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Torino, la città più cantata? [#1]

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Napoli, Roma, Firenze, Venezia, Bologna, Genova? O forse è Torino la città più cantata d’Italia? Ed è proprio questo il punto di vista che adotterò principalmente:  guardare Torino in musica da molte città, regioni e nazioni diverse, ma anche dall’interno, dai torinesi o dai piemontesi stessi. Poco per volta, dacché c’è proprio tanto da dire. Da un paio di anni ho iniziato le mie ricerche e ho già raccolto centinaia di canzoni e di brani musicali dedicati o variamente titolati e ambientati a Torino, in numero cospicuo anche dall’estero, perfino da luoghi remoti come il Mozambico, l’Australia, il Brasile e molto altro. I testi verranno solo parzialmente citati e riprodotti per non incorrere in eventuali problemi di copyright; ma, volendoli leggere per intero, chi cerca, trova.
 
Questo è il primo articolo.
 
 
 
Inizio per intanto col dirvi dell’esistenza di numerose band che hanno scelto Torino per nominarsi. Su tutte i Turin Brakes, noto gruppo inglese (Balham, Londra) di rock alternative fondato nel 1999 da Olly Knights e da Gale Paridjanian. Olly e Gale, che hanno visitato la città per la prima volta solo nel 2010, hanno rivelato in un’intervista che il nome “Turin Brakes” non ha alcuna attinenza con la città di Torino. E Torino non è nemmeno la loro città preferita. Semplicemente, a detta del duo, il nome suonava bene e non aveva per loro alcun significato particolare. Torino non sarà la loro città preferita e tuttavia… Partiamo pure da un apprezzamento iniziale pur modesto, cioè che Turin è un nome che suona bene, anche se “i freni di Torino” (ché questo vuol dire “Turin brakes” da noi tradotto), è per una band abbastanza terrificante. Non mancano ad ogni modo a Torino, città dell’auto, le imprese di freni e frizioni, le quali possano sentirsi in qualche modo omaggiate.
Le dichiarazioni dei Turin Brakes in merito al loro nome non mi autorizzano, né motivano a dire altro.  
 
Altri artisti e gruppi hanno preso il nome di Torino o di Turin, a parte ovviamente quelli locali, come Big Noise from Turin, i “Morning Glory Torino” (gruppo di tributo agli Oasis), Petra Music From Turin (Alessandro Petracchi, dance electronic) o “Turin from Shangai” di Cuneo (smooth jazz) e cioè…
Gli Shroud of Turin, band metal di Southington, Connecticut, USA, evidentemente ispirandosi al sacro lino della Sindone.
Shroud of Turin è anche il nome di un mininal e deep tech dj dal Brasile.
I Lies of Turin da Ithaca nel Michigan (death metal e hardcore). Magari mi sbaglio, ma escluderei che si riferissero alle omonime Turin americane: in Georgia (165 abitanti), nello Iowa (75 abitanti), nel Michigan (131 abitanti)… Frazioni geografiche sicuramente più ignote della Detroit d’Italia agli stessi americani.
The Town Near Turin (La città vicina a Torino) è invece il giocoso nome d’arte che si è dato Franco Moncalieri di Bologna, che ha il cognome della cittadina della prima cintura torinese, Moncalieri appunto. Genere: rock indie e sperimentale.  Tra i suoi titoli: Stations, The burning town e Fog expectations… Così, per rimanere, come vedremo, in tema di nebbie.
Turin Horse (come il famoso cavallo di Nietzsche a Torino) è un dj che viene da Huelva, Andalusia, Spagna.
Turinturin è Turin Rodriguez, pop da Città del Messico.
Turìn è Artur Artur da Paranà, capoluogo della provincia di Entre Ríos, Argentina (lounge electronic).
This is Turin provengono invece da Winsford, Regno Unito: suonano extreme metal; alcuni titoli: To your knees, When skies are grey… Quest’ultimo magari rimanderebbe a cieli grigi su Torino… Ma il grigio Torino, quello a cui ha dedicato una canzone anche il torinese Mauro Gurlino in arte Mao (Grigio Torino) ormai è diventato solo un luogo comune: io non lo vedo più dai primi anni Ottanta. L’industria si è diradata e l’aria della Torino post-industriale, circondata dalle salubri Alpi Cozie e Graie, oggi è più solare, respirabile e tersa. Perfino di mitica nebbia torinese, quella protettiva, amniotica e “uterina” di Cesare Pavese e di Umberto Eco, non ne vedo ormai da vent’anni, periferie a parte dov’è comunque assai più sporadica e tenue (La debole nebbia di periferia durante le sere d’inverno, di Daniele Brusaschetto). La nebbia e il freddo fanno però parte dell’immaginario che di Torino l’italiano e lo straniero conservano e bisogna averne ancora considerazione. Una band rock indie torinese si è voluta chiamare proprio così: sono i Nebbia, che di Torino parlano in 21 giorni e in Alaska, quest’ultima sul freddo a Torino, che è costante e se smette ogni tanto è per farci sperare, non farci mai abituare… Ma forse alludevano anche o soprattutto al freddo simmetrico e regolamentare del conservatorismo signorile e officioso, della tradizione di un cortigianesco vivere civile, pieno di etichetta e di musoneria accademica degli impiegati civili e militari che hanno da sempre calcato un’impronta burocratica incancellabile su tutti i muri, su tutte le strade, come meditava su Torino il filosofo Zino Zini e come descrivevano anche la commedia piccolo-borghese de Le miserie 'd Monsù Travet, il capolavoro riconosciuto di Vittorio Bersezio e poi la sentenza inappellabile e laconica di  Gustave Flaubert: Torino? Noiosa come Bordeaux… Una noia di pietra, di volute barocche senza fine, di fortezza, di scacchiera regia e riservata come ebbe a riflettere Giovanni Arpino su quel lapidario distillato: per Flaubert, ora esotico, ora provinciale – e sempre sublime – tutta la vita, tutti i cuori, tutte le parole non potevano non essere noiosi… anche se certe volte questa noia è una forza, critica, sentimentale ed educativa.
Ma sono cose del passato. Di giorno e di notte molte cose sono cambiate a Torino, dove da almeno vent’anni che si coltiva e cresce una sempre più intensa movida (come già ne cantavano i prodromi i Loschi Dezi in La Movida, da Cabala 1991).
 
Turin Robinson è invece un cantautore di Perth, Australia. Ma forse è un’altra storia, ché quel Turin ha la sua origine nel “Silmarillion” di Sir John Ronald Reuel Tolkien e perchè, come parola o nome, nella lingua della Compagnia Linguistica Elfica, il sindarin o grigio elfico, vuol dire “victory mood” (di animo vittorioso). Túrin Turambar, figlio di Húrin Thalion e di Morwen Eledhwen, principe di Dor-Iòmin, fu inoltre un tragico eroe narrato, tra le sue pietre miliari del genere fantasy, dallo scrittore, filologo, glossopoeta e linguista britannico. Alla vita di Tùrin Turambar si ispirano le musiche di Clem C da Vaureal, Francia.
Non mancherò di tornare sulla Torino celtica. Il nome Torino ha origini variamente interpretate anche secondo la radice TAU, che nella lingua celtica voleva dire “montagne”… E, insomma, sempre a Torino si ritorna…
 
Ad ogni modo…
Tutto ha per me avuto inizio da una delle canzoni a lungo detentrice del “titolo più lungo nella storia della musica” e in seguito più facilmente riassunto e noto come “Woman”: “She was waiting for her mother at the station in Torino and you know I love you baby but it’s getting too heavy to laugh” di Shawn Phillips, composto da 26 parole (contando it’s due parole perché contrazione di It e is) contro le 16 di quello che prima pensavo essere il primato di  Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict dal doppio  Ummagumma dei Pink Floyd… Il brano di Shawn Phillips apre l’album Second Contribution. A proposito di questa canzone: “tocchi pianistici e di delicata eleganza, una melodia struggente e ben condotta ne fanno uno dei momenti più intensi dell’intera discografia del Nostro” (Filippo Bordignon).
Ecco lo stralcio di una intervista con Shawn Phillips di Filippo Bordignon (sentieascoltare.com) che può finalmente spiegare la storia di “She was waiting…”
Quando stavo a Positano conobbi una ragazza che si chiamava Letizia; viveva a Torino ma mi raccontò di essere scappata di casa. Al tempo stavo con un’attrice inglese, Francesca Annis. Letizia trascorse una notte da noi; le preparammo qualcosa da mangiare e tentammo di prenderci cura di lei. L’indomani se ne andò alla ricerca di un’altra casa che la ospitasse. Al tempo nessuno di noi aveva denaro; ci riuscì comunque di raccogliere una piccola somma per un biglietto del treno diretto a Torino e chiamammo sua madre per avvisarla che Letizia sarebbe tornata. Alle 6:30 la accompagnammo alla stazione di Napoli e la cosa sembrava finita lì. Intorno alle 23:00 però al Bar Internazionale di Positano suonò il telefono… il mio amico Pasquale mi passò la telefonata: si trattava di Letizia che, con la voce rotta dal pianto, tentava di dirmi che sì, era arrivata a Torino, ma sua madre non era in stazione e non sapeva cosa fare. In quello stesso momento fortunatamente vide la madre venirle incontro: “Oh no no no Shawn, stai tranquillo! Mamma è qui adesso”.
 
A girl child of such loveliness
A woman of my emptiness…
 
Interessante chiedersi cosa gli artisti stranieri abbiano colto e vissuto in particolare di Torino da dover poi restituire in una canzone o in un brano musicale. Shawn Phillips ebbe sicuramente un’esperienza e un ricordo di bellezza femminile, un saluto, una partenza… C’è un addio (o un arrivederci) anche in “Torino blues” della band canadese Alexander McKenzie & The Underpaid, dall’album Ribcage Versus Unguided Missile del 2011. Capitanato dalla cantante Lory McKenzie, questo gruppo, trasferitosi da qualche tempo in Olanda, si chiama così in omaggio all’esploratore scozzese in Canada Sir Alexander Mackenzie. E forse è in questo contesto che va anche inclusa la “Torino woman” di David K. Loy da Minneapolis. E a proposito di addii e di Scozia va ricordato che “Auld lang syne” (da noi più nota come “Valzer delle Candele”, forse il canto più famoso e tradotto al mondo) fu motivo portato forse dal Piemonte alla Scozia dal musico Davide Riccio o David Rizzio (Pancalieri 1533 – Edimburgo 1566) alla corte di Maria Stuarda.
 “Torino Blues” ha alcuni passaggi d'organo davvero suggestivi e profondi  sullo sfondo. Ha momenti di tranquillità e un eccellente sviluppo in stile Americana Rock.  Il resto dell'album non mi piace più così tanto (come “Torino blues”)…  ma è un salotto piuttosto affascinante in stile musica leggera e rock con bella tecnica  vocale. Il disco è stato registrato nei Paesi Bassi con una cantante canadese e cattura una forma classica di musica che non ha radici canadesi ma elementi del mondo (David Hintz).
A proposito, a metà degli anni Ottanta si faceva spesso il confronto tra il genio di Minneapolis, Prince, e il newyorchese Terence Trent D’Arby. Faceva parte delle rivalità storiche tra i fans di quel periodo (nota quella tra Duran Duran e Spandau Ballet). Il suo percorso artistico, dopo il grandissimo successo internazionale, divenne più sperimentale con la pubblicazione del suo secondo album Neither Fish Nor Flesh (1989), che per le peculiari sonorità è stato usato in Giappone come strumento di terapie mediche per curare pazienti in coma. Nel 2001 Trent D’Arby ha cambiato nome in Sananda Maitreya (Sananda, in sanscrito, vuol dire rinascita) per distinguere la sua precedente carriera musicale nell’intraprenderne una nuova all’insegna del post millenium rock; ora vive a Milano, dove ha sposato l’architetto, giornalista e anchorwoman milanese Francesca Francone. Qualcuno ha riconosciuto Sananda anche per le strade di Torino. Questo mi ha fatto ricordare, tra l’86 e l’87, di un amico musicista che mi disse di una sua amica di un’amica torinese fidanzatasi a quel tempo con Terence Trent D’Arby e volata via con lui negli States. Non ne so di più, né se fosse vero o una leggenda metropolitana, però mi permette di introdurre l’argomento che segue.

Non è per citare la “Piemontesina bella” di turno, ma le bellezze femminili piemontesi son note, almeno fin dai tempi delle famose sartine o, dal nome delle loro protettrice Santa Caterina da Alessandria, “caterinette”. Come ricordano il giornalista Giorgio Boatti e il libro Tenere le fila (Sarte, sartine e cambiamento sociale 1860-1960) di Vanessa Maher, all'inizio del Novecento a Torino le “sartoire” rappresentavano un universo di trentamila persone, un quinto dell'intera forza lavoro femminile, dispiegata in un migliaio di atelier, laboratori, boutiques di prestigio e modeste botteghe a cui, naturalmente, si aggiungevano le attività svolte a domicilio. Da qui la leggenda che si era creata attorno alla sartine torinesi, che con fascino frizzante, con l’eleganza e la spigliatezza vivacizzavano la severa quotidianità del capoluogo sabaudo, ammaliando intere generazioni di studenti universitari.   Insomma, parliamo di bellezze torinesi… e tanto per ricordarne qualcuna che sia esemplare…

Virginia Oldoini, nota come la contessa di Castiglione, fu definita la "più bella donna del secolo", novella “Elena di Troia, “Regina di Cuori”. Paul Baudry la dipinse come la “Maya desnuda” di Francisco Goya. Fiorentina di nascita ma spezzina di origini (e la Liguria fu a quel tempo nel Regno di Sardegna), sicché la contessa è annoverata tra “Le grandi donne del Piemonte” (v. Tersilla Gatto Chanu), fu donna irrequieta, consapevole della propria bellezza, del suo corpo di Venere, ambiziosa, spregiudicata e intelligente. Sposò a 17 anni Francesco Verasis Asinari, conte di Costigliole d'Asti e Castiglione Tinella. Il matrimonio la introdusse alla corte dei Savoia, dove ebbe gran successo con il re Vittorio Emanuele II, di cui divenne l’amante. Considerate la sua intraprendenza e le sue doti di fascino, il cugino Camillo Benso conte di Cavour nel 1856 la inviò in missione alla corte francese di Napoleone III per perorare presso l'imperatore l'alleanza franco-piemontese. La contessa fu per un anno l'amante pressoché ufficiale dell'imperatore, non senza suscitare invidie, grande scandalo e la furia della imperatrice Eugenia. S’illuse di sedurre l’Europa, di manovrare la storia in un gioco che divenne invece più grande di lei. Cadde presto in disgrazia, morì sola e folle, come ricorda un articolo di Maurizio Lupo (Il taccuino proibito della contessa). Spirò a Parigi, dove riposa al Père Lachaise.
Carla Gilberta Bruni Tedeschi, coniugata Sarkozy, meglio conosciuta come Carla Bruni (Torino, 23 dicembre 1967), cantautrice e modella italiana naturalizzata francese, figlia dell’industriale e compositore Alberto Bruni Tedeschi e della pianista e attrice Marisa Borini… Di lei si compendia così: …proveniente da una ricca famiglia torinese, proprietaria del castello di Castagneto Po, all’età di 6 anni si trasferisce con i genitori a Parigi per paura di un rapimento da parte delle Brigate Rosse. Il nonno, Virginio Bruni Tedeschi, aveva fondato negli anni Venti la CEAT, la seconda industria italiana della gomma dopo la Pirelli, poi venduta dal padre a metà degli anni Settanta. Dopo il trasferimento a Parigi, il padre si dedica all’attività di compositore, fino a diventare direttore artistico del Teatro Regio di Torino. Negli anni Novanta Carla diventa una delle modelle più pagate al mondo, arrivando a guadagnare 7,5 milioni di dollari all’anno e lavorando con numerose case di moda, tra le quali Christian Dior, Paco Rabanne, Sonia Rykiel, Christian Lacroix, Karl Lagerfeld, John Galliano, Yves Saint-Laurent, Chanel, Versace. E il resto è altrettanto noto.
Un’altra bellezza esemplare da ricordare è quella di Patrizia Novarini, più nota come Rosa Fumetto (Torino, 22 agosto 1946), showgirl, spogliarellista, danzatrice, cantante  e attrice italiana di commedie sexy, mito e diva, personaggio fascinoso e “caschetto nero” di spicco per un decennio dal 1968 al 1978 negli spettacoli di erotismo artistico e chic ispirato al burlesque americano del Crazy Horse, storico locale di Parigi tra quelli più in voga al mondo dagli anni sessanta agli ottanta del secolo scorso. Figlia di una ballerina e di un giornalista, venne notata e assunta dal perfezionista  Alain Bernardin nel suo famoso locale di poetico strip tease parigino. Poco dopo divenne la Valentina vivente di Guido Crepax. I più assidui frequentatori del Crazy Horse e ammiratori di Rosa Fumetto? Marcel Duchamp, Johnny Hallyday, David Bowie, i Rolling Stones, Richard Gere, Warren Beatty, Federico Fellini, Vittorio De SicaDavid Bowie disse di lei: “…io volevo parlarle, toccarla, era come un sogno irraggiungibile”.
En passant, come cantante, Rosa Fumetto ha inciso due 45 giri: Crazy Moon edito nel 1979 e Non mi chiedere perché nel 1984.
Infine vorrei anche ricordare Isa Bluette, nome d’arte di Teresa Ferrero (Torino, 10 settembre 1898 – Torino, 11 novembre 1939). Avvenente e sensuale attrice di teatro, cantante, primadonna e sfarzosa soubrette del teatro di rivista e operette degli anni venti e trenta del Novecento. Fu lei, famosa in tutta la nazione, a importare da Parigi la cosiddetta passerella o catwalk, quella piattaforma lunga e stretta sulla quale le modelle sfilano durante una sfilata di moda realizzati da uno stilista. Fu lei la prima a presentare la scena della soubrette attorniata da un folto stuolo di uomini eleganti. Fu lei, grazie alla sua compagnia, a lanciare due attori comici tra i più importanti: Erminio Macario nel 1925 e Totò nel 1928. Nel 1926 portò al successo il tango “Creola”, canzone a lei dedicata da Ripp, pseudonimo di Luigi Miaglia. Straziami, ma di baci saziami è un verso ormai così famoso da avere ispirato  perfino il titolo di un film del 1968 diretto dal regista Dino Risi. Il testo (come si dice) fortemente, e forse involontariamente, kitsch, proprio per i toni esasperatamente passionali ed erotici si adatta bene a fare da titolo al film dal contenuto comico popolare. Se devo consigliarne qualche versione “fonografica”, sicuramente direi quelle di Milva, Gigliola Cinquetti, Nilla Pizzi, Gino Bechi e Luciano Virgili.
Se doveste passare da quelle parti, cercate la bellissima scultura sensualmente arresa al sonno eterno sulla tomba di Isa Bluette al Cimitero Monumentale di Torino.
 
Creola
dalla bruna aureola
per pietà sorridimi
che l’amor m’assal.
Straziami
ma di baci saziami
mi tormenta l’anima
uno strano mal.
 
La bellezza delle tote subalpine è stata anche immortalata dall’arrivo di Buffalo Bill a Torino. «Vad dal portiè, am dis tranquil:/ "Toa Rosin a l' è ' ndaìta via,/ e un moreto 'd Buffalo Bill/ a j' era an soa companìa"…». Ne parla Eugenio Veritas, cantastorie cieco di nobili origini che ha lasciato a Torino un patrimonio indimenticabile di cultura popolare, in una canzone (Buffalo Bill a Torino) che verrà ripresa negli anni ’60 da Piero Novelli e Roberto Balocco e, più tardi, anche da Enzo Maolucci. Non si conoscono i particolari della vicenda, ma ci fu davvero la fuga d’amore di una bella ragazza torinese con un moretto americano arrivato in città con il Buffalo Bill's Wild West del colonnello William Frederick Cody, dal 23 al 26 marzo del 1906 sulla Piazza d'Armi della Crocetta, dove oggi sorge il Politecnico. Fu del resto un evento colossale per l’epoca (il circo di Buffalo Bill ovviamente, non la fuga d’amore). Marco Albera e Felice Pozzo nell' Almanacco Piemontese 2006 della Viglongo, ricordano così il “più grande spettacolo del mondo”: quattro treni, cinquantanove vagoni, tribune per 12 mila persone (80 mila in tutto coloro che vi assistettero), 500 cavalli e 850 cavalcatori, amazzoni, pellerossa, cosacchi, samurai,  beduini, messicani; e un impressionante apparato per la preparazione e la distribuzione dei cibi e delle bevande.
Come ha scritto Massimo Novelli su “La Repubblica” del 30 dicembre 2005: L'eco fu dunque memorabile, così il ricordo. Ed ebbe effetto galeotto se è vero che quella giovane donna della canzone di Veritas, chissà se una sartina, una inquieta casalinga o cos' altro, decise di fuggire con uno dei ragazzi del colonnello Cody, lasciando al marito la mera consolazione di una sbronza: «Son andàit al Lingòt, / beivume ' n litròt,/ son fame na pcita merenda (…) Adess son tranquil: / i mando al diav Buffalo Bill, / Rosin, bistichin e ciampòrgne».
Poi val la pena di andarsi a rivedere “Buffalo Bill e gli indiani” di Robert Altman
 
A proposito di vicende sentimentali con Torino sullo sfondo, non poteva essere che ironica quella di Tony Penultimate e la Ukulele Orchestra of Great BritainThe back streets of Turin…
 
…Now, don’t be bitter love you said as you tried to take my hand
Just recall the backstreets of Turin  Said I
How we made love each night in burnt out cars
And pledged that our love was forever?
And now you say Don’t be bitter?
For you, you’re doing fine, but what became of me?

 

Fonti
http://www.sentireascoltare.com/articolo/151/shawn-phillips-contributo-di-un-uomo.html  
(Filippo Bordignon)
 
http://www.folkworld.de/45/e/cds4.html (David Hintz, FolkWorld n. 45 07/2011)
 
 
 

 

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