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Intervista con Giuseppe Venezia

11 min read

GleAM Records è orgogliosa di annunciare l’uscita di I’ve Been Waiting For You, il nuovo album del bassista lucano Giuseppe Venezia, disponibile in formato CD, Vinile 180 gr. Limited edition e digital download/streaming dal 18 ottobre 2024 e distribuito da IRD International e Believe Digital. L’uscita sarà preceduta dai singoli Messaggeri (4 ottobre 2024) e Song for Gerald (11 ottobre 2024).

“Questo disco è una vera e propria performance di jazz moderno con un alto livello di raffinatezza e melodia e mostra le capacità compositive di Venezia così come il suo controllo del contrabbasso. Questo è uno di quei dischi che posso ascoltare ancora e ancora; è registrato magistralmente e le composizioni sono sequenziate in un modo che mi fa venire voglia di sedermi e ascoltare l’intera registrazione”.

Gerald L. Cannon

Attivo sulla scena jazz internazionale da quasi un ventennio, Giuseppe Venezia è considerato una “first call” da molti musicisti americani che si esibiscono in Europa. Molto attivo in veste di sideman con collaborazioni di prestigio, ritorna con un album a proprio nome dopo una lunga parentesi, presentando un progetto costituito interamente di sue composizioni, pensato e collaudato dopo innumerevoli concerti con un quintetto di eccellenza formato da alcuni dei suoi compagni di viaggio più fidati. Il polistrumentista lucano Attilio Troiano al sassofono tenore e flauto, il pianista pugliese Bruno Montrone, il batterista lucano Pasquale Fiore e, come guest su tutte le tracce dell’album, il grande Fabrizio Bosso alla tromba. L’album attraversa tutte le tematiche e forme del Jazz moderno, filtrate ed attualizzate attraverso la sapiente cifra autorale del leader.

Personnel Giuseppe Venezia – doublebass

Fabrizio Bosso – trumpet

Attilio Troiano – tenor saxophone & flute

Bruno Montrone – piano

Pasquale Fiore – drums

Recording Data Recorded on May 6, 2024 at Sorriso Studios in Bari (Italy)

Mixed & Mastered on June 24, 2024 at Sorriso Studios in Bari (Italy)

Sound Engineer: Tommy Cavalieri

Artwork & Graphics: Studio Clessidra

Produced by GleAM Records & Rosetta Jazz Club Printed in Italy 2024

https://www.youtube.com/watch?v=sw0PYo9Brzk

www.gleam-records.com

Intervista

Davide

Buongiorno Giuseppe. Tra le note di copertina hai scritto che questo tuo disco è stato ispirato dalla più bella esperienza della tua vita, ovvero la nascita di tuo figlio, a cui è dedicato. Se non sbaglio, è la prima volta che realizzi un disco di tue composizioni…

Giuseppe

Buongiorno Davide. Dici bene, il disco è ispirato a questa magnifica esperienza. La title track è dedicata al mio bimbo ed è lui che mi ha spinto a pubblicare un album di musiche originali, “I’ve been waiting for you”, è la “cosa” più naturale che mi sia mai successa. Ricordo di aver cantato la melodia, registrandola con il mio telefono, subito dopo averlo visto per la prima volta; come se fosse stato lui a suggerire quelle note.

Non tutti i brani presenti sul disco sono collegati a lui ma, senza il desiderio di voler lasciare una traccia di queste emozioni e donarle a lui, forse non lo avrei mai inciso. Mi piace pensare che, quando sarà grande, ascoltando questa musica possa sentire tutto l’amore che ho provato per lui in quel momento e che magari alcuni di questi brani diventino la colonna sonora della sua vita.

Davide

Oltre alla composizione, cosa continua e cosa introduce di nuovo questo disco nel tuo percorso musicale e nella tua sintesi o visione personale del jazz?

Giuseppe

Sicuramente più consapevolezza. Questo disco mi sta dando tanto sia in termini di visione che nel percorso musicale. Quello che ho vissuto in studio è già stato abbastanza forte perché mai avrei potuto immaginare che avremmo registrato tutto in poco più di 4 ore. Quella giornata la ricorderò per sempre, tutto scorreva, c’era una bellissima energia e senza rendercene conto avevamo inciso tutti i brani.

Oltre alla session di registrazione, i primi concerti di presentazione sono stati rivelatori per altri spunti meravigliosi. Il gruppo suona sempre meglio assieme, gli stimoli sul palco sono tantissimi e tutti accolgono le “scelte” che si prendono durante l’esecuzione dal vivo, si percorrono nuove strade pur suonando i brani che fanno parte del disco. Ogni sera sta accadendo un piccolo miracolo musicale e ne sono felicissimo.

Davide

C’è qualche altro tuo lavoro discografico da indicarci dopo “Infinity” del 2013, realizzato insieme a Emmet Cohen ed Elio Coppola?

Giuseppe

Sicuramente il mio primo disco da leader “Let the Jazz Flow”. Oltre che per la musica in esso contenuta ma per come è nato.

Doveva essere un disco in trio (piano, contrabbasso e batteria) ma diventò un settetto. Avevo scritto dei piccoli arrangiamenti per trio e con me nella session ci sarebbero stati, il compianto e meraviglioso Duffy Jackson alla batteria ed il bravissimo pianista Ehud Asherie, conosciuto qualche anno prima a New York.

Era l’estate del 2010, eravamo in tour con la big band di Attilio Troiano e c’erano tantissimi altri musicisti incredibili, cosi a cena la sera prima della registrazione, quasi per scherzo, tra una chiacchiera e l’altra alla band si aggiunsero Attilio Troiano (anche in quella occasione al tenore e flauto, sarà un caso?), Luigi Grasso al sax alto, Stjepko Gut e Jerome Etcheberry alla tromba. Stravolgemmo tutti i piani e ovviamente non suonammo nulla di quello che avevo preparato ma fu bellissimo accogliere la novità con lo spirito di chi vuole farsi sorprendere. Ricordo che Duffy, involontariamente, mi suggerì il titolo per il disco: “Man, now’s the time to let the jazz flow”.

Quello che ne è venuto fuori è una session tra amici ricca di swing e brani bellissimi della tradizione, un disco che ogni tanto riascolto con piacere perché è un’istantanea sincera del Giuseppe non ancora trentenne.

Un lavoro che apprezzo molto è “Introducing Vitantonio Gasparro”, edito da GleAM e nel quale sono sideman con Giovanni Scasciamacchia alla batteria. Una formazione nata da poco tempo e composta da vibrafono, contrabbasso e batteria alla quale sono molto legato soprattutto per il suono che la band ha dal vivo. Credo che Vitantonio sia un talento incredibile e che diventerà presto uno dei nuovi volti del jazz in Italia.

Davide

Come si è formato il quintetto di “I’ve been waiting for you” con Fabrizio Bosso, Attilio Troiano, Bruno Montrone e Pasquale Fiore? E come è stato condividere, arrangiare e improvvisare con loro questo tuo nuovo viaggio musicale?

Giuseppe

Dopo aver scritto i brani che compongono il disco, ho avuto l’opportunità di lavorare con musicisti diversi. Questi concerti sono stati importanti per esplorare nuove direzioni e affinare gli arrangiamenti ma ancora non avevo deciso chi avrebbe fatto parte della band.

La svolta è avvenuta quasi per caso, durante un concerto con Fabrizio, Attilio, Bruno e Pasquale. Suonando alcuni dei brani, ho avvertito che tutto si incastrava perfettamente, come se la musica fosse stata pronta ad emergere da tempo.

È stato un momento di profonda connessione e questa esperienza mi ha fatto capire quanto sia cruciale avere le persone giuste al proprio fianco.

Davide

Hai iniziato studiando il pianoforte e la musica classica. Come ti sei avvicinato al contrabbasso e al jazz?

Giuseppe

Gli studi classici al pianoforte riguardano la mia fanciullezza, il mio amore per la musica si è manifestato subito. I miei genitori mi raccontano di un bimbo che amava giocare con una piccola tastiera e a quel punto si sono trovati costretti a mandarmi da un insegnante di pianoforte nel paese in cui vivo, Bernalda, sulla costa ionica della provincia materana. In seguito abbandonai gli studi ma la passione per la musica è rimasta immutata, passavo tanto tempo ad ascoltare diversi generi musicali fino all’incontro con un disco di Art Blakey & Jazz Messanger “Like Somenone in Love”. Da quel momento mi sono innamorato del jazz ma solo come ascoltatore. Poi, una volta maggiorenne, ho acquistato il mio primo contrabbasso, rapito dal suono e dal carattere dello strumento e dalla maestria di musicisti come Ray Brown, Paul Chambers, Sam Jones, Wilbur Ware e tanti altri.

Davide

Tra i titoli c’è una “Song for Gerald” che suppongo sia un omaggio al contrabbassista Gerald Cannon. Perché, dunque, questo tributo? Inoltre, quali sono state le tue più significative esperienze, accanto cioè a quali principali musicisti?

Giuseppe

Gerald Cannon è stato ed è per me un maestro prima e un amico poi. L’ho conosciuto diversi anni fa in occasione di un mio viaggio a New York per un tour con Emmet Cohen ed Elio Coppola, gli chiesi di poter prendere lezioni e accettò. Mi ha insegnato tanto e siamo diventati grandi amici al punto che negli anni successivisi mi ha ospitato in casa sua, nella bellissima Harlem.

Gerald è un musicista pazzesco con una esperienza infinita ed essere a contatto con lui per tantissime ore al giorno mi ha migliorato sotto molti punti di vista, non solo musicali. Dedicargli un brano è stato naturale ma soprattutto il minimo che potessi fare.

Esperienze significative ce ne sono state tantissime perché negli scorsi 15 anni ho suonato davvero tanto in America, sarebbe riduttivo citare qualcuno dei musicisti con i quali ho condiviso il palco. Ognuno di loro mi ha dato tantissimo.

Davide

“Blue Bird”, come l’azzurrino orientale, uccello simbolo dello stato di New York? Come è stata in particolare la tua esperienza musicale nella Grande Mela, città del jazz per eccellenza?

Giuseppe

New York per me è l’università del Jazz. Un posto che pullula di talenti, di giovani musicisti incredibili e di grandi leggende del Jazz. Io li ho avuto la fortuna di incontrare e passare il tempo di qualche birra con musicisti come Ron Carter, Jimmy Cobb, Louis Hayes, Lou Donaldson, Frank Wess, Jimmy Heath, Albert “Tootie” Heath e, credimi, quando ti dico che una chiacchierata con questi maestri può valere molto più di tante altre lezioni. Purtroppo molti di loro ci hanno lasciato negli ultimi anni ma la loro eredità vivrà sempre in tutti quei musicisti che hanno gravitato intorno a loro.

Suonare nei club di New York (Smalls, Mezzrow, Dizzy’s, Birdland etc) è stata un’esperienza incredibile, farlo con musicisti come Jerry Weldon, Philip Harper, Jeb Patton, Mike LeDonne, Joe Farnsworth, David Hazeltine e tantissimi altri ha reso il tutto ancora più bello e formativo.

New York è una città dove il jazz è una presenza costante, dalla mattina a quella successiva, c’è sempre qualcosa di meraviglioso da ascoltare e da suonare. Ritengo sia una tappa obbligatoria per la formazione e la crescita di ogni musicista di jazz.

Davide

Hai nel tempo suonato molti stili diversi di jazz. Qual è il punto di equilibrio personale che hai raggiunto tra la tua musica e la ormai secolare storia del jazz, così come tra le radici e la tradizione e le molte innovazioni del suo lungo corso?

Giuseppe

L’equilibrio lo si trova quando si smette di voler dare un nome a quello che si fa. Alla fine c’è una storia lunga più di un secolo che va conosciuta, assimilata e rispettata; a quel punto si tratta di essere se stessi e cercare di raccontare la propria storia con la propria voce. Se si è ascoltato tanto si riuscirà sicuramente a virare verso uno stile piuttosto che un altro senza perdere originalità e credibilità. Forse per un bassista risulta più semplice in quanto abituato ad accompagnare diversi solisti, ognuno dei quali, con esigenze e gusti diversi. Forse perché un bassista dovrebbe creare un terreno solido sul quale anche gli altri possano dar vita a qualcosa di unico e al contempo rispondere agli stimoli e crearne di nuovi.

Non saprei; quello che so è che io stesso mi sorprendo, riascoltando le registrazioni amatoriali dei miei live, a suonare in modi differenti in base a chi sta sul palco con me, a quello che mi viene tacitamente richiesto. Alcuni preferiscono continui stimoli ritmici o armonici, altri l’esatto contrario, io preferisco fare in modo che il mio contributo renda la musica migliore ed è molto stimolante trovare il proprio spazio in situazioni completamente diverse.

Davide

Quali differenze e quali analogie tra il Giuseppe Venezia compositore e quello esecutore, altresì tra l’essere leader e l’essere sideman?

Giuseppe

Ci sono tanti aspetti che differenziano i due ruoli: dal punto di vista musicale come sideman ho sempre cercato di immedesimarmi nel band leader cercando di capire la sua concezione di musica e quale direzione volesse intraprendere. Non è sempre semplice perché come ho già detto, non tutti hanno la stessa visione (meno male) e spesso ognuno cerca qualcosa di diverso da un sideman. C’è chi lascia molta libertà ai musicisti della sua band e chi invece vuole dare un impronta ben precisa al suo gruppo. Personalmente da leader mi piace collocarmi nel mezzo, infatti, per alcuni aspetti lascio tantissima libertà ai membri del mio gruppo mentre su altri cerco di spiegare bene cosa voglio ottenere dalla band, sia in termini di suono che di intenzione.

L’aspetto che maggiormente differenzia i due ruoli è dal mio punto di vista quello delle responsabilità; da sideman è tutto più semplice in quanto devi focalizzarti sull’aspetto musicale e tante pressioni esterne non collegate necessariamente alla musica suonata non ci sono. Questa esperienza da leader mi sta facendo crescere molto anche da questo punto di vista.

Davide

Ray Brown ha detto di essersi trovato in situazioni in cui i colleghi lo incitavano a essere libero; e lui rispondeva: “un momento, non so se voglio esserlo. Alcuni dei giovani che suonano il contrabbasso come una chitarra sono fantastici. Ma io preferisco suonare a tempo: ritmo con un buon sound, che non potrà mai essere sostituito da qualcos’altro. È come il battito del cuore”. Qual è dunque il tuo modo di suonare oggi o da sempre il contrabbasso?

Giuseppe

Citi uno dei musicisti che maggiormente hanno influenzato il mio pensiero musicale. Inutile dire che sono d’accordo con il grandissimo Ray e, nonostante mi piaccia molto in alcuni casi avere un atteggiamento più contrappuntistico, devo ammettere che da bassista nulla mi dà più piacere di accompagnare in 4 quando la band è coesa, tutto sembra assumere un significato differente ed è davvero come il battito del cuore. Credo inoltre che una cosa non escluda l’altra e che, come ho già detto, si debba essere versatili e capire il contesto in cui ci si trova. Non mi piacciono quei musicisti che nel nome della personalità fanno fatica a modificare il loro playing per cercare di adattarlo alla band in cui suonano in quel momento. Molti si nascondono dietro questa fantomatica unicità non capendo che siamo tutti al servizio della musica e se la musica non funziona c’è qualcosa che non va.

Davide

Cosa seguirà?

Giuseppe

Al momento sono molto concentrato sulla promozione di questo album e alla organizzazione dei vari concerti di presentazione. Vorrei portare questo progetto ovunque perché mi piace vedere la reazione del pubblico dopo inostri concerti.

Ammetto però che sto già scrivendo per un prossimo lavoro che sarà in trio con piano e batteria ma non posso svelare nulla.

L’attività da sideman continua e sono convinto che rimarrà una delle parti più importanti della mia vita musicale in quanto credo fortemente che sia uno dei momenti di forte crescita. Suonare con tanti musicisti differenti, affrontare nuovi repertori ogni volta, capire al volo cosa fare e dove andare musicalmente parlando è davvero qualcosa a cui non voglio rinunciare.

Davide

Grazie e à suivre…

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