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Derubata d’innocenza – Sara Tarantino

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“Derubata d’innocenza” è un grido di rabbia ed insieme un palpito di speranza. Scritto, o meglio verrebbe da dire, graffiato sulla carta come fosse carne viva, da Sara Tarantino e pubblicato da Edizioni Creativa, questo è un romanzo breve che tratta di pedofilia.

Privo di luoghi comuni, naif in qualche modo. Sincero doloroso come una confessione. Molto distante, anni luce, oceani di sensibilità e delicatezza lontano dal furore della cronaca triviale e compiaciuta. Qui non abbiamo a che fare con orchi cattivi che sorprendono le proprie vittime ai giardini, a scuola, o su internet. Non c’è clamore in questa storia narrata con un filo di voce. Eppure straziante come un grido inarticolato, muto a dilaniare carni giovani, implodendo e distruggendo ogni barlume di equilibrio e serenità.

Imperituro destinato a durare, trasformandosi magari, ma pronto a mostrare di nuovo il ghigno di zanne affilate, questo dolore. Voragine che potrebbe fagocitare tutto il fragile costrutto che a fatica le si erge sopra. Permea ogni singola pagina del libro, lambendo le angosce del lettore. Facendolo con pudore.

È difficile affrontare l’argomento pedofilia senza incorrere in retorica grossolana. Difficile persino descrivere un romanzo che ne tratta. Verrebbe quasi da tracciare un contrappunto con il tono tenuto dai mass- media: sbattere il mostro in prima pagina, si dice. Alimentare dibattiti che paiono voler scardinare un mondo d’ingiustizie e soprusi, ma che durano giusto il tempo di alimentare uno share guardone e avvezzo allo scandalo. I colpevoli giudicati da un tribunale sommario di voci e dicerie da mercato rionale, casi montati senza neanche troppa cura, come anni fa svelò il collettivo Luther Blisset in “Lasciate che i bimbi”. Saggio che con una buona dose di provocazione si poneva di irridere le macchinazioni di giornali e tv alla ricerca di scoop, spezzando una lancia a favore dei “mostri”, persone messe troppo spesso alla gogna con prove insufficienti o addirittura fittizie, salvo poi essere scagionate. O dimenticate. Perché lo scandalo per suscitare interesse deve durare un tempo limitato, sennò poi stanca, genera assuefazione.

Intanto gli orchi, i temibili Barbablù che si aggirano per le nostre strade, rimangono al sicuro. Facendosi scudo dell’istituzione sacra ed inviolabile per eccellenza: la famiglia. Duro incriminare, lordare di accuse, l’onesto padre, il capofamiglia indefesso ed amorevole. Meglio ripiegare su figure più esposte ed attaccabili: magari sulle maestre – che sono esacerbate da questa scuola dissestata, funestate dall’esaurimento – o ancora, sì questo regge, su qualche metallaro emarginato e un po’ fuori di testa. Ce n’è sempre qualcuno in ogni città o paese. Come anche di extracomunitari. Tante le possibilità per generare il pedofilo ideale, il tipo stereotipato, quello da brivido e che sia facile da additare – chè abbiamo sempre necessità di riconoscere il Male ove esso s’annidi -. Invece.

Invece le statistiche, come ci informa la stessa autrice, Sara Tarantino, testimoniano qualcosa di molto diverso. La maggioranza schiacciante degli abusi su minori avviene tra le mura di casa, ad opera di figure parentali prossime o meno. Ma quasi mai fanno notizia. E quel che è peggio è il rischio elevato che poi le vittime di abuso diventino potenziali carnefici a loro volta, a causa del trauma irrisolto. Innescando così un drammatico circolo vizioso.

Ecco, “Derubata d’innocenza” cerca di spezzare questa catena. È il tentativo di riscatto di salvezza di normalità che una ragazza compie cercando di affrancarsi dal proprio passato. Una catarsi – che a volte pecca forse d’eccessiva illusione – narrata con discrezione dall’autrice, senza indugi compiaciuti sulla violenza subita dalla protagonista, ma insistendo invece con tenacia sulla rete femminile che la salva e la protegge. Ponendo l’accento quindi sulla forza e sulla solidarietà, che coinvolgono quasi tutte le donne presenti nella storia – non solo la protagonista, ma anche la madre e la nonna materna – unite nell’affrontare il problema dell’abuso.

Contro il silenzio l’indifferenza la sopraffazione psicologica che spesso attorniano il fenomeno pedofilia. La vita deve continuare, non trascinarsi. E grazie alla scrittura ed ai sorrisi ed agli abbracci. Grazie all’amore in definitiva, Sara, la protagonista, potrà forse sganciarsi dal dolore che l’ha tenuta prigioniera troppo a lungo nel castello di Barbablù.

Possa questa essere la speranza, il lieto fine di questa favola nera.

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