Pieno di boria e senso di superiorità avevo intenzione di lasciar passare "A proposito di Schmidt" senza andarlo a vedere. Mi dicevo che il suo turno sarebbe capitato dopo altri tre o quattro film in circolazione, e quindi mai, dato che non posso passare tutte le mie serate al cinema (anche noi abbiamo anima e famiglia…).
Poi, quando per la terza volta mi sono sentito dire che "piacerrebbe anche a te" ho acuito lo sguardo e la serata giusta è stata un lunedì, quando altri film più graditi non erano in programmazione, ma le stelle dicevano "cinema", e cinema è stato.
Warren Schmidt è una persona che ha tutto ma non si accorge di averlo fino a quando non lo perde, così, rapidamente e tra la maleclata indifferenza altrui. L’ultimo giorno di lavoro prima della pensione sembra un giorno come gli altri, ma gli ultimi minuti passati a fissare la lancetta dei secondi in una stanza spoglia e sgombra diventano eterni. Ad attenderlo, dopo, c’è una cena con i colleghi che lo vogliono salutare e poi il silenzio e la tranquillità della casa e di sua moglie. Schmidt è silenzioso, la cena è un rito macabro e intollerabile, quanta retorica da parte del suo sostituto e quanta amarezza dentro sè. Warren beve qualcosa da solo e poi, in silenzio, si reca a casa, per la prima volta da pensionato. Il giorno dopo, sveglio alla solita ora, ha qualcosa da fare e tutto pare scorrere come dovrebbe, ma l’aria è tesa, qualcosa non va. Schmist prova a recarsi in ufficio credendo di dare una mano al suo sostituto che però ha già rivoluzionato la stanza e non ha certo bisogno di lui. Poi si concede un frappè, poi vaga un po’, poi torna a casa raccontando alla moglie di quanto manchi ai suoi colleghi. Ma l’aria è ancora tesa, qualcosa deve succedere. Il mattino dopo scopre un enorme caravan in giradino, è il sogno di sua moglie che si avvera: potranno girare il paese portandosi la cas dietro. Ma ancora qualcosa non va. Quando scopre la moglie morta per Warren è la fine, ma non se ne rende ancora conto. Troppo abituato ad un’esistenza che non può più vivere si aggrappa alla figlia che però lo tratta freddamente e frettolosamente. Così Schmidt decide di impugnare il volante del caravan e raggiungere sua figlia per il matrimonio, anche se è tutt’altro che contento dello strampalato marito che sta per scegliersi.
Inutile dire che il viaggio sarà l’occasione per ritrovare sè stesso e soprattutto sè stesso in rapporto con gli altri. Di più non è lecito dire, anche se "A proposito di Schmidt" dà il suo meglio nei particolari, negli sguardi, nelle inquadrature e in Jack Nicholson, strordinario nonostante una mimica facciale molto essenziale.
Beh, sì, il film mi è piaciuto. La storia non è una novità, è vero, ma sono appunto le piccole cose, le pause, i paesaggi di provincia, gli interni delle case senza cancello degli americani a renderlo un buon film. Con un gusto ed un’attenzione degna di nota, il regista Alexander Payne trae dal recente romanzo di Louis Begley un risultato essenziale e allo stesso tempo denso di significati, drammatici e comici.
A volte, sbagliando, si impara e con "A proposito di Schmidt" è facile entrare al cinema credendo di vedere un filmetto di un grande attore in rapida discesa oppure una commediola senza capo nè coda. Per rinvigorire il mio orgoglio devo confessare che mi sono sentito sollevato nel sentire qualche commento negativo da parte del pur numeroso pubblico reggiano del lunedì sera, perché sono convinto che se fosse piaciuto a tutti non sarebbe stato altrettanto bello. Nicholson vive una terza o quarta giovinezza e con quetso ruolo si prepara ad alcuni anni di film da "nonno" senza intaccare per nulla il suo mito. Bel colpo.
A proposito di "A proposito di Schmidt"
Benatti Michele