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Sweeney Todd

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Tim Burton è un amante del gotico e del macabro. A volte immerge in questo suo immaginario dark storie poetiche e bellissime (La sposa cadavere) altre volte, storie misteriose e ironiche (Il mistero di Sleepy Hollow) e altre ancora, come in questo caso, sorprende tutti e raggiunge vette di violenza e sadismo davvero inaspettate.
Sull’impalcatura di un musical (Sweney Todd: The Demon Barber of Fleet Street di Stephen Sondheim, rappresentato per la prima volta a Broadway nel 1979) si regge una storia che parte come una fiaba gotica incentrata sul desiderio di vendetta per arrivare ad uno spettacolo degno di un grandguignol in cui sgozzamenti e schizzi di sangue riempiono fino alla saturazione il quadro e lo sguardo dello spettatore.
Dal momento in cui Sweeney Todd (Johnny Depp) sistema la sua personale poltrona da barbiere l’incedere delle sue lame sulle gole dei clienti acquista un ritmo vertiginoso. Il rosso del sangue, innaturale saturo e brillante, è libero di schizzare ovunque, inonda pareti e vestiti, in una performance omicida senza freni.
Mrs Lovett (Helena Bonham-Carter), la donna che ha deciso di aiutare Todd a compiere la sua vendetta nei confronti del giudice Turpin, che gli aveva sottratto moglie e figlia condannandolo all’esilio, è poi proprietaria di una locanda, sotto la bottega dello stesso Todd,  in cui i pasticci sono l’unico piatto della casa. E visto che il prezzo della carne è troppo alto, ai due viene la grandiosa idea di utilizzare i corpi degli sfortunati clienti di Todd per riempire le creazioni culinarie di Mrs Lovett.
E allora la fiaba diventa incubo orrorifico, l’immaginario gotico diventa infernale scenario sotterraneo. Un’immensa caldaia, i canali di  scolo per il sangue e il tritacarne, enorme, pauroso, pronto a divorare pezzi di uomini  trasformandoli in macinato per i pasticci di Mrs Lovett.
Tim Burton trasforma il musical (genere con il quale non sembra trovarsi porprio a suo agio) in un’opera dalle tinte nerissime, grondante sangue (se ne ha il sentore già dai titoli di apertura) impreziosita da una improvvisa parentesi fantastica, in cui il colore riemerge dai cupi ambienti londinesi dal plumbeo sapore vittoriano (scenografie premiate con l’Oscar di Dante Ferretti) per disegnare il sogno d’amore di Mrs Lovett, ormai invaghitasi del sanguinario barbiere.
Amore, vendetta, sadismo, violenza, musica. Tutto si amalgama nei meandri di una fantasia cupa e più che mai nichilista, eppure ancora capace di esprimere la fragile essenza dell’amore e della bellezza, fosse quella racchiusa in un canto angelico o nel volto bianco e segnato da occhiaie profonde della sempre meravigliosa Helena Bonham-Carter.

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