parliamo insieme, e che ci riveliamo l’un l’altro quelle preziosità delle quali, a prima vista, magari non ci siamo accorti, e sulle quali uno sguardo amico può illuminarci. Noi la farem vendetta ha sortito su di me lo stesso effetto che mi fece La storia infinita, quando la lessi, diciotto anni fa, la prima volta. Quel bellissimo libro di Ende, con il mitico Atreiu in corsa per le sconfinate vallate di Fantasia, il drago buono, il bambino timido, Sebastian, che si porta una mela su in soffitta, e il libro, e mangia il frutto a piccoli morsi perché “chissà per quanto mi dovrà bastare”, quella meravigliosa storia infinita mi crebbe dentro e, soprattutto, si rivelò infinita davvero. Era come uno scrigno magico, la storia si apriva sulla storia, sulla storia, sulla storia, e poi su di me, che mi spalancavo esterrefatta sopra i campi di Atreiu, e le mele, e le soffitte, mentre le stelle di Fantasia collassavano sopra il mio corpo.

Così Noi la farem vendetta.

Mi sembra sempre mi regali nuovi significati e spunti, stimoli di ricerca e di vita, come una spirale, appunto, che, arrivata all’epicentro si rivolti e ci costringa a ripercorrere tutto il viaggio al contrario. E, tornando indietro, scopriamo che il percorso è diverso, affatto simile a quello dell’andata.

Perciò voglio che leggiamo tutti quanti questo libro, e che poi ci mettiamo a discuterne, e potremmo andare avanti per anni, secondo me. E che si possa andare avanti per anni è una cosa bellissima, ed è proprio la vera letteratura, un dono sovrannaturale, veramente, un’esperienza che chi non ce l’ha si è perso un pezzo importante dei piaceri della vita.

Partiamo dalla lingua. Come ci rivela lui stesso, Nori non ha sempre scritto così, ma il suo stile attuale è una conquista a cui è arrivato col tempo, un approdo guadagnabile solo attraverso lo studio e la ricerca.

 

“quando ho cominciato scrivevo in un modo un po’ diverso, un po’ più tradizionale, tendevo a una lingua medio alta, volevo che si vedesse che avevo studiato. Poi ho incontrato i redattori di una rivista che si chiamava Il semplice (Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati, Ugo Cornia, Alfredo Gianolio, Paolo Morelli, Mario Valentini, Ivan Levrini e altri). Frequentandoli mi sono accorto, o mi è sembrato di accorgermi, che io credevo, di sapere cos’era la letteratura, invece non sapevo niente.”[i]

 

Come spiegare la scrittura di Nori? Direi leggetela, che è il modo più facile per capirla. Però, tentando di svolgere bene il mio lavoro, con passione come sempre, mi sforzo di distendere l’intricato, perfetto gioco di incastri che è lo stile custodito nelle pagine di Noi la farem vendetta, come negli altri libri di questo bravissimo autore. Se avete voglia, seguitemi.

Come sappiamo, la linguistica considera la parola, il segno, come risultante di un significante e un significato. Il significante è l’involucro, il significato è il contenuto. Ogni lingua abbina un diverso significante ai significati dai quali è composto l’universo delle cose. Per ogni lingua, allora, la parola cavallo, per esempio, significherà diversi significanti, molteplici anche all’interno della stessa lingua, laddove, in italiano cavallo non è solo l’animale ma anche una parte del pantalone. Il significante è allora una sorta di spartiacque che ordina il disordine dei nostri pensieri, e che però, da un certo punto di vista, castra la nostra immaginazione e ci costringe a indicare con l’attributo giallo sia il sole che la banana, e con il bianco sia la neve che il latte (mentre, come sappiamo, per esempio, in latino la neve è candida, cioè splendente, e il latte è album, cioè opaco). Veniamo a noi.

A me sembra che la lingua di Nori travalichi per sempre i confini stabiliti dai vari significanti di cui è composta la nostra immaginazione, liberandoci, finalmente, dai confini, ordinati, sì, ma anche molto limitanti, che siamo costretti a porci – altrimenti non si capirebbe più nulla, e non potremmo comunicare. Mi sembra che, riuscendo a farsi capire (e carpire) veramente in modo quasi universale – e cioè da un bambino, da un amante della letteratura, da un dottore, da un pazzo – , Nori scavalchi l’ultimo gradino della letterarietà e dell’intellettualismo forzati (fatti di significanti e significati ormai abusati), per regalarci un prodotto che è arte pura. Un prodotto fruibilissimo, insieme poetico e saggistico, documentaristico e letterario, filmico e animico, filosofico, visionario e iperrealista, un prodotto intendibilissimo, che appaghi le lecitissime pretese di un letterato avvezzo alla lettura dei grandi come quelle più semplici di un altro tipo di uomo, che se mai non trova, di solito, molto piacere nella lettura. È come, appunto, se i significanti di Nori si spogliassero dei loro soliti, drastici, austeri, confini, è come se i significanti di Nori insorgessero felici, si spogliassero, in una spiaggia piena di sole, delle limitazioni preconcette che li asfissiano da sempre, e decidessero di buttarsi in acqua per un bagno ristoratore. Senza però, badate bene, perdere in comunicabilità, fruibilità, piacere letterario. Senza diventare un prodotto elitario, vietato ai più. È così che il libro di Nori è insieme una poesia, un cocente arrabbiato atto di denuncia, un puntuale resoconto dei “fatti di Reggio Emilia” del luglio ‘60, un dipinto culturale, sociologico, storico e di costume dell’Italia anni Sessanta, una meravigliosa storia d’amore, quella tra il narratore e sua figlia Irma, un libro che racconta come l’educazione dei figli possa rivelarsi, allo stesso tempo, romantica e pratica, appassionata e vigile.

Naturalmente, come ogni libro che si rispetti, Nori non può, e non vuole, e non sa, rispondere a tutte le nostre domande, e forse nemmeno a una. Come i più grandi autori, e poiché lui è uno di questi, Nori riesce infatti a far germogliare nel nostro cuore – perché ci prende al cuore! – sempre nuove domande, a farci arrabbiare, a farci riflettere. La sua è una scelta coraggiosa, anche dato il tema che affronta, un tema, in realtà, che era suo da sempre. Con le parole dell’autore:

 

“Il 7 luglio del 1960, a Reggio Emilia, c’era, come in molte città d’Italia, una manifestazione di protesta contro le violenze della polizia del governo Tambroni. Prima che iniziasse la manifestazione di Reggio Emilia, la polizia ha cominciato a sparare contro gli operai che si stavan riunendo per ascoltare un comizio. Cinque morti e sedici feriti.”[ii]

 

Come racconta Nori nel romanzo, i fatti di Reggio Emilia non furono altro che una delle “tappe” della violenza esercitata dalla polizia – o meglio dal governo Tambroni, che poi annegò nello stesso sangue che aveva sparso – per sedare varie manifestazioni che, cominciate quindici giorni prima del luglio in questione, continuarono poi in altre zone d’Italia:

 

83 feriti a Genova tra il 28 e il 30 giugno 1960, un morto e 5 feriti a Licata il 5 luglio, 5 morti a Reggio Emilia il 7 luglio e 4 morti a Palermo e 1 a Catania il giorno dopo: bastano queste cifre a mostrare quale fosse la situazione creatasi con l’arrivo del governo Tambroni, retto solo da democristiani e i neo fascisti dell’Msi, che cerco’ di fermare quel processo di democratizzazione della vita civile che nel paese si era ormai attivato e nessuno avrebbe potuto comunque piu’ arrestare. [iii]

 

Corredando il proprio resoconto con documenti dell’epoca, reperibili sul sito della Feltrinelli (www.feltrinelli.it) – e cioè il documentario sui fatti di Reggio Emilia (Vento di Luglio, di Paolo Bonacini), la lirica Per i morti di Reggio Emilia, di Fausto Amodei, alcuni titoli di quotidiani dell’epoca, e un cruento reportage fotografico –, Paolo Nori completa la propria opera che, considerata nell’insieme, è molto più di un romanzo. Si tratta infatti di vendicarsi. Quando gli ho chiesto se, con Noi la farem vendetta, fosse riuscito nel proprio intento, Paolo Nori mi ha veramente colpito:

 

“Il discorso sulla vendetta è un po’ il centro del libro e è abbastanza complicato, non riesco a riassumerlo qua. Ho fatto a Reggio una lettura quasi integrale, alla Cavallerizza, un teatro che dà sulla piazza dove son successe le cose, e alla fine Ettore Farioli, il figlio di Lauro, il primo che è stato ucciso in piazza quel sette di luglio, è venuto a ringraziarmi. E’ stata una delle più grandi soddisfazioni che ho avuto, in letteratura.”[iv]

 

Nel presentare il suo libro in giro per l’Italia (Reggio Emilia, Bologna e Parma nei giorni scorsi, Torino 3 ottobre, Milano 11 ottobre, Firenze 13 ottobre, Bari 19 ottobre, Roma 24 ottobre), Nori, come si vede, fa molto di più che accompagnare la sua storia, introdurre il suo romanzo alla gente: si tratta infatti di far conoscere all’Italia un pezzo della sua propria storia, di rinfrescare la memoria a chi si è dimenticato di cosa è accaduto, e di far venir voglia ai giovani di indagare il proprio passato.

Come scrive Nori, siamo e non siamo in un mondo nuovo, poiché:

 

mi vien da pensarla che il mondo così come l’ho conosciuto io non esiste più che al suo posto ne han messo uno nuovo.

 

Certo. Ma se i fatti di oggi ricalcano quelli del G8 2001, che, a loro volta, sono una sorta di ricorso storico degli avvenimenti del ’60, quello che Nori vuol sottolineare è anche che non siamo cresciuti poi tanto, e che siamo sempre convinti che il tempo individuale e quello storico (di cui parlava Kierkegaard) non coincidano mai. Invece, è tutto il contrario. Siamo sempre ciò che siamo stati, e facciamo la storia ad ogni nostro passo.

 

In questo, ancora, la grandezza del romanzo. Un romanzo che è sì una storia, un prodotto d’ingegno umano, un’invenzione, ma anche un’esperienza importante da portare a termine, l’inizio – per così dire – di una nuova avventura, lo spunto per addentrarsi nel nostro passato. Una poesia.

 

La poesia di Nori è però una poesia speciale, perché a volte, vista – come dire – dall’alto, può sembrare qualcosa di astruso e contorto, ma poi, vista da vicino, è incantevole.

Un libro dei suoni, delle canzoni, dei sapori, degli odori, un libro che con una dolcissima ironia racconta un tenero rapporto padre-figlia – quanto di più vero –, e che introduce con garbo il lettore ai dubbi quotidiani di un padre, di un uomo, di una persona di cultura, che poi sono i dubbi di tutti noi. Un libro che si occupa della censura come del tipo di scarpe che portavano i giovani degli anni Sessanta, che racconta l’affermarsi della “strana” musica dei Pink Floyd in Italia e la nascita della discomusic, un libro che non si dimentica delle canzoni popolari, e che culla i dolci sonni di una bambina con un inno anarchico. Un libro che culla al suo interno anche una serie di pause di riflessione – i paragrafi costituiti da soli puntini di sospensione –, pause che, di volta, esprimono dissenso, stupore, ammirazione, e che a volte diventano vere e proprie pause musicali.

Un libro che ci ricorda che, a un certo punto della storia, le parole fascismo e antifascismo hanno perso di valore, (“Perché erano parole che si sentivano dire nei discorsi ufficiali, e le cose ufficiali non han mica senso, son tutte false, a cominciare dalle dichiarazioni davanti ai notai.”[v]) e che forse, oggi, cominciano a riacquistarlo. Ma dobbiamo stare attenti a non farle diventare false un’altra volta.

 

Un libro anarchico, poiché:

 

“Aspiro a essere un anarchico, ho avuto un’educazione complicata e sono diventato un po’ diffidente, per quello delle volte faccio fatica, a essere anarchico. Gli anarchici esistono e come diceva Bernhard sono il sale della terra,.”.[vi]

 

Un libro divertente.

Un libro importante.

Una meravigliosa, stupefacente, storia d’amore. Tra un padre e sua figlia, tra noi e i morti di Reggio Emilia. Per i loro parenti. Perché non siano mai dimenticati.

Perché siano vendicati.

Per Lauro Ferioli, 22 anni, padre di un figlio, Marino Serri, 40 anni, ex partigiano, Ovidio Franchi, 19 anni, Emilio Reverberi, 30 anni, operaio, ex partigiano, Afro Tondelli, operaio, 35 anni.

 

 

Paolo Nori (Parma 1963) – bibliografia

 

1999 – Le cose non sono le cose (Fernandel)

1999 – Bassotuba non c’è (DeriveApprodi)

2000 – Spinoza (Einaudi)

2001 – Diavoli (Einaudi)

2001 – Grandi ustionati (Einaudi)

2002 – Si chiama Francesca, questo romanzo (Einaudi)

2003 – (con Marco Raffaini) Storia della Russia e dell’Italia (Fernandel)

2003 – Gli Scarti (Feltrinelli)

2004 – Pancetta (Feltrinelli)

2005 – Ente nazionale della cinematografia popolare (Feltrinelli)

2006 – I quattro cani di Pavlov (Bompiani)

 

traduttore e curatore

– Disastri (antologia degli scritti di Daniil Charms, Einaudi)

– Un eroe dei nostri tempi (Lermontov, edizione dei classici di Feltrinelli)

– Umili prose (Puškin, edizione dei classici di Feltrinelli)

 

Paolo Nori su internet

www.feltrinelli.it

http://www.university.it/notizie/vedi_notizia.php?COD_NOTIZIA=26426

http://www.ansa.it/opencms/export/main/notizie/rubriche/unlibroalgiorno/visualizza_new.html_1970690955.html

http://www.lastampa.it/

http://www.reti-invisibili.net/reggioemilia/articles/art_8241.html

http://www.iteatri.re.it/database/iteatri/iteatri03.nsf/pagine/BA802AC87546171A802571C600376DD9?OpenDocument

http://scritture.blog.kataweb.it/francescamazzucato/2006/10/intervista_escl_2.html intervista a Paolo Nori su Books and other sorrows

http://www.mazzucatofrancesca.splinder.com/

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