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Intervista a Marco Vallarino

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Intervista a Marco Vallarino

Ciao e grazie per averci concesso questa intervista. Anche se il nome "
Marco Vallarino" è uno di quelli che su web o nei newsgroup a tema è impossibile non aver mai incontrato, di solito iniziamo chiedendo di fare un minimo di autopresentazione. Chi è quindi Marco Vallarino, inteso come persona, prima che come autore?

Un ragazzo che, come tanti altri, difficilmente trova qualcosa di interessante da fare in una città morta di Imperia e quindi è costretto ad "arrangiarsi" per impegnare la grande quantità di tempo libero che i lavori precari del giorno d’oggi -programmatore e/o tecnico marketing nel mio caso- comportano. Scrivere mi aiuta moltissimo a riempire le giornate, a stare bene con me stesso e con gli altri, oramai ho smesso di credere che fare le quattro del mattino in discoteca possa essere di una qualche utilità. È ridicolo aspettare il sabato sera per fare qualcosa che ci piaccia! Matteo Galiazzo dice che scrivere aumenta la qualità della vita. Sono perfettamente d’accordo. Cerco sempre di mettere tanto entusiasmo e il massimo impegno in tutto quello che faccio, ma è difficile che trovi qualcosa che mi coinvolga appieno come la scrittura.

La carriera di Marco, neppure trentenne, è una di quelle da fare invidia 🙂 Come, quando, e perché hai deciso di cimentarti con il mondo della scrittura? e quali sono i passaggi fondamentali del tuo percorso di autore?

Ho iniziato a scrivere nel febbraio del 1997 in un momento della mia vita in cui ero un po’ perplesso su quanto stavo facendo. Ero a Savona al primo anno del corso di laurea in ingegneria informatica. Una bella sfida, soprattutto per uno come me che ha sempre ritenuto il computer il vero migliore amico dell’uomo, lo specchio di Alice attraverso cui si possono vedere (e talvolta realizzare) i propri sogni. Purtroppo l’ambiente era molto diverso da come l’avevo immaginato e i compitini di analisi e fisica non erano proprio quello che avevo sognato di fare da bambino. Cominciai a scrivere dicendomi: va bene, l’università è un cesso, ma almeno ogni tanto faccio qualcosa che mi piace. Finì che i miei esami di chimica, analisi e fisica andarono uno peggio dell’altro, mentre i primi racconti che scrissi, "Il sopravvissuto" e "Mario" si piazzarono in finale al Premio Courmayeur, cui avevo partecipato nella speranza di dimostrare ai miei amici che le mie storie non facevano poi così schifo.

Cosa ne pensi dei concorsi letterari? E come scegli o hai scelto in passato a cosa partecipare?

Molto utili all’inizio per farsi conoscere e trovare i primi contatti. Poi, spesso, si riducono a una sorta di divertissment, che difficilmente aiuta i premiati. Meglio pubblicare cinque racconti in antologie o su riviste che contano piuttosto che piazzarne dieci in finale a qualche premio.
Non saprei dirti come abbia scelto i premi a cui ho partecipato. I primi anni avevo bisogno di sapere se in quello che scrivevo c’era qualcosa di buono o no (più per gli altri per me; trovavo odioso il modo in cui gli amici sghignazzavano quando gli dicevo che non ero uscito o non avevo studiato perché avevo scritto un racconto nuovo). Raggiunta la "consacrazione" con la finale del Courmayeur (e lì mi sentii come Batistuta dopo il gol al Barça al Camp Nou nel 1997!) proseguii più per vanità che per reale necessità, avendo già trovato qualche buono sbocco per pubblicare (Addictions, Perseo, Ghost). Devo dire comunque che difficilmente sarei riuscito a convincere un tipo superselettivo e superscettico come Dominici (il mio primo editore) a pubblicare la mia raccolta di racconti "Ombre" se non fossi arrivato in finale al Courmayeur, anche se alla fine per convincerlo del tutto mi toccò scrivere almeno un racconto interamente ambientato a Imperia ("Buio") secondo le sue istruzioni.

Quali sono i tuoi testi a cui sei più legato? Quali invece i tuoi modelli letterari?

Il mio racconto migliore credo sia "Onde", una sorta di cosmogonia marina a tinte (molto) forti, ambientata su una spiaggia di Laigueglia in una notte di luna piena. L’avevo scritto nel novembre del 1998 per la rivista elettronica "IT Horror Magazine", che all’epoca era l’unico sito che si occupasse di horror in maniera quasi professionale. Poi, grazie alla disponibilità di Claudio Del Maso, un paio di anni dopo riuscii anche a pubblicarlo su carta, sulla rivista-libro Futuro Europa della Perseo Libri di Bologna. Pubblicazione quasi prestigiosa, che mi permise di conquistare un posticino nella finale del Premio Italia 2001, nella categoria: "Miglior racconto su pubblicazione professionale". Quello che mi piace di "Onde" è che sono riuscito a metterci tutto quello che di bello si può trovare nella scrittura: l’idea, la storia, l’atmosfera, i personaggi, i colpi di scena, il ritmo e l’autobiografia. Purtroppo non è più on line perché il vecchio sito di IT su Fabula è down da lungo tempo, ma sono disponibile a mandare il pdf a chi me lo chiedesse.
Altri racconti che ricordo con piacere sono "
La sesta", parodia horror del Grande Fratello che avevo scritto proprio per il vostro concorso 8ko-. Un membro della giuria del premio lo aveva definito "racconto depravato e depravante da non incoraggiare in alcun modo", facendomi un’ottima pubblicità negli ambienti horror e neo-noir, tanto che nel giro di un anno sono riuscito a pubblicarlo due volte, nell’antologia di Stampa Alternativa Grande Macello e sulla rivista Mystero. Il complimento più bello me lo ha fatto una ragazza, confessandomi che le erano venuti i crampi allo stomaco per la paura mentre lo leggeva.
Degli ultimi scritti e pubblicati, ricordo con piacere "
L’esperimento di San Valentino" che, grazie al servizio sul lifting di Patrizia Albanese, mi ha permesso di tornare a pubblicare in prima pagina sul Secolo XIX dopo oltre due anni.
Per quanto riguarda i modelli letterari, sicuramente H. P. Lovecraft, per il sense of wonder che ha saputo dare alla paura. Poi ultimamente Dino Buzzati, per l’invidiabile mole di racconti scritti e pubblicati e la capacità -invidiabile, ammettiamolo!- di riuscire a scrivere su tutto, dalla fine del mondo all’annoso problema dei parcheggi in centro (per citare le raccolte più famose: "Sessanta racconti" -Premio Strega nel 1958, alla faccia di chi dice che la fantascienza è letteratura di serie B- e "Il colombre"). Ottimi anche i racconti di Harlan Ellison, peccato che in Italia ne siano stati pubblicati pochi. Un altro autore che mi ha influenzato parecchio, almeno all’inizio, è William Gibson per il suo modo di incasinare anche le cose più semplici dando tutto per scontato.

Quando dedichi alla scrittura di racconti o romanzi in questo momento? Su cosa stai lavorando?

La scrittura e le attività a essa legate, come l’organizzazione di incontri con altri autori, occupano la gran parte del mio tempo libero, cioè almeno tre o quattro pomeriggi (o mattine, a seconda degli orari degli altri lavori) alla settimana. Negli ultimi due anni ho scritto qualcosa come cinquanta racconti (anche se tutti molto brevi) per far fronte alle collaborazioni con Il Secolo XIX e La Riviera. La cosa su cui ho lavorato di più ovviamente è un romanzo, "Il muro", una sorta di giallo generazionale che ho consegnato un paio di mesi fa al mio agente e che spero di pubblicare presto.

Oltre a scrivere racconti e romanzi tu collabori con quotidiani e hai organizzato incontri, conferenze e altro. Come è nato quest’altro filone di attività e quanto al momento è intersecante con la tua attività di autore?

La collaborazione con Il Secolo XIX di Genova è nata dalla magnifica idea del magnifico direttore Antonio Di Rosa di trovare qualcuno che scrivesse racconti gialli ispirati alla cronaca e all’attualità. Avrei dovuto esordire nel dicembre del 2001 con il racconto di Natale, in una serie che prevedeva anche testi di Giuseppe Conte, Maurizio Maggiani e Claudio Paglieri. Per un disguido il racconto non fu pubblicato. Puoi immaginare che Natale passai. Pochi giorni dopo, per rifarmi, proposi una sorta di racconto di Capodanno sull’avvento dell’euro. Non ci aveva ancora pensato nessuno. Il mio capo di allora, Sergio Buonadonna, mi disse: «Tu scrivilo, poi vediamo.» Uscii il 3 gennaio in prima pagina e il racconto piacque così tanto che il direttore mi telefonò a casa per farmi i complimenti e il giorno dopo il capo mi chiese un altro racconto per l’Epifania. Fu così che "Natale all’antrace" divenne "Befana all’antrace".
L’idea per gli incontri letterari mi venne invece la sera in cui presentai "Ombre" al Boulevard Cafè di Milano, insieme a Cappi e Ossola, il 13 maggio del 1999. Fu una magnifica serata e tornai a Imperia pensando che sarebbe stato bello organizzare delle serate simili anche dalle mie parti, magari abbinando le presentazioni a delle cene a tema, come già si faceva da qualche parte. Mia zia mi diede una mano mettendomi a disposizione il suo ristorante e così, un paio di mesi dopo, Cappi e Ossola sbarcarono a Imperia per la "Cena con l’assassino", la prima di una fortunata serie di "
Serate in giallo" destinate a ospitare personaggi del calibro di Tecla Dozio, Wilma De Angelis, Andrea Pinketts, Lucio Nocentini, Fabio Giovannini, Raffaele e Luca Crovi e altri. Il successo di questa iniziativa mi ha poi portato a organizzare incontri anche per conto di associazioni culturali e enti statali e parastatali, quasi sempre con un buon successo di pubblico.

Hai qualche aneddoto curioso come organizzatore di eventi – o come giornalista?

Un episodio veramente curioso risale al 13 gennaio 2001, in occasione della Serata in Giallo con Daniele G. Genova e Raffaele e Luca Crovi. Nel corso della cena che precedeva la presentazione Raffaele, poeta e scrittore dei più stimati, ma anche sfegatato tifoso milanista, mi comunicò che non avrebbe cominciato l’incontro finché non avesse saputo che cosa faceva il Milan con la Fiorentina nell’anticipo serale. Con l’aiuto di Luca e di una cameriera cercai una radio e mi sintonizzai sulla radiocronaca della partita. Il Milan perdeva due a zero. Sghignazzando andai a dirlo a Raffaele. «Stai scherzando!» mi rispose minacciando di boicottare l’incontro sul serio. Lo portai in cucina e riaccesi la radio, proprio nel momento in cui Enrico Chiesa segnava il tre a zero per la Fiorentina. Finì 4-0 con Raffaele Crovi rosso come un peperone per la vergogna e io e Luca in lacrime che lo sfottevamo. La presentazione andò benissimo, una delle migliori che abbia fatto a Imperia, e Raffaele fece un intervento coi fiocchi. Ancora adesso però, quando lo incontro, gli ricordo il fattaccio, suscitando la sua indignazione.

Oltre a scrivere racconti, collaborare con quotidiani, organizzare eventi, la tua attività rimane ancora piuttosto vasta, tanto che, cercando nei canali appropriati, si scopre che sei anche l’autore di almeno una avventura testuale scritta in Inform – avventura che tra l’altro ha avuto un ottimo riscontro. Come ti sei avvicinato alla IF?

Da bambino, con le avventure che uscivano in edicola sulle riviste Explorer e Viking, che oggi rivivono grazie alle roms del
Progetto Lazzaro http://www.ifitalia.info/Lazzaro/. Poi, col tempo, mi sono procurato anche i classici angloamericani, come Zork e The pawn. Probabilmente le avventure testuali sono state le prime cose che abbia letto, molto tempo prima dei fumetti della Bonelli, degli Urania e dei tascabili supereconomici della Newton che uscivano in edicola (e dei libri che avrei dovuto leggere a scuola!). Quello che mi è sempre piaciuto delle avventure testuali è il continuo stato di tensione in cui ci si trova giocando, data l’impossibilità di prevedere l’esito anche delle azioni più banali, tipo esaminare un tavolo o spostare un letto. Alla fine, quello che cerchi salta sempre fuori nel modo più disparato ma -quasi sempre- anche più logico (come in The pawn, dove per chiudere le porte dell’ascensore nel sotterraneo degli gnomi bisogna farle ‘scorrere’).

Perché hai scelto Inform – come linguaggio per questa attività? E come sono avvenuti i contatti con le altre persone della comunità italiana (attivissima) legata a questo diffusissimo linguaggio?

Preferisco non rivelare il vero motivo per cui ho cominciato a scrivere le mie avventure in Inform, abbandonando il Basic. Consiglio comunque a tutti di studiare Inform per scrivere avventure testuali. È divertente, facile da imparare, ci si può fare tutto e -cosa più importante- si possono raggiungere buoni risultati anche senza essere degli esperti. E poi, è freeware e può essere compilato e distribuito senza problemi.
I contatti con gli altri autori avvengono di solito tramite il newsgroup it.comp.giochi.avventure.testuali, fondato nel 1999 da Simone Zanella, che poi purtroppo ci siamo persi per strada. Il più attivo è sicuramente Vincenzo Scarpa che, pur non avendo ancora scritto giochi, è autore di un manuale per imparare a programmare in Inform che dovrebbe essere finito tra breve (on line su
http://www.casalengo.it/vscarpa/inform/manuale/) e che ha appena dato vita a una mailing list dedicata a Inform. Ricordo inoltre con piacere tutti quelli che mi hanno scritto, anche solo una volta, per avere aiuti sul gioco o per comunicarmi le dieci mosse finali per essere inseriti nella Hall of Fame. Nella cartella di Enigma ci sono ormai più di 800 messaggi e spero che continueranno ad arrivarne sempre. Con qualcuno siamo anche rimasti amici e ci scriviamo spesso.

Come è stato concepito Enigma? L’atmosfera – secondo me – è perfetta per questo tipo di momento interattivo: cupa, claustrofobia, ricca di cose che incuriosiscono e lasciano perplessi. Quanto tempo hai impiegato per arrivare alla versione ora scaricabile? Puoi dare qualche piccolo hint sui riferimenti o sui personaggi che si incontrano nell’avventura?

Ho cominciato a pensare a Enigma nell’ottobre del 1998, ma solo nel febbraio del 2001 ho trovato le forze (e il tempo) per realizzarlo. Volevo scrivere qualcosa che fosse interamente incentrato sullo studio dell’ordine di risoluzione dei vari problemi che il gioco presentava, senza preoccuparmi troppo dell’ambientazione o della trama, un po’ come nelle vecchie avventure della Topologika, quasi sempre ambientate in oscuri sotterranei pieni di trappole da evitare e tesori da collezionare nel giusto ordine. Alla fine credo di esserci riuscito, anche se molti appassionati hanno storto il naso di fronte a un’opera così "asciutta" (e scritta in basic anziché in Inform, almeno nelle prime versioni). Il gioco comunque non dà un attimo di respiro, in ogni locazione c’è qualcosa da fare, porte da aprire, oggetti da trovare, personaggi con cui interagire, indovinelli da risolvere, mostri da uccidere e tutto -ripeto- nel giusto ordine. Perciò non vi scoraggiate se non riuscite subito ad aprire l’armadietto o a trovare MaM, è assolutamente normale!
L’ultima versione, attualmente disponibile sul mio sito e su Volftp, è il frutto di due anni di lavoro di aggiornamento del codice incrociato con le decine di pareri, critiche, consigli, suggerimenti ricevuti sulle precedenti versioni. La nuvola, il distributore di Enigma Cola e altri dettagli sono arrivati sono nelle ultime versioni del gioco. Addirittura, un paio di anni fa, ho dovuto modificare radicalmente un problema del gioco (basato su delle lettere luminose da individuare in un testo), dopo aver scoperto che gli utenti non vedenti erano impossibilitati a risolverlo. Una gaffe imperdonabile!
Dei riferimenti e i personaggi del gioco posso solo dirti che gli ho dedicato una sezione speciale del gioco, che però potrai visitare solo dopo aver risolto l’Enigma! Comunque, se ti stai chiedendo dove abbia preso il Labirinto della Follia, forse farai bene a leggere "The killing joke" di Alan Moore, che Repubblica ha recentemente riportato in edicola nella serie dedicata ai fumetti d’autore.

Hai mai pensato di creare qualcosa di simile – ma multimediale?

Se ti riferisci alle avventure grafiche no. I punta e clicca non sono proprio il mio genere, anche se ricordo con piacere i vecchi "Zak Mckracken" e "Maniac Mansion". Da anni sogno di realizzare un rpg tipo i vecchi "Final Fantasy" ma non so da dove cominciare. Rpgmaker non è male, ma per quel poco che ne so richiede troppo lavoro di preparazione degli scenari, per i miei gusti. Costruire le città e le case pezzo per pezzo non mi entusiasma.
Quello che mi piacerebbe veramente è dare vita a un progetto che incrociasse vari livelli di intrattenimento, una sorta di ciclo trasversale con racconti, romanzi, videogiochi e -nel caso migliore- film tutti incentrati sullo stesso tema o ambientati nello stesso metaverso, ma senza una continuity precisa. Ho parecchie idee in mente, ma temo che ci vorranno aaanni per realizzarle!

Cosa pensi dell’editoria virtuale – professionale o amatoriale (come ad esempio la nostra)?

Ammiro e cerco di sostenere tutto ciò che viene fatto per passione, soprattutto nel mondo dell’editoria dove gli sciacalli non mancano. Purtroppo è sempre più difficile individuare delle iniziative serie tra le migliaia di pubblicazioni elettroniche che "infestano" la Rete. Credo comunque che valga sempre la pena pubblicare racconti su riviste e siti come Delos, Kult, Crislor, Fantasy Magazine, Carmilla che operano una selezione spietata sul materiale ricevuto e che sono seguiti da un pubblico affezionato e competente. Tuttavia dubito che si possa prescindere dal contatto con l’editoria vera e propria, quella che ci paga per avere un nostro testo da mandare in tipografia e poi in giro per tutte le librerie della penisola. Io preferisco sempre pubblicare su carta che sul web, a meno che non si tratti del sito del Corriere della Sera. O di Kult Underground! L’ideale, per avvicinarsi il più possibile al grande pubblico, è trovare contesti che siano seguiti a prescindere dalla nostra partecipazione, tipo i quotidiani o le riviste che non siano dedicate esclusivamente alla narrativa (e che, dati alla mano, sono lette soltanto da chi ci vuole pubblicare!). Le antologie fanno scena, ma devono essere promosse adeguatamente, altrimenti non se le fila nessuno.

E degli e-book? Che ruolo pensi che possano avere (se credi ne possano avere) nel futuro dell’editoria?

Mah! Confesso di essere sempre stato scettico sugli e-book. Si fa sempre una certa fatica a leggere sul monitor, specialmente quando si tratta di testi medio-lunghi. Non credo che potranno mai essere una buona risorsa per chi ambisce a ritagliarsi un ruolo professionale nel mondo dell’editoria (sia come autore che come editore) e sono assolutamente sicuro che non rimpiazzeranno mai il supporto cartaceo, troppo evocativo ma soprattutto comodo e sicuro per i lettori che ci sono oggi in giro, abituati a leggere più per piacere che per reale necessità e quindi poco disposti a "sacrificarsi" per il progresso. Nessuno beve il caffè col dolcificante se non è sovrappeso, perciò finché nelle librerie continueranno a esserci i libri di carta a prezzi abbordabili, la gente comprerà quelli. Ripeto, il web va bene per farsi conoscere, imparare tutto quello che c’è da imparare su come si scrive e come si pubblica, ma alla fine un editore che ci garantisca una pubblicazione seria al di fuori della Rete (magari anche ben distribuita e pagata decentemente) deve uscire.

Marco Giorgini

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