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Lettera da Torino

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« …scrivo queste poche righe mentre siamo parcheggiati nella Sala 2 del Cinema Massimo nell’attesa che termini in Sala 1 il primo rullo del film “Flags Of Our Fathers” di Clint Eastwood, spartendo i pochi viveri con i miei compagni di sventura con cui ho condiviso una fila di due ore e per questo impossibilitati a rifornirci del normale sostentamento, che la convenzione di Ginevra garantirebbe anche alla derelitta categoria dei frequentatori dei festival del cinema…. ».

Se fossimo a Venezia potrei lasciare questo messaggio in bottiglia nel mare del Lido, qui devo affidarmi al Po nel suo corso fino all’Adriatico per sperare che qualche nave lo raccolga. Ebbene sì, siamo al Torino Film Festival (mi stavo giusto domandando quando aveva perso la denominazione di Festival del Cinema Giovane…), il festival del cinema di qualità, che in questi 24 anni di attività, è sempre riuscito a mantenere “un basso profilo” nell’aspetto mondano. O devo dire era…, ricordando i bei tempi delle file fianco a fianco con Moretti o Bellocchio, dove si entrava tutti senza distinzione di categoria e di rango. Non mi era mai capitato in diversi anni di Festival che qualcuno rimanesse fuori dalla cerimonia di apertura, con ingressi anche all’ultimo momento, ad evento iniziato. Quest’anno è successo, e nemmeno a pochi sfortunati, ma a quasi la totalità del pubblico accreditato e pagante. Motivo? Si può forse imputare all’infelice congiunzione di due fatti, il film di grande richiamo (“Flags Of Our Fathers” di Clint Eastwood, appunto) nel weekend di uscita nazionale, e la mancanza di una sala capiente come gli anni precedenti, ad esempio la gloriosa Sala Lux (che presumo in ristrutturazione), protagonista delle serate inaugurali degli ultimi Festival. Ben più grave del rendersi conto che la Sala Massimo con i suoi circa 400 posti fossero insufficienti per un evento del genere, eventualità che per altro gli organizzatori avevano previsto in anticipo, visto le raccomandazioni fatte a chi aveva acquistato il biglietto di giungere con un certo anticipo alla proiezione, è verificare che in realtà la cerimonia di apertura è stata saturata dagli inviti. Io non pensavo nemmeno che al Torino Film Festival si elargissero inviti, invece l’organizzazione ha asserito che in realtà ci sono sempre stati. Evidentemente gli anni precedenti, complice la sala, il tipo di film, forse il numero minore di interessati, non avevano influito sull’affluenza del pubblico. Quest’anno è stato francamente doloroso, al di là dell’impossibilità di assistere alla proiezione, replicata poi in tutta fretta nella piccola sala adiacente (ma ormai il danno era fatto), vedere qualcosa a cui qui a Torino francamente non eravamo abituati, consuetudine ad esempio a Venezia, dove la cerimonia di apertura è rigorosamente ad inviti (ma lo si sa da sempre), altro tipo di festival, però, anche a livello mondano e di presenze. Il “basso profilo”, scelta vincente di questo tipo di festival, sempre alla ricerca di qualità e nuove scoperte, più a misura d’uomo, forse non è più sufficiente per l’immagine che la città sta tentando di darsi (in verità molto bene), dopo aver ospitato diversi eventi importanti ed aver investito profondamente su se stessa, portandola ad essere una delle realtà più in evidenza del momento. Chiaramente, se la strada che si desidera percorrere è questa, bisogna forzatamente dotarsi di strutture e di un’organizzazione adeguata, come è avvenuto ad esempio per Roma con la sua recente Festa del Cinema. L’integrazione del Festival con la città, come si è cercato di fare in questi ultimi anni, è positiva, ma non deve poi andare a scapito dell’organizzazione e della possibilità di seguire al meglio questo evento. Le sale dovrebbero essere compatibili con il numero di presenze, e possibilmente circoscritte in zone limitate per poter meglio seguire tutte le proiezioni che si desidera, cosa un po’ carente negli ultimi anni, ma soprattutto quest’anno in particolare. C’è qualcosa di strutturalmente sbagliato mettersi in coda alle 18, in una posizione rassicurante, per una proiezione alle 19 a cui non si riesce ad accedere, essere ancora nella stessa fila alle 20 per poter entrare nella sala contigua poco capiente, attendere fino alle 21 per l’inizio del film, in una giornata iniziata alle 16 con ampi spazi e tempi vuoti in cui poter organizzare tranquillamente un’altra proiezione che avrebbe soddisfatto tutti. Ma forse questa critica è un po’ esagerata, forse si è trattato solo di una serata sfortunata, che non può compromettere il buon lavoro di tutti questi anni. Si tratta solamente di sensazioni, e a volte le sensazioni sono portatrici di cattivi presagi, e di ben peggiori svolte …. Parlando fuori dai denti: non abbiamo bisogno di un altro ennesimo festival clone che ricerchi la vetrina nazionale ed internazionale. Abbiamo solo bisogno di cinema…

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