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Dalla Francia vecchi e nuovi delitti

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Dalla Francia vecchi e nuovi delitti per giornalisti e scrittori
quando la cronaca nera è meglio della fantasia!


Dètective
era il titolo di una leggendaria rivista francese, una rivista dove firme celebri, a cominciare da Simenon, raccontavano i crimini più clamorosi, da Landru in poi. Ora sugli scaffali delle librerie compare un libro, intitolato proprio Dètective, le più belle pagine, edito da Meridiana zero (pp. 286, lire 23 mila).
La rivista era pubblicata da Gallimard e venne creata nel 1928 da un reporter francese piuttosto spericolato, Joseph Kessel, che a sua volta la mutuò da un investigatore privato in cerca di fortuna di nome Louis Labarthe. Il primo numero vendette 350 mila copie e in breve tempo intorno alla rivista fiorirono aneddoti leggendari, primo tra i quali quello che voleva i suoi redattori impegnati a esercitarsi, in un magazzino di proprietà Gallimard, nel tiro a segno contro pile di volumi della NRF o delle giacenze del primo tomo delle Ricerche, in modo da essere pronti a fronteggiare le minacce della malavita.
E infatti alla malavita Dètective non piaceva, perché il crimine non ama la pubblicità. Al contrario, gli intellettuali parigini se ne fecero subito estimatori, attirati dai casi estremi, così come da sempre erano attratti dalle psicosi e dalle nevrosi, perché in essi ritrovavano gli atteggiamenti e le passioni della gente che si soleva chiamare "normale".
Quello che oggi arriva nelle librerie è una traduzione italiana di questo spaventoso e affascinante almanacco di casi estremi di gente quasi normale; e così il mito si rinverdisce e noi possiamo verificarne di persona la potenza immaginativa, la sua precisione quasi maniacale dei dettagli e la freddezza obitoriale, che unisce le suggestioni da feuilleton noir dei Misteri di Parigi di Eugène Sue alla gelida morbosità delle corrispondenze da Corte d’assise, rispolverate da Andrè Gide all’inizio del secolo. E ci offre poi la possibilità di rimettere in discussione, a oltre settant’anni di distanza, una questione che pareva sepolta dall’invasione di sangue, banalità e pietismo: c’è uno stile, oggi, per raccontare la cronaca? E, soprattutto, lo si può fare senza scadere nel cattivo gusto, nel banale, nella sciatta e malevola morbosità da giornale scandalistico?
Una domanda che non cade nel vuoto, dal momento che gli scrittori del nostro tempo stanno tornando, con rinnovata attenzione, a curarsi dei piccoli e grandi fatti criminali, e lo fanno con grande raffinatezza nella costruzione del plot e nella scrittura, ma anche con calibrata minuziosità cronachistica nella ricerca delle fonti e delle carte processuali.
Certo sono lontani i tempi di Dètective, dove si alternavano scrittori di fama e letterati dilettante, dove le firme in calce ai pezzi richiamavano talora i protagonisti del poliziesco delle origini, per raccontare le leggendarie imprese di Landau o delle sorelle Papin, della parricida Violette Nozières. Ma in fondo la cronaca era, è e resterà l’unico punto di contatto possibile tra giornalismo e letteratura, terreno ideale su cui far lavorare gli scrittori.
Rivalità? Gelosia? Delitto? La cronaca ha sempre sedotto gli scrittori, che si innamorano ciascuno del "proprio caso". E uno dei primi grandi maestri, a pensarci bene, non fu forse Alessandro Manzoni con la storia della Monaca di Monza che volle a tutti i costi inserire ne I Promessi Sposi? E Flaubert, per scrivere Madame Bovary, non partì forse da un fatto di cronaca? E se ieri c’era Manzoni, oggi c’è Emmanuel Carrière con il suo L’anniversario (Einaudi), che riprende la tragedia di una famiglia borghese sconvolta dall’irruzione della follia di uno dei suoi.
… come a dire che spesso la realtà supera la fantasia.

Francesca Orlando

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