Riforme istituzionali in Italia: la questione federalista
(III e ultima parte)
“Non potendo cambiare gli uomini,
si cambiano senza tregua le istituzioni
Gorge Clemenceau
Dopo qualche mese di assenza mi riaffaccio dalla tribuna di Kult, per illustrare le linee essenziali di una tematica di estrema attualità, in modo da fornire (come sempre) ai “pazienti” lettori di questa rubrica, qualche spunto per riflettere e valutare l’attuale momento politico-istituzionale.
Gli anni ’90 hanno visto crescere, nel nostro paese, l’attenzione dell’opinione pubblica sul ruolo che gli Enti e Collettività locali potrebbero ricoprire nella relazione tra cittadini e autorità statale.
La spinta verso un trasferimento delle competenze1, anche legislative, dallo Stato alle Comunità locali è stata avvertita, molto prima e più che in Italia, in altri Paesi europei ed extraeuropei che hanno già da tempo organizzazioni statuali di tipo federale (Svizzera, Germania, Austria, Belgio, Stati Uniti d’America).
L’Italia ha un sistema istituzionale “intermedio” che ha posto come interlocutore dello Stato le Regioni2.
Le caratteristiche che denotano un grado di federalismo o regionalismo, più o meno accentuato sono almeno tre:
-A) l’autonomia ( di organizzazione interna, di imposizione di tributi) delle Regioni o stati membri;
-B) la ripartizione delle competenze legislative ed amministrative fra Stato ed Enti locali, lasciando al primo un dominio riservato su poche materie fondamentali e il resto alla disciplina degli organi legislativi locali;
-C) l’esistenza di una Camera rappresentativa degli Stati o Regioni (come in Germania il Bundesrat3, in Svizzera il Consiglio degli Stati, in Belgio4 e negli USA il Senato).
Non tutte queste caratteristiche sono presenti nell’attuale sistema regionale italiano. In particolare, al contrario dei Paesi federali, la Costituzione italiana elenca (art.117) diciotto materie che le Regioni possono disciplinare (fra cui Assistenza Sanitaria; Istruzione Professionale, Urbanistica, Turismo, Artigianato, etc.), mentre tutto il resto viene disciplinato dallo Stato.
L’Autonomia finanziaria regionale è limitata “…alle forme stabilite dalle leggi della Repubblica” (art.119 Cost.).
In pratica le Regioni, oggi, dipendono finanziariamente dai trasferimenti di fondi che lo Stato decide di assegnare a ciascuna di esse, ogni anno in sede di Legge Finanziaria. Anche la disposizione dello stesso art.119, secondo cui: “Alle Regioni sono attribuiti tributi propri…”, è stata attuata dallo Stato in modo da non permettere alle stesse una eccessiva libertà di bilancio e la possibilità di predisporre una propria politica finanziaria ed economica, che contrastasse troppo con quella, fortemente accentrata, dello Stato.
Dunque5, già l’attuale dettato costituzionale consentirebbe di realizzare (almeno in una forma meno radicale) il cosiddetto “federalismo fiscale” (formula molto in voga ma concettualmente forse scorretta, in quanto il federalismo mal sopporta gli aggettivi che lo limitano ad aspetti particolari). Una più attenta riflessione sull’estensione dell’Autonomia tributaria Regionale dovrebbe portare a restringere l’intervento della legge statale che dovrebbe limitarsi a coordinare le finanze regionali con quella nazionale, e lo Stato centrale dovrebbe, contrariamente ad oggi (come detto prima), ricevere i fondi da ciascuna Regione.
Infatti, nell’ambito di una riforma organica e in senso federale della Costituzione, ribaltando l’attuale sistema, poche e specifiche competenze dovrebbero rimanere allo Stato Federale (politica estera, Difesa, Ordinamento Giudiziario, ad esempio) e ogni altra materia di intervento pubblico dovrebbe essere “deconcentrata” alle Regioni, le quali raccoglierebbero i tributi direttamente dai contribuenti sul proprio territorio e in seguito ne trasferirebbero una quota allo Stato centrale, per soddisfare le sue esigenze. Questo permetterebbe di realizzare, inoltre, quelle indispensabili politiche unitarie di sostegno alle aree meno sviluppate e di stabilizzazione macroeconomica.
Quando6 si dice che la nuova Repubblica dovrebbe essere Federale, ci si dovrebbe riferire a un federalismo vero che, nella sostanza, creare le Regioni-Stato. Non si tratta, cioè, di aggregare o disgregare pezzi di territorio, bensì dotare le Regioni di funzioni politiche e poteri effettivi (non pilotabili7 dallo Stato centrale).
In altre parole, significa che lo Stato centrale si “destruttura” conservando alcune funzioni che gli sono peculiari e le Regioni assumono veri e propri poteri con liberi modelli8 di organizzazione pubblica, sociale ed economica. La rottura di questo centralismo giustifica, per altro, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica da parte dei cittadini, proprio a testimonianza che il valore dell’unità nazionale, rimane integro anche nella modificata forma di Stato.
Il dibattito sul federalismo nell’Italia Repubblicana si sviluppa soprattutto a partire dagli anni ’80, per iniziativa soprattutto del “Gruppo di Milano” coordinato da Gianfranco Miglio9, che assieme ad altri docenti Universitari, ha elaborato un progetto di radicale riforma del rapporto fra Stato e Regioni e del Bicameralismo.
Il Gruppo ha disegnato una soluzione, sul secondo ramo del Parlamento, che dovrebbe fare del Senato un organo di rappresentanza di interessi locali. Esso dovrebbe essere sostituito da una “Camera delle Regioni”, organo permanente composto (secondo il modello del Bundesrat tedesco), da membri appartenenti alle Giunte regionali (i “Governi” delle Regioni), che li nominano e li revocano: meno di un centinaio di persone in tutto.
Fra i progetti di maggior rilievo figura la Costituzione Federalista10 della Lega Nord e la proposta Bassanini11. Nella prima si legge che “il Parlamento si compone dell’Assemblea Federale e dall’Assemblea degli Stati”, dove la prima è da intendersi come la Camera dei Deputati e la seconda è, con poche modifiche, la riproduzione dell’attuale Senato. La Federazione italiana sarebbe composta da 9 Stati12.
La Lega, comunque, non esclude che gli Stati possano essere solo tre (Nord, Centro, Sud), e lascia aperte altre strade.
Più sintetico il progetto Bassanini, risalente anch’esso al 1994. In esso si precisa: “Le Regioni esercitano tutti i poteri non riservati espressamente allo Stato federale della Costituzione”.
Trasforma il Senato, mantenendone il nome ma cambiandone la composizione (“è costituito dai Presidenti delle Giunte e dei Consigli Regionali…”). “La funzione legislativa è esercitata dallo Stato federale e dalle Regioni…è esercitata collettivamente (dalla Camera e dal Senato) per le leggi Costituzionali e di revisione della Costituzione”.
È questo un buon progetto, il cui unico difetto, comune anche a quello della Lega (incredibile a dirsi) è che le materie di competenza statale continuano ad essere troppe (ben 19).
Alberto Monari
Il Paese che chiede molte riforme,
ne riesce a realizzare poche.
Hans Kelsen
[1] Feliciano Benvenuti, noto amministrativista, parla a questo proposito di “deconcentrazione” cioè di passaggio di funzioni pubbliche dalla Persona Giuridica Stato ad altre Persone Giuridiche diverse, come le Regioni. Col termine “decentramento” si fa, invece, riferimento al fenomeno di trasferimento di funzioni da un organo dello Stato (es. Ministero Pubblica Istruzione) ad un altro organo locale, dipendente ugualmente dallo Stato e appartenente allo stesso ramo dell’amministrazione (es. Provveditorato agli Studi). Appare evidente come la nostra Repubblica sia fortemente “decentrata” dal punto di vista amministrativo (a livello provinciale soprattutto), ma poco “deconcentrata”, vista la pochezza delle funzioni delle Regioni e dei Comuni.
[2] Esse sono caratterizzate da una posizione di subordinazione nei confronti dello Stato a differenza degli Stati membri di uno Stato Federale, che per tutta una serie di rapporti sono in una posizione di parità rispetto allo Stato centrale. Questi Enti sono titolari di una Autonomia Costituzionale e non meramente legislativa, come se fossero, cioè, Persone Giuridiche a se stanti e non dipendenti da quella dello Stato federale.
[3] Vedi Kult n.7/8, 1996, rubrica Diritto.
[4] Il caso di federalizzazione più recente fra i Paesi occidentali è quello belga, ma si tratta di una realtà molto particolare che invece di essere lo sviluppo di una chiara suddivisione di potere e autorità politica fra le tre entità (Vallonia, Fiandre, Bruxelles) prevista dalla nuova Costituzione del febbraio 1993, è il risultato di tendenze centrifughe che hanno eroso lo Stato unitario. Di conseguenza, la federalizzazione in Belgio è tata realizzata più per istituzionalizzare le diversità, che per combinarle.
[5] Da un’idea di Franco Gallo: “La Repubblica” del 12/01/1996.
[6] Da un’idea di Paolo Bagnoli: “Il sole 24 ore” del 22/02/1996.
[7] Nonostante le buone intenzioni dei redattori della Costituzione, le forze politiche presenti in Parlamento, non hanno mai voluto la piena attuazione del titolo V° della Carta, intitolato “Le Regioni, Le Province, I Comuni”. Le ragioni sono state diverse nel corso dei decenni (vedi Kult, n.7/8 1996, nota sul parlamento italiano), e anche oggi è fortemente dubbio che vi sia la reale volontà, nelle Forze politiche di maggioranza, di trasferire molti poteri (soprattutto quelli finanziari), dal centro alla periferia, malgrado il recente avvio della Commissione bicamerale per le riforme.
[8] Potremo avere, quindi, Regioni che scelgono una organizzazione istituzionale di tipo “presidenziale” e altre regioni che scelgono un modello “Parlamentare”, Regioni che sceglieranno modelli economici più vicini al liberismo, e altre che opteranno per un approccio più protezionista nei confronti della produzione e dell’assetto commerciale. Chiaramente sarà necessario specificare, in Costituzione, alcuni principi comuni, non prescindibili dalle singole entità regionali, come il rispetto delle regole di Democrazia o la protezione delle fasce sociali più deboli, la tutela della proprietà privata etc., etc. (Prof. A Mattioni, Lezioni di Diritto Regionale, A.A. 1995/96, Università Cattolica-Milano).
[9] Già docente di Scienza della Politica all’Università Cattolica, e ideologo della Lega Nord, il Partito che fin dal suo sorgere, ha individuato nel federalismo, il proprio obiettivo politico essenziale, per scegliere la strada della Secessione del Nord Italia dal resto del Paese, dopo aver compiuto una serie di errori di strategia e tattica politica.
[10] Fu presentata il 6 novembre 1994, poco prima cioè del momento in cui, a causa della defezione della stessa Lega Nord, il Governo Berlusconi entrò in crisi e cadde. Questo progetto non poté essere nemmeno discusso.
[11] Il Prof. Franco Bassanini è l’attuale Ministro per la Funzione Pubblica del Governo Prodi, in carica dal 17 maggio 1996.
[12] 1) Nord Ovest, 2) Lombardia 3) Triveneto 4) Emilia-Toscana 5) Romagna-Umbria-Marche-Lazio 6)Sud-Est 7) Campania-Calbria 8) Sicilia 9) Sardegna. Roma città, viene costituita in Distretto Federale.