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I Rabinovitch – Philippe Blasband

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Avete presente il sottile fascino che emanano le vecchie foto,  soprattutto i ritratti di famiglia? Osserviamo quei volti ingialliti, quasi cancellati dal tempo, quegli sguardi ancora carichi di avvenire, appartenuti a persone ormai morte,  che non conosceremo mai; e cerchiamo di carpire le loro vite, i pensieri, le passioni che li hanno animati.

In “I Rabinovitch” quattro generazioni di ebrei ci osservano dalle pagine consumate di un album di famiglia, ognuno sussurrando o gridando la propria storia; li vediamo fuggire da un villaggio polacco in seguito a un “pogrom”, raggrupparsi a Bruxelles, attraversare la guerra, morire ad Auschwitz, vivere in un kibbutz, avere figli, tradire, amare, chiedere amore, impazzire.

Diari di ebrei, dunque; ma Philippe Blasband non ha voluto scrivere un libro sull’Olocausto, sulla tragedia di un popolo, anche se i racconti sono pervasi dall’amara disillusione, dalla consapevolezza della diversità, della complessità intellettuale ebraica – che deriva anche dall’odio e dalla sofferenza.

Lo sterminio, le atrocità del nazismo restano sullo sfondo, entrando di prepotenza solo nelle vite spezzate di Rifkele (Rebecca) e del fratello Ariè: l’una morta nei campi, l’altro ucciso nell’anima da un oscuro segreto che non riesce nemmeno a ricordare.

“I Rabinovitch” è soprattutto un grande, inquietante affresco in cui la verità si frantuma in mille specchi, si scompone in molteplici punti di vista (ricordate il bellissimo “Rashomon” di Kurosawa?), fugge e si dissolve ai nostri disperati tentativi di afferrarla.

A quale dei personaggi- beffardi, ansiosi, tristi, affascinanti, passionali, folli, ironici – dobbiamo credere? Alla bellissima Sarah, che gli uomini non riescono ad amare? All’ambiguo Ariè, che si dipinge come eroe? Alle sue figlie, una internata in manicomio? Al capostipite Zalman, che dissipò la sua saggezza nelle bettole e tra le puttane? Alla moglie Lea, incinta misteriosamente del quarto figlio senza aver più rivisto il marito? Al riflessivo Elie, al freddo Nathan? Nessuno può dirlo, e forse non è davvero importante. Nella vita nessuno si svela, ogni cuore è un grumo di mistero impossibile da penetrare.

Eppure ci rimane l’impressione, dopo aver divorato le storie dei Rabinovitch, di far parte di loro, di esserci seduti alla loro tavola, di aver peregrinato con loro attraverso l’Europa, di aver sofferto, amato, odiato con loro, come se la nostra vita fosse intanto sospesa.

 

I Rabinovitch” di Philippe Blasband, pg.199, €13, Edizioni Clandestine, Marina di Massa 2006, traduzione di Francesca Maria Cerutti.

www.edizioniclandestine.it

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