(Mursia)
Un thriller ambientato a Milano che rappresenta la prima felice prova narrativa di Elisabetta Bucciarelli, una giornalista che lavora da anni per il cinema e per il teatro. Il romanzo evidenza le notevoli capacità di sceneggiatrice di questa autrice che riesce a man dare avanti la storia utilizzando una serie di dialoghi serrati e credibili. Non è un pregio da poco per una scrittrice di thriller (genere che non amo molto), perché la narrazione risulta rapida e incisiva, non si perde dietro a fronzoli letterari e va subito al sodo. Il protagonista della vicenda è l’immancabile ispettore di polizia che corre dietro all’altrettanto immancabile serial killer, che per l’occasione sfoggia molto buon gusto e uccide soltanto gente del bel mondo che frequenta bar alla moda e gallerie d’arte. Perché parlare di questo libro se è il solito giallo all’italiana ambientato a Milano con un serial killer che uccide e un ispettore che indaga? Prima di tutto perché è ben scritto (e di questi tempi mica è poco) e poi perché l’autrice riesce a realizzare un quadro di una Milano degradata e corrotta che è molto efficace. “Quasi tutti lavorano in un posto che odiano. E la sera questo odio si riversa nei numerosi bar-incontro per l’aperitivo”, racconta la Bucciarelli. Il romanzo descrive il rito della Milano da bere, una cosa alla quale non puoi rinunciare se vuoi restare nel giro importante di certi ambienti lavorativi. L’ispettore che conduce l’indagine si circonda di aiutanti che fanno parte della fauna variegata di una città fatta di esibizionismo e di nuovi ricchi: un copywriter, un fotografo di moda, un musicista e un pittore. Tutto ruota attorno all’happy hour e quando si consuma l’aperitivo accadono i delitti, ma sullo sfondo di questa Milano in mano ai designer e ai creatori di moda scorrono le notizie del telegiornale, le interviste di Maurizio Costanzo e il vuoto assoluto di chi soltanto vive di apparenze. Non solo un giallo, quindi. E per questo ne parlo.