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Prendersi cura di un bambino piccolo – G. Appell e A. Tardos

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Dall’empatia alle cure terapeutiche

Il mondo dell’infanzia, per quanto indagato, esplorato, vivisezionato in migliaia di volumi, studi, riflessioni, rimane sempre misterioso, oscuro, complesso nell’apparente semplicità: cosa si nasconde dietro ai gesti appena abbozzati dei neonati, ai minuscoli sorrisi e al broncio, cosa ci dicono la tranquillità del corpo o l’agitazione? Come costruire una vera relazione con un bambino, come sviluppare e stimolare in modo corretto la sua crescita?

La serie di saggi raccolta nel volume “Prendersi cura di un bambino piccolo”, edito da Erickson, con prefazione di Serge Lebovici (rilevante anche il suo contributo, assieme ad altri nomi noti di psicologi, pediatri, pedagogisti), si propone di rispondere a queste domande, focalizzandosi appunto sul concetto della “cura”, l’insieme degli atti che compiamo per il benessere di un’altra persona.

Il libro si basa sulle relazioni tenute al convegno di Budapest in occasione dell’anniversario della fondazione dell’Istituto Emmi Pikler, diretto a neonati separati, per vari motivi, dal loro ambiente familiare: il fine che si proponeva la Pikler era quello di “permettere l’attuazione di un processo che considerasse prioritaria la realizzazione del bambino”, e in particolare l’attività del centro è basata sull’efficacia delle cure prestate dalle puericultrici.

“Cura” come cura quotidiana, dal bagnetto alla pappa, dalla vestizione alla nanna di pomeriggio. Troppo spesso questi atti vengono visti come poco importanti, quasi banali di fronte al concetto di “educazione”, di “formazione” del bambino: troppo spesso si ritiene, come rileva la Appell, che occuparsi di un cucciolo d’uomo sia un compito semplice, istintivo, alla portata di qualsiasi individuo, di cui i genitori si fanno spontaneamente carico.

Eppure, conclude la psicologa, presidente dell’associazione Pickler- Lòczy di Francia, “non si tratta di un atto semplice, per quanto naturale, e abbiamo imparato quanto sia difficile ovviare all’assenza o alla carenza di cure genitoriali”.

Si potrebbe anche aggiungere che molte mamme, soprattutto in passato, non si rendevano conto dell’impatto di alcuni atteggiamenti nell’evoluzione psichica del bimbo: cambiare i pannolini, lavare il sederino, allattare, erano considerate azioni ripetitive, quasi alla stregua delle altre faccende domestiche. Si considerava normale lasciare il neonato da solo a bere il latte dal biberon, trascurando un momento cruciale di intimità e di relazione con il proprio figlio; fare il bagnetto in fretta, senza parlare, con la mente già rivolta ad altre incombenze; sistemare il bimbo per ore nel box, tanto “sta buono e io ho tanto da fare”.

Un modus operandi amplificato negli istituti per neonati, in cui veniva meno qualsiasi relazione privilegiata tra il bimbo e l’educatore, impegnato a fornire cure “professionali e asettiche”, come vengono definite in un saggio. La rivoluzione dell’Istituto Emmi Pikler consiste nel dilatare i tempi delle cure, arricchendo il rapporto con il bimbo (ma senza mai sostituirsi alla madre) fino ad arrivare a una “terapia della quotidianità”, come viene definita da Michel Lemay: la puericultrice deve avere “il bimbo nella mente”, il bimbo deve potersi sentire sicuro di quello che ha intorno, della stabilità della sua vita.

Molto illuminanti sono i filmati che riprendono due bagnetti a due bimbi dell’Istituto: in “La ballata di Tunde” la puericultrice avvolge la neonata, proveniente da una famiglia difficile, con parole dolci e armoniose, con cui anticipa tutte le sue azioni, svestendo la piccola con lentezza, senza mai lasciarla indifesa, ma “contenendola” sempre (un altro concetto molto importante e ribadito è quello del “contenimento”: i bimbi vanno avvolti, contenuti, aiutati a sviluppare un senso di continuità).

Attenzione costante, vigilanza, armonia: ma è anche molto importante l’aspetto del gioco, delle attività libere del bambino, che vanno rispettate e sostenute.

La base di tutto sembra essere l’empatia, lo sforzo costante di mettersi in comunicazione con il bimbo, prima con l’osservazione accurata del piccolo nella sua complessità- come sottolineato nei primi capitoli – poi con l’incontro concreto, nell’elaborazione della relazione.

Riportare i molteplici spunti di riflessione contenuti nel testo è difficile; alcune relazioni sono poi di lettura molto ardua, concepite come sono per un pubblico di specialisti e non di profani, sia pure interessati all’argomento.

Ma anche chi possiede solo un’infarinatura di base di pedagogia e psicologia può trovare elementi di interesse nell’opera, che non si basa solo sull’esperienza dell’Istituto Emmi Pikler, ma esplora anche il concetto di cura e attenzione applicato a famiglie e figure genitoriali: ad esempio, vengono riportati “casi clinici” di mamme in difficoltà, aiutate dalla psicoterapia a prendersi cura del proprio bambino; viene analizzata l’importanza del rapporto con la propria madre durante la gravidanza, il parto, il puerperio di una donna; si parla poi dei giochi “dei nonni”, del nascondere il viso tra le mani per provocare sorpresa… tutte azioni istintive, ma basilari per la costruzione dell’identità di un bambino, che in questo modo comprende la continuità e la permanenza di ciò che lo circonda.

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