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Torino 2006

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Sarà che sto invecchiando, sarà per sfortuna, ma la mia solita breve permanenza al Torino Film Festival 2006, giunto alla ventiquattresima edizione, non sarà una di quelle che ricorderò fra le migliori. Credo anche che ormai sia riduttivo giudicare un evento di questo tipo solamente in un paio di giorni, che servirebbe sicuramente una presenza più importante per rendersi conto meglio del cinema proposto e del futuro di questo Festival.

Chiaramente l’evento del weekend è stato il film di Clint Eastwood, “Flags Of Our Fathers”, che al di là dei problemi organizzativi, non ha particolarmente impressionato. La storia ruota intorno alla più famosa fotografia della seconda guerra mondiale, l’immagine simbolo di questo conflitto bellico, le truppe americane che innalzano la loro bandiera sul monte Suribachi, dopo la conquista dell’isola giapponese di Iwo Jima, baluardo strategico per la vittoria finale.

È difficile per gli americani fare un film sulla seconda guerra mondiale senza banalizzare la storia. A differenza del Vietnam, dove le contraddizioni di un conflitto politicamente sbagliato fornisce più materiale su cui lavorare a chi vuole rappresentare gli errori-orrori della guerra in generale, dove si possono cogliere differenti punti di vista, evidenziare personaggi e situazioni ambigue, l’intervento americano nella seconda guerra mondiale è stato universalmente accettato come giusto ed indispensabile, a difesa dei valori e dei principi di libertà contro dei veri nemici “cattivi”. Nessuno è mai riuscito ad uscire da questo schema di guerra pulita e giusta, quasi che le atrocità fossero a totale appannaggio degli altri. Anche in questo film il tema si ripete, traendo spunto dalla grande tradizione. Clint Eastwood cerca piuttosto di spostare l’obbiettivo sulle contraddizioni della propaganda bellica, su come anche le guerre seguano le leggi di mercato, confezionate e vendute come qualsiasi prodotto, dando un’immagine gloriosa alla realtà dei fatti. La tesi del regista si focalizza molto sul significato di eroismo, di come spesso i veri eroi non finiscono sui giornali, ma di come in realtà certi eventi vengano esaltati da personaggi minori, magari da chi è rimasto nelle retrovie o da chi non ha partecipato affatto. È forse per questo che il regista non chiude questo capitolo con questo film, ma riprenderà il discorso nel seguito, ribaltando la prospettiva del medesimo evento bellico dalla parte giapponese. E magari la pellicola potrebbe risultare più interessante. Questo “Flags Of Our Fathers” è paragonabile al “Soldato Ryan” senza il primo quarto d’ora, la parte più interessante del film di Spielberg.

Questo cinema di tradizione ha come capostipite indiscusso John Ford, cui ha fatto omaggio qui a Torino il regista Peter Bogdanovich con “Directed By”, che riprende un suo documentario del 1971 “Directed By John Ford”, realizzandone una nuova versione dove ai racconti dell’epoca di John Wayne, James Stewart ed Henry Fonda (gli attori di Ford) e dello stesso John Ford, si affiancano le interviste odierne a Steven Spielberg, Clint Eastwood, Walter Hill e Martin Scorsese, il tutto condito dall’allora voce narrante di Orson Welles. Un interessante film documentario su uno dei padri del cinema americano, soprattutto per chi, come il sottoscritto, non aveva mai visto l’originale di 35 anni fa.

Queste due pellicole rappresentano, anche in senso temporale l’inizio e la fine di questa mia permanenza al Festival 2006. In mezzo ho potuto apprezzare un paio di pellicole della seconda parte, nonché conclusione, della retrospettiva su Claude Chabrol, iniziata l’anno scorso, dove sono state proiettate le opere del regista francese dagli anni 70′ ai giorni nostri, interessante per chi non ha mai potuto visionare gli ultimi suoi lavori.

Le altre retrospettive di quest’anno interessavano «…. Robert Aldrich, regista faro per un’intera generazione di filmmakers americani (e non) …, la scoperta di una figura essenziale della modernità, il catalano Joaquin Jordà, cineasta poetico-politico …., la riscoperta del pioniere della sexploitation newyorkese, Joe Sarno, e del grande autore dell’underground italiano, Piero Bargellini …»* (cit.da catalogo di presentazione del 24° Torino Film Festival).

Per il resto, il Festival ha proposto le consolidate sezioni “Americana”, “Concorso Internazionale Lungometraggi”, “Concorso Doc 2006”, gli storici premi “Cipputi”, “Spazio Torino” ecc.., ed interessanti pellicole Fuori Concorso (per la verità alcune in uscita in contemporanea nelle sale nazionali).

E sfortunatamente queste sezioni (ribadisco nella mia breve permanenza) non hanno offerto film originali che mi abbiano particolarmente colpito, qualche buona idea qua e là, ma niente di più.

Da segnalare invece fra le “Proiezioni Speciali”, il film la cui scelta, da qualche anno, è riservata al Presidente del Torino Film Festival Gianni Rondolino, “L’Atalante” di Jean Vigo, presentato qui nella versione più recente restaurata dalla Gaumont, che si avvicinerebbe il più possibile a quella voluta dall’autore. La pellicola è stata proiettata alla presenza della figlia di Jean Vigo, che ha parlato anche della figura del padre morto di tisi a soli ventinove anni (1905-1934), del suo cinema e della censura a cui sono andate incontro all’epoca le sue due uniche pellicole girate, rimaste a testimonianza del suo genio, “Zero in Condotta” ed appunto “L’Atalante”.

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