Il primo giorno credo fosse il 21 aprile e petrolio non ne abbiamo visto. Sul molo stavano installando su alcune barche un tappeto rollante che carica a bordo il bitume galleggiante. Tre chiatte così attrezzate erano già pronte ad entrare in funzione non appena il mare si fosse calmato e gli operai del porto hanno dovuto attendere quattro ore prima di avere il permesso di mettere le imbarcazioni in acqua (fino alle sei del pomeriggio).
C’è un atteggiamento diffuso fra chi lavora alle operazioni di disinquinamento: i marinai, gli addetti alla pulizia della spiaggia, quelli che mettono le panne. Parlano tutti dell’affare pulizia come una torta che dall’alto si stanno spartendo. Forse sull’onda di questa tendenza a ragionare in termini di intrighi politici e sfruttamento della situazione ci scontriamo con una scarsa voglia di lavorare o comunque di fare qualcosa di concreto. A Genova, ma anche in altre zone della Liguria si sarebbe potuto contare su un certo numero di volontari, ma non si è fatto nulla specialmente nella fase più immediata delle operazioni. Qui dicono che è un problema di gestione ed organizzazione di quelli che si sono offerti, è mancata la volontà di usufruire di questa forza lavoro.
Le spiegazioni possibili sono tante. Pare ci sia una assicurazione sulla costa o forse sulla nave, che dovrebbe coprire i danni causati all’ambiente. Impiegando i volontari (non pagati) diminuirebbe la domanda di lavoro di personale retribuito quindi è chiaro che per quante persone possano venire assunte non sono troppe, visto che l’obiettivo dovrebbe essere quello di ripristinare una situazione ambientale, nel minor tempo possibile.
Inoltre né il volontariato né la manodopera possono essere specializzati. Queste forze operative devono quindi essere coordinate da una struttura di specialisti, ma anche qui si incontra il meccanismo burocratico che rallenta le operazioni .
Immediatamente dopo l’incidente è stato dichiarato lo stato di emergenza, quindi la "patata bollente" era in mano direttamente allo stato, tramite il ministero dell’ambiente, ci dicono i più informati. Cessato lo stato di emergenza da questo ministero la gestione è passata alla protezione civile, quindi scaricata ad una grossa ditta statale del gruppo IRI, la quale ha passato l’appalto ad una ditta privata che a sua volta si è incaricata della gestione logistica ed ecologica del problema, la stessa ditta che si è occupata della mucillagine nell’adriatico. Osservando il paesaggio, per quanto è possibile con un certo distacco, il disastro c’è ma si può fare molto per pulire le spiagge e le coste.
C’è un pericolo incombente ma poco chiaro – nessuno, nemmeno alla capitaneria sa dirci qualcosa -per quanto riguarda la quantità di petrolio che si trova sul fondale, in gran parte ancora all’interno del relitto. Nel mar Ligure ci sono delle macchie non eccessivamente estese però abbastanza vicine alla costa lunghe una decina di metri e larghe dal metro ai 50 cm. Non sono presenti su tutte le spiagge, non è una striscia continua e non è particolarmente densa. Per quanto riguarda il mare aperto le zone più colpite sono Celle, Arenzano, Piani d’Ivrea, Cogoleto, Varazze.
Una mareggiata ha lasciato una fascia enorme di catrame ormai solidificato e in alcuni punti il bitume si è raggrumato formando delle specie di blob semoventi che si spostano a ritmo delle onde creando uno spettacolo innaturale e impressionante. Si capisce che non tutto è perduto; sicuramente con una buona volontà politica si potrebbe utilizzare il volontariato e gestire più razionalmente la tecnologia a disposizione della pulizia e del recupero.
In acqua sono state sistemate barriere inizialmente destinate a formare un corridoio per intrappolare il petrolio lontano dalla costa, facilitandone la raccolta. Purtroppo con il mare molto mosso alcune di queste barriere non hanno retto e sono state sfondate dall’onda nera; c’è il rischio che parte del petrolio si diriga verso la costa Francese e la Corsica
Per la causa dell’incidente sulla nave le voci sono molte. Tra i marinai non è un segreto che molte imbarcazioni non vengano tenute in buona efficienza: tra giri di fatture e preventivi falsi per incassare soldi le riparazioni vengono fatte col filo di ferro. Il disastro non stupisce più di tanto, visto che molti viaggi sono affidati alla fortuna; uno marinaio che ha lavorato venticinque anni sulle navi ci parla di imbarcazioni con crepe tali che solo la fortuna del mare calmo le ha fatte arrivare a destinazione
Forse più dei due terzi del petrolio si trova ancora sulla nave, che deve assolutamente essere riportata a galla. Il petrolio infatti solidifica a basse temperature ed è per questo che si trova sulla spiaggia sotto forma di bitume, materiale solido. In alcuni punti della costa si presenta un problema più grave, che riguarda il mare: alcuni idrocarburi più volatili formano una serie di chiazze chiare sulla superficie dell’acqua successivamente molto più problematiche da recuperare.
Per quanto riguarda la petroliera, sembra che una società francese si occuperà della rimozione. Prima però bisognerebbe poter togliere dall’interno del relitto gli idrocarburi pesanti ormai solidificati, altrimenti non si riuscirà mai a portarla a galla. A ciò si aggiunge il fatto che la nave si può rompere prima del recupero, comportando un disastro di proporzioni molto più grandi e su scala molto più vasta.
Il maltempo è stato un altro elemento che ha giocato a sfavore: il mare ingrossato ha tirato giù le barriere di panne e non ha permesso la posa in acqua delle chiatte da utilizzare per tirare a bordo parte del petrolio. Viene da chiedersi a chi sono da imputare le responsabilità, chi avrebbe dovuto occuparsi del coinvolgimento della popolazione e dei volontari. La struttura organizzativa in realtà sembra funzionare ma manca un rapporto diretto con le risorse umane disponibili, non utilizzate per problemi di ordine burocratico. Da un punto di vista logistico vi sono anche altri problemi. Ogni giorno leggi e decreti impongono continue riunioni, richieste di permessi, incontri e tutto questo rallenta enormemente un’operazione che invece trova i suoi maggiori effetti nella tempestività con cui viene condotta.
E’ opinione comune, sentendo e parlando con la gente, il fatto che questa assicurazione della nave dovrà pagare tutti i danni. Ma c’è anche il rischio, ben chiaro anche a livello di personale dirigente che la società di assicurazioni possa in qualche modo svicolare dagli impegni che apparentemente sono invece del tutto evidenti. Resta di fatto che comunque è compromessa la stagione turistica e non si sa come ed in quale misura le strutture private potranno rivalersi sullo stato. Chi manifesta iniziative personali viene allontanato perché non è autorizzato, ecc. Per quanto riguarda i paesi lungo la costa ciò che è accaduto è l’inquinamento di fronte alla porta di casa ma nonostante tutto si nota una totale inattività da parte dei singoli.
La zona più colpita dalle chiazze di bitume e petrolio ha un’economia essenzialmente basata sul turismo, quindi una campagna stampa così negativa come quella che stanno conducendo giornali e televisione può essere deleteria. Bisogna anche considerare che però nessuno si muove realmente e pochi tentano di sfondare l’indifferenza. Una cosa resta chiara: poteva sicuramente essere evitato.
Catrame da spiaggia
Enrico Miglino