La situazione
ovvero
lo strano caso del signore col cappello
Sin dalla premessa ci s’imbatte in questo romanzo d’esordio in una dichiarata volontà affabulatoria, avvertita anche nell’opzione per un periodare largo, di prosa adagia, ricca di dettagli, e per la trasposizione della vicenda, come appunto nelle favole, in ambito geografico e temporale non identificato, dentro, cioè, i paesaggi dell’anima.
In tal senso, il libro s’insinua nella tradizione tutta campana di lunga fedeltà al cunto, cominciata con G. B. Basile e proseguita, ai giorni nostri, fino a D. Rea e oltre.
L’A. stesso invita il lettore a collocare Metamonte nel luogo e nel tempo che si vuole, lo descrive tangibile e abitato, come sono spesso i cocuzzoli delle montagne meridionali, ma la realtà coi suoi garbugli di dolore, di stress, di disagi, di disumanità si tiene alla larga dal paese, che vive ben riparato dalle tempeste della vita, tanto che una situazione delinquenziale occorre costruirla di sana pianta, in piazza, seduti al tavolino di un bar.
Questa sorta di realismo fittizio c’induce a credere ad una certa propensione se non proprio nostalgia di S. per tempi più quieti, con rapporti interpersonali non conflittuali, improntati piuttosto alla cortesia, allorché diffusamente era presumibile anche una vita coniugale in armonia. Probabile elogio anche della leggerezza con cui si dovrebbe rimparare a vivere.
Saper essere significa avere raggiunto la capacità e le risorse per evolversi e per sopravvivere con la natura e le sue creature.
Si avverte una forma di autocompiacimento a movimentare personaggi ed eventi, perché, essendo un romanzo della maturità, lo scrittore ha avuto modo di far decantare i connotati intellettuali e psicologici più compiuti della sua personalità, quanto di meditare sulla filigrana di fatti, persone e destino coi quali nel quotidiano s’intreccia di solito la propria vita. Di qui la bonomia e la palese ironia con la quale accompagna le sue creature, persino nella scelta dei nomi.
Fino, per esempio, conservatore, saccente, prevaricatore, è dotato, per contrappasso, del cognome più appropriato. Tuttavia S. non infierisce nemmeno su di lui, trattando tutti i protagonisti con la stessa simpatia. Sembra quasi che non si voglia decidere ad abbandonarli, nemmeno quando la vicenda si conclude.
Sapeva di tutto: politica, letteratura, religioni, sport…Era anche in grado di intavolare una discussione sulla capacità delle mosche di cambiare improvvisamente traiettoria in volo senza averne danni.
Talvolta l’atteggiamento sornione di S. dietro la pagina s’intravede nella costruzione di scene esilaranti, quasi da commedia degli equivoci, per esempio nel trambusto di Fulvia, la moglie del medico, quando crede che il marito abbia scoperto la macchia antica della sua famiglia.
Romanzo corale fluido ed equilibrato, inatteso giacché opera prima di solito dai definiti caratteri autobiografici. Qui in un’atmosfera sospesa l’A. ha dato luogo ad un universo parallelo, nel quale probabilmente egli è ciò che sa di essere e in quell’ambito della sua immaginazione ha potere assoluto, persino della vita e della morte.
Metamonte come fuga?
In ogni brano s’intravede il godimento che S. ha provato a reggere, se pur all’apparenza e per il breve percorso di un romanzo, le sorti del mondo e tale piacere riesce a comunicarlo al lettore che possa condividere con lui tante emozioni.
La saggezza dello scrittore non è dunque improvvisata, ma è la conquista degli anni, grazie, probabilmente, a tratti caratteriali, che ancora prima lo hanno indotto alla scelta di studi scientifici e quindi a diventare medico di professione.
Colpisce la vastità degli interessi e l’opinione agguerrita sugli argomenti più disparati. Nulla si dà per scontato. Quasi si trasformasse di tanto in tanto in un saggio, il romanzo muove da punti di vista sempre originali su questioni di ampio impatto sociale. Nelle argomentazioni dei numerosi personaggi si affrontano problemi vari: l’educazione dei figli, i metodi dell’insegnamento delle lettere, il gioco infantile arrivando, nel cap. X, ad assumere quasi una valenza pedagogico-didattica. L’A. ha la sua opinione mai convenzionale anche sulla giustizia, sui rapporti interreligiosi, sullo sport e soprattutto sulle donne.
A questo proposito arriva a delle considerazioni che le donne hanno intravisto solo dopo anni di battaglie e dibattiti.
Se non ci rendiamo conto della nostra forza, continueremo a piangerci addosso, per poi concludere con tenerezza poetica:
La donna vive più a lungo perché la natura ha maggior bisogno di lei.
Davvero insolita l’ammirazione che l’A. tradisce per l’intuito e le altre attitudini mentali dell’universo femminile, scrutato appunto con amore, complicità e rispetto non occasionali. Ad una donna e alla sua perspicacia è affidato lo scioglimento della vicenda.
Il connotato psicologico è sorprendente. Anche il personaggio minore si muove in una sua compiutezza. A Berto, il più ignorante del paese, il compito di dileggiare certa cultura libresca che nulla spartisce con l’intelligenza.
Solo Berto, il più ignorante del paese, poteva risolvere l’anagramma del suo nome.
Altra astuzia narrativa ragguardevole è l’impianto teatrale di alcuni sfondi. Tutti i dialoghi della piazzetta di Metamonte, trasformata in palcoscenico, tra dotte dissertazioni e morboso interesse verso un ospite recente, hanno proprio l’assetto tipico della rappresentazione scenica, quasi, per analogia, a suggerire, con Pirandello, che in fondo l’uomo non recita che una piccola parte nel vasto consesso del tempo.