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Qualcosa di diverso

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Qualcosa di diverso
(Diego Seno – Edizioni Il Foglio)

Ecco qua, Alfieri Marco, sedici anni, diciassette tra qualche mese, frequento il liceo G. Leopardi, sempre l’orgoglio della mia città, terzo anno, e mi sto rompendo i coglioni alla grande.

Non so precisamente il motivo di tutta questa insofferenza, ultimamente non sopporto più nulla: la famiglia, la scuola, i vecchi amici… Non so dare un motivo a questo disagio, non sono un poeta decadente che si sente fuori luogo o un artista di qualsiasi genere, non ho grandi talenti: non so scrivere bene, non so suonare bene, non sono impegnato in nessun campo dal politico al sociale. Non sono nemmeno povero e non dovrei lamentarmi e invece non so fare altro senza trovare una soluzione a tutto questo. Ma niente mi va più bene.

È che devo trovare qualcosa di diverso, è da troppo tempo ormai che ho cominciato ad essere insofferente verso tutto…

E nella mente mi frullano tante di quelle idee e grandi pensieri per cambiare questo cazzo di società da far paura, e nelle sere che me ne resto solo a casa…ho un casino dentro, che non so nemmeno spiegare…
Quale adolescente non si riconoscerebbe almeno in parte in Marco, il protagonista di "Qualcosa di diverso" di Diego Seno?
A prima vista quindi nulla di originale: la storia di un liceale disordinato e confuso, un altro giovane contro.
Seppur la tematica non sia originalissima, il libro è ben scritto, ironico, sarcastico, divertente, ma anche cinico, come molti adolescenti sanno essere, dolce e amaro insieme, leggero e tragico, sempre lucido nella confusione mentale e sentimentale dei protagonisti; veloce e scorrevole, si legge tutto d’un fiato. Il linguaggio è giovane ed espressivo, gergo giovanile e turpiloquio per parlare di droga, ragazze, sesso; mai eccessivo, o quasi mai.
Droga, sesso, disco, anarchia. Gente di tutti i giorni, figli di papà, famiglie borghesi benestanti, come tante che sicuramente conosciamo, e forse è per questo che ci si appassiona alle vicende di Marco. Si giudica, si critica, si compatisce, si capisce e ci si interroga. Il lettore segue la storia di Marco, in modo diverso forse a seconda dell’età, come amico, compagno o come genitore/adulto e in ogni caso ha modo di riflettere sulla crisi e sul disagio giovanile, sulla mancanza di valori che porta allo sbando.
Insoddisfazione e insofferenza, mancanza di ideali e di futuro, ragazzi senza morale eppure con qualche bagliore che traspare di tanto in tanto dai discorsi e dalle riflessioni, dai sentimenti di amicizia che li riscattano dall’egoismo in cui vivono.
Giovani che vogliono essere trasgressivi per sentirsi vivi, che sfuggono le omologazioni e le etichette che la società impone, giovani comuni alle prese con interrogazioni scolastiche da saltare, con la scuola da marinare, una "scuola che violenta dentro" e che come ogni istituzione "lima i picchi di personalità", alle prese con ragazze usa e getta, con il sesso, la droga, il fumo, l’alcol, per sentirsi diversi, per sentirsi qualcuno.
"Qualcosa di diverso" è la storia di una "adolescenza post risveglio", come la definisce lo stesso protagonista, orgoglioso di essere diverso dai tanti compagni che si sono "appisolati nella vita", dagli amici ebeti e spenti che si attengono alle regole e sembrano felici nella loro incoscienza.
Marco non ha voglia di studiare, non tollera più le prediche dei genitori e le piccole responsabilità familiari. Per Marco come per molti adolescenti essere in casa vuol dire chiudersi in camera e alzare il volume dello stereo.
Marco trascina le sue giornate tra discoteche, pub, amici e incontri sessuali, e per caso conosce un ragazzo più grande che lo inizia alla droga e gli impartisce lezioni di libertà, di anarchia (Io intendo vivere fuori degli schemi amico, non farmi catalogare, omologare a tutti gli altri. La mia anarchia è mentale… Non dico di dar fuoco alla città o di fare la rivoluzione, troppo rumore e oltremodo inutile. Puoi continuare a fare tutto quello che ti dicono se lo trovi giusto… L’anarchia che intendo io è qualcosa che hai dentro).
E sempre per caso inizia a frequentare una quarantenne divorziata che dà lezioni di matematica e lo inizia al sesso. Al sesso, non all’amore, "che all’amore non ci penso". Amore e romanticismo sono allontanati come elementi che rallentano la possibilità di "vivere al massimo". La cosa che più colpisce leggendo "Qualcosa di diverso" è la disillusione, il cinismo, l’indifferenza e la totale mancanza di sogni che caratterizza i personaggi e li distanzia da altri protagonisti di disagi giovanili (per esempio dai protagonisti di Brizzi e di Culicchia, per citarne alcuni). E al lettore resta una sensazione amara, la tristezza lasciata dalle tragedie che avrebbero potuto essere evitate.
Marco è in fondo un ragazzo senza forza, che non ha la costanza per cambiare quello che non va, dominato da una sorta di apatia e di paura, dietro l’esigenza di ribellione. Troppo comodo nella sua scomoda famiglia ogni giorno più stretta, incapace di una decisione per dare una svolta alle sua esistenza (Mi sono proprio rotto di abitare qui…Vorrei andarmene e vivere da solo…ma vivere da soli costa… Diciamo anche che non è che abbia tutta sta gran voglia di lavorare).
Troppo faticoso impegnarsi, esporsi e allora meglio lo sballo. E l’unico modo per vivere diventa l’alienazione, l’isolamento in una diversità autodistruttiva, la rinuncia a qualsiasi impegno (E non ce ne frega un cazzo di quello che c’è fuori da quella porta…Non ce ne frega della disoccupazione, dell’ozono e dell’effetto serra, dell’inflazione e della tossicodipendenza… ci pensiamo domani).
Marco è comunque lucido nella sua confusione, consapevole dei rischi della droga ma non può o meglio non vuole farne a meno, perché non riesce a trovare nulla di più costruttivo per emergere. L’autodistruzione è l’unico modo per accedere a quel paradiso infernale che lo fa sentire diverso e quindi vivo.
Marco è consapevole della vita strana e disordinata che lui e i suoi amici stanno vivendo ed è consapevole che non può continuare per molto la loro situazione, ma tragicamente davanti a sé non vede un futuro, il futuro è vuoto, "come una notte senza stelle, senza una luce a indicare la via". È un ragazzo vuoto dentro, che tenta in tutti i modi, anche se a fatica, di sbarazzarsi degli insegnamenti morali forniti dalla famiglia, di "tutti quei bastardi principi morali che in questi mesi ho tentato di uccidere ad uno ad uno per godere solamente della vita".
In questo vuoto l’unico valore che resta è l’amicizia e l’importanza del gruppo. E l’amicizia forse è l’unico valore che sopravvive nel libro. Il gruppo diventa l’unica ancora di salvataggio, per quanto allo sbando, forse scelta proprio per questo (E noi quattro eravamo qualcosa a parte di tutto il resto. Eravamo un’entità di quattro colori che si era staccata dal grigiore della massa, da quella folla di ragazzi omologati, noi avevamo una nostra identità precisa, che ci distingueva da tutto e ci rendeva qualcosa di diverso).
Il gruppo è fondamentale per trovare il coraggio di trasgredire, per compiere scorrerie nella notte e per esprimere tutta la rabbia sui muri della città, ma è fondamentale soprattutto per alleggerire il male di vivere, fino all’incidente che risolve tragicamente la vicenda, nel momento in cui i protagonisti si rendono conto di non essere abbastanza grandi, di non essere abbastanza autonomi, al di là delle innumerevoli sbagliate esperienze, di non essere responsabili.
La loro trasgressiva adolescenza ha una svolta contro il loro volere. E si ritrovano spaventati, impauriti dalle conseguenze delle loro azioni, troppo superficiali da prevedere fino in fondo, si ritrovano a confrontarsi con quella società che avrebbero voluto stravolgere, incerti, insicuri, forse un po’ più inquadrati di quanto avrebbero voluto, ma comunque ribelli, con l’esigenza di essere capiti, con l’esigenza di incontrarsi con gli altri.
E ancora una volta, anche nel finale del libro, l’amicizia (forse anche l’amore) è la via per trovare un motivo per sopportare di vivere.
Bella nel libro la presenza della musica e delle canzoni. I testi di canzoni contemporanee sono inframmezzate in modo armonico e azzeccatissimo al testo e alla storia. La musica leggera, pop, rock, fa quasi da sottofondo. I testi si fondono con il racconto, lo rafforzano e ne amplificano i contenuti, in sintonia con l’animo sarcastico, ironico, sbandato, tragico dei personaggi.
E da ragazzi, a volte, solo la musica è in grado di dare coerenza e struttura, in pochi versi azzeccati, a quello che provi ingarbugliato e confuso, solo la musica sa esprimere il rumore sordo che vuota testa e cuore, e dare espressione e forma a quello che senti, e allora sì, sai che qualcuno c’è già passato.
E la musica, che accompagna le giornate degli adolescenti (non solo degli adolescenti in realtà), mentre studiano, leggono, viaggiano, festeggiano, soffrono, la ritrovi qui nei momenti salienti della vicenda per meglio narrare i passi incerti di questi naufraghi metropolitani, nella lotta sotterranea e non violenta contro il "naufragio universale".
E se conosci i testi, la musica ti pare di sentirla e si potrebbe quasi azzardare che questo è un libro con tanto di colonna sonora.
Certo, se "Qualcosa di diverso" fosse stato scritto da un diciassettenne coetaneo del protagonista sarebbe un piccolo capolavoro, ma anche così è davvero un gran bel libro.

Stefania Gentile

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