In occasione dellacelebrazione della Domenica delle Palme[1]l’Arcivescovo di Milano, il Card. Dionigi Tettamanzi, si è chiesto in manieramolto addolorata «[…] perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma nonvogliono si definiscano come “guerra” le loro decisioni, le scelte e le azioniviolente?», e questo medesimo interrogativo si sono posti e si continuano aporre molti uomini e donne di buona volontà, credenti e meno, da quando ilGoverno italiano, in spregio al dettato costituzionale dell’art. 11[2], ha intrapresoun’operazione militare che ha tutte le caratteristiche proprie di una guerracontro la Libia.
Ormai siamoabituati da tempo a missioni che vengono presentate all’opinione pubblica conla rassicurante qualifica “di pace” ma che, de facto, sono portatrici dimorte e devastazione al pari delle più brutali, classiche e meno ipocrite”guerre” tout court: il Kossovo, l’Afganistan, l’Iraq, e ora la Libia.Maggioranze di centro-sinistra e di centro-destra unite in una prassi conforme.
Ma vediamo insiemealcuni caratteri della situazione attuale.
Sino a poco tempofa, la Libia era annoverata tra i migliori partner dell’Italia[3] e ciò a prescindere dalfatto che, per anni, l’amministrazione USA avesse bollato il paese delcolonnello Gheddafi come “stato canaglia” sottoponendolo ad ogni sorta diembargo. Ma si sa, “business is business” e quando in Europa calal’inverno bisogna pur riscaldarsi.
E proprio perquesto, sin dal 1959 l’italianissima ENI è presente in Libia per estrarre dalsottosuolo desertico della nostra ex-colonia gas naturale e petrolio dainstradare verso il nord.
Dalla Libia arrivanoin Italia circa il 10% del nostro fabbisogno nazionale di gas e il 38% dipetrolio. Il nostro paese è il primo partner commerciale della Libia; seguonoGermania, Francia e Spagna, quindi Cina, USA, Brasile e India, interessatisoprattutto dalle ingenti riserve di greggio[4].
Con un rapido esemplice calcolo matematico, dunque, la nostra “amicizia” con la Libia vale,per il solo petrolio, quasi 11 miliardi di dollari l’anno! Un’amiciziasicuramente “interessata”.
E allora possiamocapire per quale motivo, all’indomani dell’inizio delle ostilità in territoriolibico e alla concomitante chiusura dei rubinetti che garantivanol’approvvigionamento di greggio all’Italia, il nostro governo abbiasollecitamente aperto un canale diretto con gli insorti riconoscendone lalegittimazione a rappresentare gli “interessi” della nuova Libia (quali”interessi”? quale “nuova Libia”?), dichiarando poi nel giro di poche ore diessere disposti a inviare “consiglieri militari” e “formatori” per addestrarele milizie ribelli nonché a rifornirli di “sistemi balistici non-letali”.
Per chiudere poicon la decisione di far partecipare anche i caccia della nostra aviazione aibombardamenti, specificando però che «non saranno bombardamentiindiscriminati ma missioni con missili di precisione»[5].
Dunque, “sistemibalistici non-letali”, vale a dire “armi non-armi”, pistole ad acqua o fucilicon il tappo di sughero, per cui, comunque, c’è bisogno di “consiglieri eistruttori militari”, accompagnati da “missili non bombe”: sicuramente un belquadro per una missione umanitaria!
Il tutto in spregiodi quell’art. 11 della Costituzione repubblicana che, tengo a ricordare,dichiara solennemente la scelta forte del “ripudio” della guerra da partedell’Italia.
Ma, si obbietta,nel caso di specie siamo di fronte ad una crisi umanitaria e, quindi, iprincipi classici di autodeterminazione dei popoli e di non ingerenza negliaffari interni[6]debbono cedere il passo al dovere di “ingerenza” umanitaria.
Di questo passo,per logica conseguenza, ci vedremo impegnati a breve in operazioni di”promozione della democrazia” in Siria e in Costa d’Avorio, poi magari inVenezuela e Indonesia, poi… qualcuno verrà a “promuovere la democrazia” incasa nostra!
Per concludere, treinsegnamenti offertici dall’attuale “caso Libia” su cui riflettere:
1. se non l’avessimo ancora capito, “tutto ha un prezzo!”, anchela nostra Costituzione. E l’art. 11 vale emblematicamente 11 miliardi didollari l’anno. Stiamo però attenti perché ora il principio in gioco è la”pace”, domani potrebbe essere qualche “libertà” o la stessa “democrazia”, ericchi Paperon de’ Paperoni disposti a comprare simili beni sono sempre inagguato;
2. il controllo dei flussi migratori si può attuare con glistrumenti più differenziati e moderni: visto che i respingimenti non sono”moralmente accettabili”, meglio provvedere con “missili di precisione” primache gli interessati stessi lascino i loro paesi. D’altronde è “meglioprevenire” che curare;
3. da ultimo, ricordiamoci che forzare i cammini storici dipopoli vicini geograficamente ma distanti anni luce dal punto di vista storicoe culturale potrebbe, un giorno non troppo lontano, portare questi achiedercene ragione, presentandoci il conto direttamente all’uscio di casa.
Facciamo tesoro diquesto e, qualora ci trovassimo d’accordo, troviamo il coraggio di indignarci,alzare la mano davanti al potere e manifestare il nostro disappunto. Confermezza, civiltà, intelligenza e, sempre, nel pieno rispetto dei principidemocratici.
Allora, forse,avremo contribuito a compiere un ulteriore passo verso una migliore societàumana.
[1] Cfr.http://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2011/04_17_palme.pdf.
[2] Art. 11,Costituzione italiana: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesaalla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversieinternazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, allelimitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e lagiustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionalirivolte a tale scopo».
[3] Cfr. dellostesso A., Trattato Italia-Libia: vecchi modelli per una nuova amicizia,in KultUnderground, n.164, 2009.
[4] Le riservepetrolifere libiche si calcolano in oltre 46 miliardi di barili, per unaproduzione di 77 milioni di tonnellate di petrolio all’anno che garantiscono 1,33milioni di barili al giorno per un profitto di oltre 30 miliardi di dollariall’anno.
[5] Cfr. ilMinistro della Difesa, Ignazio La Russa, suhttp://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-b67fa85a-5db7-44c0-9cb2-6f2bf71724a7.html.
[6] Cfr. art. 1della Carta delle Nazioni Unite e art. 1 dei due Patti internazionali suidiritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali.