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Aggravante clandestinità

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(nota[1])
 
L’abuso e la disubbidienza nei riguardi della legge,
non possono essere impediti da nessuna legge
Giacomo Leopardi
 
Una delle più norme più discusse e contestate del cosiddetto “pacchetto sicurezza”[2], col quale il Governo Berlusconi ha dato forma alla propria “linea dura” in materia di sicurezza e ordine pubblico, fin dall’inizio del proprio mandato nel maggio 2008, è quella che inserisce nell’articolo 61 del Codice Penale[3] una ipotesi di “circostanza aggravante comune” del reato[4], per cui “Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi …, le circostanze seguenti: … «11-bis. l’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale.».
In pratica, al fine della lotta alla criminalità clandestina, si è voluto creare un deterrente psicologico nei confronti di quei soggetti che intendono entrare o rimanere clandestinamente in Italia, e che intendono commettere crimini sul territorio dello Stato.
Il criminale il cui reato può essere valutato alla luce di questa circostanza, è non solo l’extracomunitario clandestino entrato illegalmente (o quello già espulso e rimasto nel territorio), o l’immigrato in genere che, per qualunque causa, abbia fatto scadere il permesso di soggiorno temporaneo (o titolo equivalente), ma anche il cittadino comunitario allontanato dal territorio dello stato (per particolari ragioni previste dalla legge essendo quest’ultimo del tutto equiparato al cittadino italiano).
Ed è proprio da questa particolare prospettiva che la norma appare quanto meno incompleta.
“L’aggravante di clandestinità é contraria al diritto comunitario quando viene applicata ad un cittadino della Ue[5]. E’ quanto sostiene il parere emesso dai servizi giuridici del Parlamento europeo a seguito di un’apposita richiesta di chiarimenti avanzata da Gerard Deprez, presidente della commissione libertà pubbliche dello stesso Europarlamento, sulle norme adottate dall’Italia
Il parere, presentato al commissario Ue alla giustizia, libertà e sicurezza Jacques Barrot, afferma che “le disposizioni concernenti il diritto comunitario si oppongono a una legislazione nazionale che stabilisce una circostanza aggravante generale, in relazione a un crimine o a un delitto, per il solo fatto che la persona interessata sia un cittadino di uno Stato membro che si trova irregolarmente sul territorio di un altro Stato membro”. Quindi, se l’irregolare è comunitario non può essergli applicata alcuna aggravante, “mentre il caso di un extracomunitario rientra nelle esclusiva competenza del Paese interessato, e la norma italiana non specifica se lo straniero/criminale sia comunitario o extracomunitario”.
Considerato che si tratta di “circostanza comune”, questa si applica sia ai reati dolosi che a quelli colposi, e non sembra possano sussistere dubbi di costituzionalità della norma, anche se si basa sullo status soggettivo del reo.
Più di un giurista (o Avvocato interessato ad una difesa in procedimento penale)[6], ha subito affermato che “La previsione dell’aggravante della clandestinità è illegittima costituzionalmente in quanto viola il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge dell’articolo 3, nonché gli artt. 25 e 27 che prevedono un trattamento sanzionatorio individualizzato e proporzionato all’effettivo disvalore della condotta, nonché l’articolo 21 della Carta di Nizza e l’articolo 14 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo[7]“.
In realtà, e i Giudici di merito pare abbiano accolto appieno la questione, oltre ad essere già presente nel nostro ordinamento giuridico una circostanza aggravante riguardante lo status soggettivo del colpevole[8], tutti riconoscono che lo status di “irregolare” dimostra non solo una maggiore attitudine alla condotta criminosa, ma anche una precisa volontà a rendersi più difficilmente identificabile come autore del reato, non essendo, per definizione, il clandestino in possesso di regolari documenti di riconoscimento; e poco importa che la “clandestinità” sia solo un illecito amministrativo, di fronte all’oggettiva difficoltà di ricercare chi si faccia scudo di essa.
L’aggravante in esame, non può essere applicata nel caso in cui lo straniero irregolare sia ancora sul territorio Italiano in base ad un giustificato motivo, dovendosi escludere che questo sussista nel caso in cui lo straniero abbia avuto una mera difficoltà nel reperire i soldi del viaggio.
Piuttosto, ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale del 13 gennaio 2004 n. 5, il giustificato motivo risulta concretizzato nel caso di assoluta impossidenza (nullatenenza) da parte dello straniero, o nel caso in cui l’Autorità diplomatica o consolare non abbia ancora rilasciato gli idonei documenti oppure nel caso di rifiuto, da parte della stessa Autorità, al pagamento del rientro per lo straniero nullatenente.
L’applicazione dell’aggravante, comune e ad effetto comune[9], comporta dunque, secondo l’articolo 64 del Codice Penale[10], l’aumento della pena sino ad un terzo. In secondo luogo, determina l’inapplicabilità della sospensione all’esecuzione della pena, in base all’art 656, comma 9, lettera a) Codice Procedura Penale[11].
A ben vedere, anche l’efficacia di questa, apparentemente opportuna, misura, dovrebbe essere valutata, più che in relazione all’aumento della pena, sopratutto ai fini della facilitazione nell’espulsione del clandestino, e ai fini della non applicazione al reo della sospensione dell’esecuzione della pena.
La contestazione dell’aggravante di clandestinità c’è stata da parte di diverse Procure, da Milano a Siracusa, passando per Bologna.
A Bologna, recentemente, un ventiseienne egiziano, arrestato per spaccio di stupefacenti, è stato condannato, per direttissima con rito abbreviato, a un anno e due mesi di reclusione nonostante il Pubblico Ministero avesse chiesto un anno e nove mesi: il Giudice ha infatti considerato le attenuanti (l’imputato era incensurato) prevalenti rispetto all’aggravante della clandestinità.
Pochi cenni solo per sottolineare come tale innovazione legislativa, che così ampio dibattito aveva ingenerato solo pochi mesi or sono, fino a spingere molti a parlare di svolta “razzista” nella politica del Governo, non sia più all’attenzione dei media e del dibattito pubblico, relegata a mero aspetto tecnico dell’esercizio della giurisdizione da parte dei magistrati, probabilmente non ancora inteso come elemento di “politica giudiziaria” nella gestione del fenomeno migratorio.
 
Ospite, a Sparta annuncia che qui giaciamo
in obbedienza alle sue leggi.
Simonide


[1] Cfr. “L’aggravante della clandestinità ex art 61 11 bis C.P.” di Luigi Modaffari, in www.Overlex.com, portale giuridico, 15/10/2008.
 
[2] Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92. Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica (Gazzetta Ufficiale Serie gen. – n. 122 del 26 maggio 2008), convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125 (Gazzetta Ufficiale Serie gen. – n. 173 del 25 luglio 2008).
 
[3] Cfr. “Diritto e procedura penale”, KultUnderground. n.157, agosto 2008, rubrica “diritto”.
 
[4] Art. 1 legge 125/08, comma 1, lettera f).
 
[5] Dal sito: www.stranieriinitalia.it del 17 settembre 2008
 

[6] Fonte: Apcom del 17 giugno 2008 Domani a Milano battaglia su aggravante clandestinità, Difesa: viola 3 articoli Costituzione e Carta di Nizza- Global Project Milano

 
[7] L’avvocato Giuseppe De Carlo, difensore di due cittadini extracomunitari, un ucraino e un moldavo accusati di tentato furto aggravato, chiedeva che il processo davanti ai giudici della sesta sezione penale del Tribunale di Milano, fosse sospeso e gli atti inviati alla Corte Costituzionale. Dunque, nel giugno scorso, si è riproposta la battaglia sulla presunta incostituzionalità dell’aggravante varata con il decreto del 23 maggio 2008 e che aveva già fatto registrare le decisioni dei giudici di rigetto delle istanze delle difese di un cileno e di un marocchino. L’eccezione, sollevata dal difensore del marocchino, in particolare, arrestato per spaccio, era, secondo il giudice “manifestatamente infondata”. Il processo e’ finito con un patteggiamento a 8 mesi di reclusione e 2.000 euro di multa.
 
[8] Art. 61 C.P. comma 1 n.6: “l’avere il colpevole commesso il reato durante il tempo, in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato” ovvero reato del latitante.
 
[9] Le circostanze si distinguono in: comuni e speciali a seconda che siano previste per tutti i reati, oppure per uno o più reati determinati; ad effetto comune o speciale a seconda che comportino una variazione della pena in misura fino a un terzo della pena base prevista, oppure in misura diversa.
 
[10] Art. 64 C.P. Aumento di pena nel caso di una sola circostanza aggravante.
Quando ricorre una circostanza aggravante, e l’aumento di pena non è determinato dalla legge, è aumentata fino a un terzo la pena che dovrebbe essere inflitta per il reato commesso.
Nondimeno, la pena della reclusione da applicare per effetto dell’aumento non può superare gli anni trenta.
 
[11] Art. 656 C.P.P. Esecuzione delle pene detentive.
Comma 5: Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni… il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione.
Comma 9: La sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta:
lett.a) … e per i delitti in cui ricorre l‘aggravante di cui all‘articolo 61, primo comma, numero 11bis), del medesimo codice,».

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