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L’odore assordante del bianco

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foto di Mauro Malinvero - www.metastasio.net 

 

L’odore assordante del bianco, scritto e diretto da: Stefano Massini, autore di Quadrilogia edito da Ubulibri, è una presa in diretta di uno spaccato di vita-malattia-mentale di un uomo e pittore: Van Gogh, diviso tra realtà e allucinazione. Una presa diretta perché la scenografia ci appare di scorcio: una camera tagliata come in un set cinematografico, dove le allucinazioni si fanno palpabili ai nostri occhi, allucinazioni in carne ed ossa, che Massini fa vivere sulla scena utilizzando degli escamotage dati dall’intreccio del lavoro drammaturgico e registico che formano i momenti di più alta tensione emotiva. E come afferma Massini: “In realtà c’è ben altro che l’Ottocento, il manicomio e il ritratto di un pittore famoso: col pretesto di Van Gogh ho provato a farmi molte domande sul senso della nostra presunta lucidità (ovvero ‘normalità’). Ho provato a chiedermi cosa significa essere sicuri di ciò che vediamo, sicuri di ciò che definiamo “la realtà”.”

Ma ritorniamo allo spettacolo o ‘labirinto‘ come lo definisce lo stesso autore; Van gogh è seduto per terra in una posizione tesa: è come se vedesse qualcosa di fronte a lui; il fratello in abito ottocentesco è seduto sul letto e cerca di parlagli ma lui non sente, è completamente perso nel suo delirio. Così inizia lo spettacolo e da subito siamo di fronte ad una quarta parete che separa la scena dallo spettatore che però come in suggestione cinematografica ne è fortemente immedesimato. L’inizio procede tranquillo nel lungo dialogo tra il protagonista e suo fratello che gli ricorda i momenti allegri della sua esistenza ma presto il protagonista ci introdurrà nella seconda fase del dramma grazie a due oggetti: un quadro che rappresenta pieno di rabbia il medico del reparto e il libretto delle norme dell’ospedale di cui Van Gogh cita l’articolo quinto: congedo tramite firma di un parente. E qui sta l’accuratezza del drammaturgo che ha seminato dei ‘semi’ che ci permetteranno di capire e seguire fluidamente la vicenda presente e gli stati emotivi del protagonista per vivere così anche noi il tradimento che si svilupperà come climax emotivo sia nella parte centrale del dramma che nel finale. Improvvisamente entrano i due infermieri dalla porta della camera con il carrello ospedaliero per servire la cena. I due attori interpretano un dialogo teso di botta e risposta con un’intesa comico-drammatica avvincente che li riempie di una perversione e malvagità tutta rivolta al mondo dell’assurdo (richiamando anche il contesto dei lager nazisti). Gli infermieri intimoriscono il fratello già indeciso se firmare o meno il permesso di ‘scarcerazione’ e con gli urli disperati del protagonista che implora il fratello di non credere alle menzogne dei due, entra in scena il medico di reparto (interpretazione meravigliosa: mai sopra le righe). È qui che le parole si riferiscono a concetti importanti sulla realtà, su ciò che essa è, e su ciò che è diverso da questa e quindi non deve essere: la realtà dei diversi, socialmente inaccettabili nel discorso così lucido eppure così per niente etico e quindi assurdo del medico di reparto, che rappresenta una cattiveria tutta esibita ma con grande eleganza. In questo momento avviene il primo tradimento che è allo stesso tempo tradimento del fratello e/o tradimento che la mente del pittore fa a sé stessa? Il medico dice a Van Gogh che non c’è suo fratello in quella stanza e il fratello rimane immobile, cristallizzato (rappresentazione dell’allucinazione) di fronte agli occhi del protagonista. Il fratello se ne va e lui rimane legato al letto con gli infermieri e il capo reparto a subire le ingiurie di quest’ultimo. Ben presto entrerà in camera il direttore del manicomio che si presenterà ai nostri occhi e a quelli del protagonista come un’ancora di salvezza: è stato all’estero e ha studiato i nuovi metodi di approccio psicanalitico con i pazienti e dopo essersi accaparrato la fiducia del paziente con discorsi sul potere, gli chiede di fargli da cavia. È allora che nell’ipnosi il linguaggio esplode, si fa espressivo in un flusso di coscienza che ci riconduce: “all’odore assordante del bianco” e infine con l’entrata del fratello nella camera che ripete le battute iniziali, ci ritroviamo all’inizio dello spettacolo come in un cerchio che si chiude, un cerchio mentale privo di un tempo lineare che ci svela però grazie al cambiamento della ripetizione l’ennesimo tradimento: quello del direttore nei confronti del protagonista, per il quale ormai abbiamo l’impressione che non ci sia più speranza. Ora infatti è il direttore a rimanere immobile di fronte agli occhi del pittore, come se non ci fosse mentre il fratello gli parla, diventando così anch’egli personaggio negativo.

Perciò penso che il dramma non individua solo un’ottica interiore della pazzia: tradimento che la mente fa a sé stessa, ma anche il tradimento che l’esterno compie nei confronti del ‘malato’.

Nel complesso lo spettacolo è appagante ed emozionante sia ad un pubblico esperto che inesperto soprattutto grazie alla drammaturgia (Premio Tondelli 2005/ Riccione Teatro). Per quanto riguarda la regia sicuramente un buon lavoro…forse si poteva sperimentare-rischiare un po’ di più…a volte la linearità registica appesantiva un po’ lo spettacolo, che è però ‘macchina teatrale’ studiata e ragionata funzionante perfettamente su un principio di ripetizione e cambiamento (che ricorda la regola del tre delle sceneggiature cinematografiche, per cui una determinata cosa avviene tre volte nel corso del film e solo alla terza volta il tutto si risolve o conclude).

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