KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Nella vita si fanno esperienze di tanti tipi…

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Nella vita si fanno esperienze di tanti tipi. A volte si tratta di eventi piacevoli, altre volte dolorosi, ma sempre impariamo qualcosa, anche senza accorgercene.
In alcune rare occasioni siamo partecipi di un evento  che assume un significato particolare nel nostro percorso di formazione, una pietra miliare, una boa superata la quale ci troviamo in acque differenti, un segno tangibile della nostra evoluzione interiore, come il monolite di 2001 Odissea nello Spazio.
Per me uno di quei momenti resta indissolubilmente legato a KULT Underground. Ricordo bene le prime eccitanti fasi di pianificazione, dove lunghe e stimolanti sessioni di confronto di idee diedero alla fine forma a KULT: una rivista letteraria ma digitale, che davvero precorreva i tempi – e ha continuato a farlo molto a lungo, a testimonianza della validità dell’idea iniziale e della genialità di Marco nel dotarla di un contenuto tecnologico davvero fuori dell’ordinario.
Dalla sua fucina di bit, grazie ad arcani incantamenti di programmazione, il motore di KULT prese forma e noi col fuoco dell’entusiasmo riempimmo di contenuti autoprodotti quel guscio scintillante. Ma alla fine ci trovammo di fronte al grande passo: far conoscere la creatura appena nata a un vasto pubblico. Era il 1994, praticamente un’altra era in termini informatici. In quell’anno esisteva da poco il primo browser (Mosaic), nascevano Yahoo, Windows NT 3.5, OS/2 Warp della IBM, MS-DOS 6.22 della Microsoft, la prima versione del browser Netscape. Il miglior processore era il Pentium, ma l’Intel 486 era ancora diffusissimo. Cominciano proprio in quell’anno i primi provider di servizi internet in Italia, che offrono accesso alla rete da casa propria tramite un modem, anche se siamo ben lontani dalla pervasività attuale. Un moderno smartphone sarebbe sembrato qualcosa uscito direttamente da un film di fantascienza.
Ci trovammo così pieni di idee ma un po’ timorosi, di fronte all’ingresso della biblioteca. Era quello infatti il banco di prova che avevamo scelto per proporre KULT a terzi.
Ricordo bene il senso di eccitazione provato quando sedemmo di fronte alla scrivania e iniziammo a parlare con voce probabilmente un po’ tremante a chi ci stava di fronte, cercando disperatamente di convincere il nostro interlocutore che quella cosa nuova che tenevamo tra le mani dentro un floppy disk era una magnifica rivoluzione, era il futuro.
Mentre parlavo, nella mia mente il mondo che avevo vissuto fino a quel momento prima come bambino, poi come adolescente e studente, era ancora chiaramente separato da quello del lavoro, delle istituzioni, dei mass-media, delle “cose serie”. Forse per questo non mi aspettavo veramente che la nostra proposta di inserire un mensile in formato elettronico tra i servizi della biblioteca venisse accettata.
Invece la bibliotecaria disse sì.
Possibile che bastasse chiedere per ottenere? Ricordo una sorta di ‘clic’ nel cervello, un cambio di prospettiva radicale. Improvvisamente le cose che ritenevo impossibili perché riservate ad altri, non lo erano più. Il mondo si era fatto d’un tratto più vasto, le possibilità si erano moltiplicate. Il mio vero ingresso nell’età adulta lo devo a KULT.
Da quel momento ci furono tante altre esperienze eccitanti a ribadire questa nuova verità: interviste alla radio, alla tv locale, fiere dove avevamo il nostro stand, articoli sui quotidiani, contatti con le istituzioni e con una marea di persone interessanti: le possibilità erano infinite. Ma non dimenticherò mai quel primo sì.
 

Il ruolo di Massimo Borri all’interno della redazione iniziale di KULT Underground è stato fondamentale e siamo davvero molto contenti di potere ospitare ora questo suo pezzo per celebrare i duecento numeri pubblicati. Al di là del suo compito da redattore, credo che Massimo vada ringraziato anche per la sua ampia produzione di articoli, tra i quali è inevitabile sottolineare la sequenza di lezioni di Giapponese proposte sotto lo pseudonimo di Kotaro. Se qualcosa di quei primi anni ha davvero lasciato il segno, senza patire troppo il tempo che li ha sepolti, probabilmente sono proprio quei suoi scritti, tanto che, ancora oggi capita che persone ci scrivano per avere chiederci quando avranno un seguito.

 

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