I film visti quando si è bambini sono forse quelli che più a lungo rimangono dentro. Film capaci di rapirti nelle loro storie, nei loro personaggi. La trilogia di Indiana Jones ed ora questo ultimo episodio appartengono a quella categoria di film. Almeno per chi è stato bambino negli anni 80. Impossibile non appassionarsi alle avventure dell’archeologo interpretato da Harrison Ford, impossibile non immaginare di essere lui e di affrontare pericoli e misteri. E Indiana, al di là, forse, di ogni aspettativa dei suoi creatori (cioè Lucas e Spielberg) è diventato una vera e propria icona del cinema. Icona perché subito riconoscibile. Basta l’ombra del suo cappello o quella della frusta che viene lanciata, basta il tema musicale di John Williams oppure un’inquadratura del suo giubotto di pelle sdrucito. Indiana Jones è come un marchio di fabbrica, appena lo si vede, sappiamo già cosa aspettarci.
Ed è proprio la commerciabilità di questo prodotto insieme alla cura della sua confezione a rendere i film di Indiana Jones esempi perfetti di un cinema che mira al botteghino senza però ingannare lo spettatore e anzi regalandogli avventure e azione che lo terranno incollato allo schermo.
Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo si sviluppa su una struttura narrativa ormai ampiamente collaudata. C’è il prologo alla storia vera e propria, come accade anche negli altri film, che è una dimostrazione dell’abilità di Spielberg nel costruire scene d’azione e soprattutto una lezione sul suo modo di intendere il cinema (spettacolo e grande tecnica). Temporalmente ci troviamo sul finire degli anni cinquanta, in piena guerra fredda. C’è la paura dell’atomica, ci sono i rebel without a cause, le bande giovanili, i fast food. E c’è soprattutto Shia LaBeouf che entra in scena a cavalcioni di una moto rifacendo il verso al Marlon Brando de Il selvaggio. Gli spazi poi sono quelli di ogni avventura di Indy, ovvero i luoghi più disparati del mondo, uniti tra di loro dall’immancabile cartina sulla quale una linea rossa traccia gli spostamenti del professore.
Anche l’ironia è rimasta immutata come il fascino di Harrison Ford, in una straordinaria forma fisica. La storia (scritta da Lucas) mischia archeologia ed esperimenti nucleari, alieni e le piste di Nazca, El Dorado e tombe maya. Il meccanismo è quello dell’azione continua, dell’enigma da risolvere, della fuga e dell’inseguimento. Si piange la scomparsa del padre di Indy e di Marcus Brody ma si saluta, con un sorriso, un’inaspettata paternità.
Il cinema, dunque, come giocattolo e divertimento, intrattenimento e avventura. E come da bambini si rimane intrappolati nello schermo, la magia c’è ancora, inalterata e avvolgente, mentre Indy accoppa un russo o sorridendo si infila il cappello dopo l’ennesimo, spericolato, inseguimento.
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