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L’altra faccia dell’unità d’Italia – Pietro Zerella

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1860 – 1862
Copertina di Wenzel Franz
Marco Del Bucchia Editore
Narrativa romanzo storico
Collana Vianesca/Poesia e narrativa
Pagg. 196
ISBN 88-471-0550-8
Prezzo € 15,00
 
Controstoria
 
E’ un’epoca la nostra in cui è in corso un generale revisionismo dei fatti storici, anche recenti, come accade per il fenomeno della Resistenza, da cui è nata la nostra repubblica. Non sempre questa rivisitazione è disinteressata e tesa alla ricerca della verità, ma spesso sottende motivi di carattere politico che spesso sono alla base di una diversa visione soprattutto per fatti abbastanza prossimi. Maggiore sincerità, invece, si riscontra quando lo storico torna indietro parecchio nel tempo; le passioni e le tensioni sono sopite e allora si cerca esclusivamente di raggiungere la verità, o comunque di avvicinarla. Così accade per quel lungo processo che nel XIX secolo ha portato all’unità d’italia, descritto a scuola con toni trionfalistici e comunque secondo le esigenze di quello che allora fu  il potere egemone. I Savoia tenevano a dimostrare che vollero recepire il grido di dolore degli italiani, soggiogati dallo straniero, per unirsi in un unico stato che poi si sarebbe chiamato Regno d’Italia. Non fu proprio così, anzi mai come in quella occasione fu costruita una storia di comodo, e non è solo un’opinione mia, ma è suffragata da tanti studi, come questo di Pietro Zerella dall’emblematico titolo L’altra faccia dell’unità d’Italia.  In questo libro, che l’autore definisce romanzo storico perché ricorre allo stratagemma di far raccontare i fatti dal fantasma del bisnonno, viene esaminata la famosa spedizione dei Mille e i primi tre anni (1860 – 1862) dell’ex Regno delle Due Sicilie, inglobato nel nuovo Regno d’Italia. Pietro Zerella è meridionale e non è certo un nostalgico dei borboni, ma riesce a essere piuttosto imparziale in questa revisione, dando spazio anche a chi la contesta.
Premetto che lo storico mai potrà arrivare alla verità assoluta, ma se le fonti sono varie e attendibili, se riuscirà a essere equidistante, di certo vi si potrà avvicinare. Zerella si è impegnato nell’arduo compito con zelo e con il suo libro fornisce una visione nuova degli anni di cui tratta, peraltro suffragata da studi, piuttosto recenti, di storici assai più noti.
Gli elementi salienti che emergono sono questi, in contrasto con la storia studiata a scuola:
la massoneria, soprattutto quella inglese, decretò il successo della spedizione dei mille, fornendo denaro per corrompere i comandanti militari borbonici e anche i maggiori politici napoletani. Dunque, il merito di Garibaldi viene ampiamente e, giustamente, ridimensionato. Il Regno delle Due Sicilie, per quanto inetto fosse il suo re, era pur sempre una realtà non dissimile dal Regno di Piemonte, che, nel cosiddetto risorgimento, non si interessò di liberare gli italiani (e del resto nemmeno loro presero la cosa a cuore), ma di annettere nuovi territori. Insomma, fu una guerra di conquista e non di liberazione. E ciò è tanto più vero ove si consideri quanto avvenne dopo l’annessione del Regno delle Due Sicilie, considerato una vera e propria colonia, con un marcato impegno a depredarla e a trattare i suoi abitanti alla stregua di selvaggi incivilizzabili. Ci fu indubbiamente un tentativo di restaurazione della precedente monarchia, ma furono anche la fame e le promesse disattese ad accendere quel fenomeno che troppo sbrigativamente, e per celarne la natura, fu chiamato “brigantaggio”. Fu una guerra per bande, sanguinosa e feroce, che costò ai meridionali un numero imprecisato di vittime, ma che alcune fonti fanno ascendere a più di centomila, se non addirittura a duecentomila. Si venne a determinare così una generale sfiducia verso lo stato che diede inizio a quel fenomeno, tuttora in essere, denominato più genericamente “La questione meridionale”.
E come precisa Zerella i protagonisti, ormai ombre, perdono molto dell’alone di luce mistica con cui si è voluto avvolgerli.
Di tutto il Risorgimento italiano vi sono personaggi che vanno messi sugli altari della gloria ed altri che sono stati delle meteore che hanno seminato solo morte e miseria.
Garibaldi l’idealista, l’eroe del tempo, la star europea, l’uomo che entusiasmava i giovani, li faceva sognare, fu utilizzato e spremuto come un limone e poi messo da parte e confinato nel suo eremo di Caprera, a volte sorvegliato a vista dalla flotta piemontese.
 Cavour intelligente e cinico, vero uomo di stato senza scrupoli e senza anima, Mazzini il filosofo, l’educatore ma con mancanza si senso pratico. Vittorio Emanuele l’uomo di facciata, lontano dai meridionali, anzi li disprezzava.
Francesco II, troppo ingenuo e “ fesso” per il suo ruolo, anche se onesto.
Il generale Cialdini l’uomo che ha sulla coscienza migliaia di vittime e soprusi.
Nel bene e nel male, si ottenne l’unità d’Italia, ma a un prezzo decisamente insopportabile. I garibaldini, comparse della sceneggiata della spedizione dei mille, furono ben presto scaricati dai Savoia, tranne alcuni, che vi parteciparono da infiltrati e che poi entrarono a far parte del nuovo esercito del Regno d’Italia. Garibaldi, quasi paralizzato dall’artrosi, divenne un mito, ma ben isolato, e in quanto tale non pericoloso. Fu definito un grande stratega, ma non lo era, né per preparazione, né per indole; andava bene per attività di disturbo, di guerriglia, ma non aveva le capacità per comandare e dirigere un grande esercito. Cavour ottenne quel che voleva ed è ricordato come il grande tessitore, ma non lottò mai per l’unità d’Italia, bensì per l’arricchimento del Regno di Piemonte. Vittorio Emanuele II, il re galantuomo, era tutto il contrario, ottuso e venale. Francesco II, l’ultimo re delle Due Sicilie, era una persona seria, ma inetta, tuttavia si difese fino a quando poté a Gaeta. Come al solito la storia è scritta dai vincitori e infatti non parla dei soldati borbonici, fedeli fino all’ultimo, che non vollero passare ai piemontesi e che furono mandati a morire a migliaia nel lugubre forte di Fenestrelle. Se i sudditi di Francesco II sperarono in un nuovo corso, furono subito delusi: nuove ingenti tasse, la ferma obbligatoria per cinque anni che toglieva le migliori braccia all’agricoltura, il progressivo depauperamento del sud a vantaggio del nord furono le cause maggiori di un’ostilità che si manifestò con vere e proprie rivolte, sbrigativamente definite con il termine di brigantaggio. Furono anni di dolore e di orrore, da ambo le parti, ma chi ebbe più a patirne fu l’inerme popolazione civile e, se anche le cifre contrastano a seconda delle fonti, alla fine risultò un numero di vittime spropositato, quasi da genocidio.
Il libro di Zerella non ha la pretesa di svelare la verità assoluta, ma intende gettare luci dove la storiografia ufficiale ha oscurato i fatti. E’ un passo verso la verità, un piccolo passo per comprendere perché Massimo d’Azeglio ebbe a dichiarare “Ora che s’è fatta l’Italia, s’hanno da fare gli italiani.”. Appunto, sapere se siamo fratelli per volontà nostra o per imposizione d’altri nulla toglie all’evidenza che ormai siamo una nazione, ma molto aiuterebbe per averne la consapevolezza, per giungere a quella forte identità comune che sancisce e legittima un popolo.
L’altra faccia dell’unità d’Italia è un libro da leggere e da meditare, passo dopo passo invita alla riflessione su quanto ci è sempre stato insegnato e che in cuor nostro ci ha fatto dubitare.
L’autore, saggiamente equidistante, merita ogni plauso, perché non ha voluto stupire o scandalizzare, ma richiamare l’attenzione su fatti ed eventi non proprio conformi alla storiografia scolastica.
Quindi, più che un consiglio, il mio è una raccomandazione a leggere un libro di estremo interesse e peraltro scritto in modo esemplare e coinvolgente.
 
Nato a Beltiglio di Ceppaloni, Pietro Zerella vive a San Leucio del Sannio. Laureatosi in scienze politiche e sociali, è stato ispettore capo della polizia di stato. Oggi in pensione, svolge attività di promozione culturale. Vincitore di premi letterari, negli ultimi anni si è dedicato con particolare passione alla ricerca storica.

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