“Il vuoto” è il titolo dell’ultima fatica musicale di Franco Battiato (instancabile, è già impegnato alla lavorazione del terzo film da regista), uscito il 9 febbraio scorso e presentato dal singolo omonimo, brano in linea con il gusto per la ricerca di nuove sonorità cui il cantautore etneo ci ha abituato sin dagli esordi.
Seppure il singolo risenta delle tendenze musicali più attuali (utilizzo di sintetizzatori, voci campionate e sezioni ritmiche dal gusto “tecnologico”), il resto del disco si apre alla commistione di classico e sperimentale cui si intersecano testi (in collaborazione con Manlio Sgalambro) che rimandano ad un joyceiano “Flusso di coscienza”, un continuo dialogo io-tu che vede le sue vette in brani introspettivi, quali Tiepido Aprile (idilliaco, qui, l’incontro fra archi e pianoforti) o The game is over che riutilizza la fortunata formula di Strani giorni in cui, accanto alla voce di Battiato (anglofilo più che mai in questo disco!), troviamo quella di un’interprete femminile (cantante delle Mab) e il cui finale strumentale dà spazio alla vivida creatività del musicista e alla sua già nota passione per le culture orientali (arabe ed asiatiche).
Ricorre in ben tre brani il tema dell’amore: rapporti di coppia sfuggenti e intensi al contempo come in E i giorni della monotonia ed Era l’inizio della primavera o semplici e caldi ricordi di un affetto perduto ( ma che sa anche d’incontro con Dio) come in Aspettando la primavera.
Sperimentazione, dunque, ma anche chitarre acustiche e canzoni che rimandano il pensiero ad
arie da camera; riflessioni intime, ma anche di un respiro più ampio, antropologico.
Parlar bene di un lavoro di Franco Battiato non deve essere un fatto scontato, se si considera che l’autore in questione è anche un convinto sperimentatore ed innovatore e quindi esposto a critiche o mugugni. Il suo ultimo album, “Il vuoto” è certo un altro lavoro di sperimentazione musicale ma è soprattutto un gran bel disco, un vuoto che riempie dunque, con le sue armonie, occidentali e orientali, con i violini disposti attorno ad un ideale fraseggio armonico e quasi scenografico. Ed una voce, quella del Nostro,che riesce a toccare le “corde” giuste, quelle dei sentimenti.
A chi gli chiede quale sia il messaggio che racchiude “Il vuoto” risponde: Tutto il disco parla essenzialmente del vuoto, dell’alienazione esistenziale che ci circonda. Non a caso, questo è anche il titolo dell’album e del primo singolo estratto. E per vuoto esistenziale non intendo solo ciò che riguarda pensieri o considerazioni di ordine filosofico, ma proprio i problemi e le circostanze che ciascuno di noi è obbligato a vivere quotidianamente. Com’è possibile, per esempio, che un lavoratore debba fare ogni giorno tre ore di coda in macchina per potersi guadagnare da vivere? Credo fondamentalmente che tutti dovremmo invece cercare maggiore libertà. Ognuno di noi dovrebbe farlo, secondo i propri criteri e le proprie esigenze. Per me, ad esempio, libertà significa osservare il cielo, scoprire un nuovo profumo, perdermi dietro ai sensi.
“Il vuoto” è un disco che si proietta lungo le due tangenziali del tempo, nelle primavere del passato e della malinconia e in quelle che ancora devono giungere a portare nuova luce e fresca vita. Quel nichilismo che serpeggiava in album (dell’ era Sgalambro) bellissimi come L’ombrello e la macchina da cucire o L’imboscata non si ritrova in quest’ultimo lavoro musicale che pare si raccordi perfettamente con il film del Nostro che uscirà nelle prossime settimane.
Franco Battiato torna in scena con un disco che lo conferma come una delle personalità più brillanti e affascinanti del panorama musicale italiano contemporaneo ed il vuoto che riesce a comunicarci è un pieno armonico, un pieno di suoni, odori e ricordi. E speranze.
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