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Pagano – Gianfranco Franchi

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Pagano (G. Franchi)
 
C’è qualcuno che dice che i giovani d’oggi mancano di forza espressiva? Di volontà di protesta? D’impegno sociale e politico? Beh, direi proprio di sì… Ricordo, per esempio, che questa estate mentre leggevo tranquillamente il giornale in un bar qualunque mi cadde l’occhio su un articolo in cui X, un noto politico italiano, esortava (con una punta di malinconia senile) i giovani italiani ad organizzarsi per scendere in piazza come prima di loro avevano fatto i loro padri nel ‘68. Più leggevo e più mi sentivo amareggiata e pensavo sì, cavolo, ha ragione, i giovani dovrebbero scendere in piazza oggi più che mai, oggi più di ieri (e pensando al mondo del lavoro la cosa è evidente). Fino a quando arrivata all’ultima colonna del suddetto articolo leggo l’opinione del giornalista… questo notava come i giovani d’oggi non si esprimono in massa ma individualmente o in piccoli gruppi, associazioni indipendenti fuori dagli schemi della comunicazione di massa. E questo è proprio vero: esistono tanti ragazzi che si fanno portavoce di idee collettive, di valori sacrosanti e condivisibili; ci sono, esistono, e a volte basterebbe forse spegnere la tv, basterebbe un po’ più d’impegno del fruitore per individuarli.
Ed è questo il caso di un giovane scrittore impegnato: Gianfranco Franchi (responsabile del portale indipendente di comunicazione e critica letteraria e dello spettacolo: Lankelot.eu), che con Pagano il suo ultimo romanzo, o meglio antiromanzo, come lo definisce Gordiano Lupi nella prefazione, ci rende partecipi di considerazioni sul nostro presente, ci parla dell’Italia e degli italiani di oggi, della condizione del letterato e dell’intellettuale; e anticipando una delle tematiche fondamentali del comico genovese Beppe Grillo ci avverte: “La realtà è troppo finta per poter essere accettata per quel che è. Troppa corruzione, troppo ingiustizia, troppa facilità di cancellare e riscrivere la storia.”
È un libro il suo che con una scrittura matura e a volte elegante e ricercata (anche nel definirsi: “satira caustica di tutto quel che è, lirica talvolta o altrimenti livida”), ricorda un sentire tutto mitteleuropeo, ricorda una letteratura passata – come afferma in postfazione Patrick Karlsen – ricorda la letteratura di Slapater e Dagerman: politica e selvaggia, per l’appunto pagana, ed è proprio per questa sua abilità critica mischiata in buona dose con una narrazione in prima persona che ricorda anche i grandi film del postmodernismo americano come Le invasioni barbariche.
E questo soprattutto nella prima parte: il libro è diviso in due da una trasformazione quasi kafkiana: se inizialmente il protagonista è un’isola che non si fa abitare da alcuno e discute anche animosamente con il lettore sulla precarietà dell’oggi e su fatti del presente e di un passato poco compreso con consapevolezza critica, nella seconda parte del libro il protagonista è una partita Iva, ed ecco dunque che entra in gioco l’azione, un’azione allucinata che prende le sue istanze da La fattoria degli animali di Orwell. E così  Franchi si immagina dei luoghi popolati da animali antropomorfi: lo scoiattolo berlusconiano, il maiale cattolico, il cinghiale da camerata ecc… tutti ritrovatisi a tavola per festeggiare il ‘romantico’ avvio di una bottega di scrittura di Franchi, tutti pronti a dare qualche consiglio dal sapore oscenamente borghese, tutti in fondo a farsi i cavoli propri fino al limite dell’educazione.  
È in questa seconda parte del libro che l’autore si serve di un’ironia graffiante soprattutto nei confronti dell’estenuante burocrazia italiana. Ironia che è anche quella di una partita Iva che incontra uno Stato che si fa le seghe e cadendo dalla poltrona non riesce a rialzarsi. Ed è in questo contesto che si inseriscono anche le citazioni da Mulholland drive di David Lynch: No hay banda! There is no band. It is all an illusion.
Ma questo non è che un accenno al libro di Franchi che si avvale di considerazioni storiografiche lucide e pregnanti e ci ricorda che: “La tragedia è che a unire questi italiani è stata la tv”, ci ricorda che il benessere è ora (quando c’è) solo fatiscente materia e consumismo e che siamo ancora troppo superficiali per poter parlare di internazionalismo o paradiso del proletariato. E così lancia anche una sfida intelligente che è una sfida contro il bipolarismo che vede la politica divisa tra capitalismo e comunismo: una terza via è possibile?
E poi: “Credo nella bellezza e nell’intelligenza ma ne vedo così poca in giro.” – ci dice lasciandoci insieme all’amarezza un barlume di speranza lontana. Ed è così che è un giovane scrittore ci invita a pensare, in un modo che sa essere a volte anche ‘romantico’ e ci invita a sognare per ritrovare dei valori nostri, ed è bello leggere della sua iniziativa di aprire una bottega di scrittura per ritrovare quella dimensione artigiana che le macchine ci hanno tolto. Ma Franchi grida anche, grida con forza e fede verso la patria e verso l’Amore. E a riguardo non trovo parole più adatte che quelle della prima post-fazione a questo libro, le parole di Francesca Mazzucato: “C’è lo stesso pathos in questa narrazione di Franchi, pathos e drammaticità morbida e umana, che ritrovo nelle tavole di Bacon: altro non sono, in fondo, se non la rappresentazione di una immagine di sé attraverso un processo lungo e complesso di elaborazione.”. E questo , altro non è che un orecchio teso verso il nostro Zeitgeist, lo spirito del nostro tempo, che codifica sensazioni proprie, visioni reali e realtà visionarie. Precarie.

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