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La fine della guerra

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La fine della guerra

– Cosa ne dici? – chiese George.
E c’era un certo tono di soddisfazione nella domanda.
Martin osservò attentamente il manufatto. Lo toccò leggermente cercando di saggiarne la consistenza, e provò a spostarlo. Era pensante. Apparentemente di metallo, freddo. La forma era assurda. Si stupiva che potesse rimanere in quella posizione senza cadere. Anche se, cadere, ma da che parte? La geometria di quell’oggetto era così strana che non riusciva veramente a capirla. Sembrava quasi che cambiasse leggermente forma a seconda del punto di osservazione, in modo da nascondere sempre qualcosa. Strisce di plastica rossa lo striavano fin quasi alla base, e zone di vetro scuro sembravano occhi sul suo lato destro.
– Notevole. – rispose, cercando di dare a quella risposta neutra un calore che non offendesse George.
La luce, in quel piccolo garage, diventato da tre mesi a questa parte una specie di laboratorio, era bianca, intensa e asettica, ma sembrava che l’oggetto la ignorasse completamente. Anche le ombre sembravano
“corte”, per come poteva immaginare.
– Sì, infatti. – disse George, raggiante. – Sì, è splendido. Ci ho lavorato tutte le sere per almeno otto settimane. – Fece una pausa, guardandosi intorno. – Non ti dico Luise quante storie ha fatto –
– Immagino… –
– Ma… ma adesso che è finito penso che mi chiederà scusa. –
Martin guardò l’amico con uno sguardo di compatimento.
– Luise? –
George parve riaversi un attimo, e il suo volto, fino a poco prima raggiante e leggermente inquietante, ritornò per un secondo quello di sempre. I suoi occhi azzurri erano stanchi e sembravano in qualche strano modo, distanti. Distaccati.
– Beh, no. Sì, penso che Luise non mi chiederà scusa… ma forse capirà. Dovevo finirlo. E dovevo farlo in fretta. –
– Dovevi? –
– Sì. Dovevo. Ogni giorno che passava sentivo il progetto diventare meno chiaro. Meno reale. Se avessi impiegato ancora un altro paio di settimane, non penso che sarei riuscito a finirlo. –
Martin lo guardò perplesso.
– Non capisco. Questo non è il progetto che hai presentato alla
Ruffin, e che hai depositato all’ufficio brevetti in marzo? –
Ma guardando l’oggetto che troneggiava sul vecchio bancone di legno, si rese conto di sapere già la risposta.
– Sì… no. Cioè. Quando sono partito, la mia idea era di creare un prototipo di quella macchina utilizzando materiale d’uso comune. Ferro al posto della lega di varinox. Plastica al posto di quei polimeri che abbiamo studiato.
Volevo vedere se era possibile diminuire i costi di realizzazione. O forse ne volevo uno fatto con le mie mani. Non so. Non mi ricordo perché mi sono messo a lavorarci su. Ma poi, beh, mentre lavoravo mi veniva in mente modifiche. –
– Modifiche? –
– Sì. Non necessariamente miglioramenti. Modifiche. Un pezzo così, al posto di un pezzo cosà. Un circuito di tipo X al posto di quello di tipo Y. Cose del genere. Cose estremamente interessanti. Una nuova idea ha cominciato pian piano a prendere forza dentro di me, e io mi sono limitato a seguirla. A realizzarla. –
Martin diede di nuovo un occhiata al manufatto. Cos’era, si chiese?
Lui non sapeva a cosa stava originariamente lavorando George (George lavorava per l’esercito, e lui non faceva mai domande), ma sapeva che negli ultimi anni il suo amico aveva realizzato grandi cose per le loro forze armate. Sistemi di puntamento. Rilevatori di movimento.
Segnalatori. L’unica cosa che George si era sempre rifiutato di fare erano le armi.
A parte quello, l’esercito chiedeva, e George, come il genio della lampada, creava. Non era mai lui ad avere un idea. Gli altri gli dicevano “Sei in grado di fare questo? In modo che funzioni così?” e lui rispondeva “sissignore”, e nel giro di sei mesi, quella cosa, potevate giurarci, sarebbe stata pronta e funzionante.
Quella invece era un’invenzione tutta sua?
Martin toccò di nuovo la parte di sopra dell’oggetto, e lo spinse leggermente. Gli sembrò che non ci fosse molta resistenza, ma non riuscì comunque a muoverlo. Erano forse cambiate le ombre mentre spingeva?
– So che non te lo dovrei chiedere, George… ma stavolta sono troppo curioso. Cos’è questa cosa? Se non puoi rispondere dimmelo pure. –
George lo guardò negli occhi con un’intensità che non gli sembrava di riconoscere. Poi si avvicinò alla porta del garage, guardò fuori un attimo, e la chiuse a chiave.
– Sicuro. – rispose. Si riportò davanti a lui, in modo da avere l’oggetto in mezzo a loro, e tirò fuori da un cassetto una specie di enorme telecomando.
– Cosa ne sai della guerra, Martin? –
– Quello che leggo sui giornali. Quello che dice la gente per la strada e dal barbiere. Stiamo per vincere. Questione di tempo. Al fronte è molto dura, ma i nemici sono ormai allo stremo. La loro economia è in crisi, e ci sono moti di rivolta tra le schiere che dirigono tutta la baracca. –
George attaccò un grosso cavo rosso e nero alla base dell’apparecchio.
Poi collegò l’altro capo al telecomando.
– Temo che quello che sai non risponda al vero. Quello che ti sto per dire è ovviamente riservato e ti prego di non dirlo a nessuno. Lo stato sta spendendo molti soldi per evitare che si sparga il panico tra la popolazione, ma la verità è che noi siamo quelli con dei problemi. Noi siamo quelli che non riusciranno a continuare a lungo con questa guerra. Sì, anche gli altri hanno delle difficoltà, ma stanno per rinforzare le loro schiere con aiuti esterni, e allora saranno grossi guai per noi. –
Martin non seppe cosa rispondere. Il governo mentiva? Stavano veramente per perdere la guerra? Non riusciva a crederci. Ma di certo
George era a conoscenza di fonti più autorevoli dei quotidiani. Era in contatto diretto con chi la guerra la stava facendo.
– E così, ho avuto questa idea. Mi è venuta questa idea terribile e splendida insieme. Dimmi Martin, chi sono le persone più importanti in una guerra come questa. In una guerra in cui ogni giorno vengono creati nuovi mezzi di attacco e di difesa, sempre più mortali e sofisticati? –
– I generali? –
– No. Secondo me, no. Sono gli scienziati, i tecnici come me, ad essere fondamentali. Loro creano un missile in grado di superare le nostre difese, e noi creiamo nuove difese in grado di resistere e un missile ancora più potente e inafferrabile. Loro creano virus per i nostri computer, noi antivirus e virus più aggressivi per le loro linee di comunicazione. I tecnici, quelli che sanno fare le cose, sono il punto di forza. Sono loro a creare le armi con cui la guerra si combatte. –
– E allora? – chiese Martin. – Cosa vuoi fare? Li vuoi eliminare tutti con questo oggetto? E’ un cacciatore-di-tecnici? –
– Non scherzare Martin. La cosa è seria. Lo sapevi che il nostro governo negli ultimi mesi ha tentato di mettere a punto una macchina per il controllo mentale? –
– Cosa? –
– Hai presente come funziona l’ipnosi? Si voleva ottenere un effetto simile, stimolando con delle onde particolari le menti delle persone.
Se ci fossimo riusciti avremmo potuto far rivoltare i soldati nemici contro la loro stessa nazione. Avremmo vinto la guerra subito e senza più perdere nessuno dei nostri. –
– Ci siete riusciti? –
– No. Putroppo no. Solo pochissime persone sono sensibili agli strumenti che siamo riusciti a produrre. Una su un milione, circa.
Persone con un QI elevato e una predisposizione per l’ipnosi. Inoltre anche quando queste persone venivano suggestionate dalle nostre macchine non era possibile dire loro di fare qualcosa che fosse contrario ai loro principi. Potevi al massimo imporre di scegliere una cosa al posto di un’altra. Di andare a giocare a golf invece che a tennis. Ma non potevi dire loro di lasciare il loro lavoro. Nè tantomeno di sparare o ferire o immobilizzare un loro compagno. –
– Direi che con questi limiti non serva a molto. Non è possibile fare di meglio. Amplificare il segnale. Forzare di più la mente? –
– Sembra di no. Anche i nostri nemici hanno avuto un’idea simile, ma il nostro spionaggio ha detto che anche loro sono arrivati a questo limite. Forse si dovrebbe intraprendere un’altra strada. Ma sarebbe un’altra perdita di tempo e un altro costo elevatissimo. Metti che si riesca anche a migliorarla di dieci volte, cosa servirebbe riuscire a costringere una persona su centomila a sparare contro i suoi compagni?
No. Bisognava pensare a qualcos’altro. Bisognava capire e sfruttare questa macchina per come già funziona adesso. –
George cominciò a premere alcuni pulsanti e la macchina si mise leggermente a ronzare.
– Che cos’è questa, George? Qual’è l’idea che hai avuto? –
– Senti qua: ti ho detto che con l’apparecchiatura di controllo mentale è possibile influenzare circa una persona su un milione. E non una persona qualsiasi. Qualcuno con un QI elevato. –
– Plausibilmente un tecnico, quindi. Uno scienziato. –
– Vedo che cominci a capire. –
– Ed in che modo vuoi influenzare questa persona su un milione? –
– Beh, immetto nella sua mente un progetto particolarmente complesso e brillante. Un progetto che secondo lui potrebbe essere la chiave per risolvere la guerra, favorendo la sua nazione. In questo modo, non avrebbe remora alcuna a realizzarlo. Un progetto conforme alle ultime scoperte scientifiche del suo esercito, in modo da sembrare così una naturale evoluzione di qualcosa di cui ha già sentito parlare, e che si è rivelato uno spreco di denaro e di tempo. Così penserà “ho preso il frutto delle migliori menti del mio paese e l’ho migliorato quel tanto che bastava per farlo funzionare”. Ovviamente nello schema che gli invierò c’è un piccolo, piccolissimo ed impercettibile errore. –
Si fermò un attimo, e poi riprese. – Lo sapevi che ormai quasi tutte le apparecchiature belliche, anche le più innocue sono costruite per funzionare esclusivamente con energia atomica? –
George sorrise sornione, continuando il processo di accensione della macchina.
– Di cosa stai parlando? – chiese Martin. La voce gli sembrava uscire a stento. Qualcosa dentro di lui suonava come un campanello d’allarme.
– Invierò loro lo schema di una macchina come questa. Una macchina per il controllo mentale a distanza con il diagramma per suggerire la stessa idea che ti ho appena presentato. Ma, e qui, sta il bello, quando premeranno questo pulsante giallo, esploderà. Esploderà distruggendo il cuore dello stato nemico, sventrandolo dove crede non esserci pericolo. E un’altra persona su un milione, o al peggio su due, farà la stessa cosa da qualche altra parte, quasi in simultanea.
Facendo esplodere lo stato dall’interno. Facendo finire la guerra per sempre. –
Il dito di George si pose sul pulsante giallo, che lampeggiava fuoriosamente.
Martin, pietrificato, chiese – Ma non sei sempre stato contrario a costruire armi? –
E George sorridendo rispose – In effetti ci avevo pensato, e stavo per lasciare perdere tutto. Poi ci ho riflettuto sù e mi sono detto, ehi, ma questa non è veramente un’arma. Non esplode, non ferisce, non uccide direttamente nessuno. Suggerisce solo qualcosa a qualcuno.
Tutto qui. –
– Non ti ricorda un po’ la storia di un certo serpente? – chiese
Martin, con un filo di voce.
– Mmh? – replicò George, senza troppa convinzione.
Poi premette il pulsante giallo.
E la guerra, almeno per qualcuno, finì per sempre.

Marco Giorgini

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