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Intervista con Mario Mariotti

8 min read

LA PERSISTANCE DU RÊVE

Abeat records, 2024

Mario Mariotti: tromba e flicorno.

Roberto Olzer: piano.

Marco Zanoli: batteria.

Andrea Grossi: contrabbasso.

Via Volta 28 / Zephiro / Untitled #1, 2022 / Die irren (To R.M. Rilke) / Untitled #2, 2022 / Monolith / Come se fosse autunno / Untitled #3, 2022 (To Henri Rosseau le Douanier) / Lullaby for a lion

https://www.abeatrecords.com/music/shop/la-persistance-du-reve

https://mariomariotti.tumblr.com/

https://mariomariotti.tumblr.com/bio

“La persistance du rêve” è il nuovo lavoro di Mario Mariotti, pubblicato con la Abeat records nel 2024 e realizzato insieme a Roberto Olzer al piano, Marco Zanoli alla batteria e Andrea Grossi al contrabbasso. Il disco consta di sette composizioni originali di Mario Mariotti, Roberto Olzer, Marco Zanoli o dell’intero ensemble e tre di compositori esterni al quartetto, di Gianfranco Schiaffini, trombonista già collaboratore dello storico Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza. Dino Betti Van Der Noot e Massimo Falascone.

Intervista

Davide

Buongiorno Mario. Come nasce “La persistance du rêve”, da quale idea di fondo personale e condivisa? Cos’è “la persistenza del sogno”, che per altro mi rievoca il titolo dell’opera surrealista per antonomasia “La persistenza della memoria” di Salvador Dalí e i suoi orologi fluidi?

Mario

L’idea è stata quella di riunire tre musicisti che stimo, i quali, seppur non avevano mai collaborato insieme come trio, ero certo si potessero allineare perfettamente alla mia concezione di jazz cameristico/espressionista. In una visione che, per l’appunto, definirei onirica ho immaginato noi quattro eseguire dei brani originali e mai praticati, con questa formazione, lasciandoci guidare dall’istinto, dall’ascolto reciproco e dalla capacità di “reagire” sul momento a ciò che si sente, insomma basandoci sull’improvvisazione e l’interplay. Dalí con “La persistenza della memoria” riflette sulla relatività del tempo, ecco a mio modo volevo rappresentare l’aspetto della relatività/soggettività della percezione legato a qualcosa di “nebuloso”, qualcosa dai contorni meno definiti, insomma, come il sogno. D’altro canto la musica è meno “predisposta” a rappresentare inequivocabilmente dei concetti o degli oggetti come lo sono le arti figurative, o meglio, lo è ancora meno.

Davide

In copertina c’è una delicata scultura dell’artista Christiane Löhr, una delle sue fragili simmetrie fatte di materiali vegetali. C’è una affinità tra le architetture delle effimere forme vegetali della natura e quelle della musica? Perché questa scelta?

Mario

Durante una visita alla mostra Ex natura alla Villa e Collezione Panza di Varese mi sono imbattuto nei lavori di Christiane Löhr, innamorandomene immediatamente. L’affinità fra le architetture delle sue sculture e la mia musica è enorme: si tratta della congiunzione di elementi separati a partire dai quali si crea un solo corpo che all’improvviso appare come un’unità indivisibile. La mia attività è stata quella di, in qualche modo, “ordinare” le differenti personalità e i differenti contributi dei musicisti per creare un’entità unica, un suono unico direi, così come Löhr fa con gli elementi naturali delle proprie sculture.

Davide

Come ti sei avvicinato alla musica e alla tromba? Quali sono stati i primi dischi e artisti che ti hanno chiamato e vocato alla musica?

Mario

Ho iniziato a studiare musica all’età di sei anni con un insegnante dalla mentalità molto aperta e creativa, Gabriele Jardini, che oltre ad essere pianista, compositore e direttore di coro è un affermato artista nel campo della Land Art. Successimente, a dieci anni, ho conosciuto, grazie all’amicizia con alcuni musicisti della banda del mio paese, gli ottoni e, in particolare, la tromba e sono stato affascinato dalle possibilità espressive e dalla ricchezza timbrica di questo strumento. Da lì alla scoperta dei grandi trombettisti della storia del jazz il passo è stato breve. Inizialmente ho amato moltissimo il jazz delle origini, la musica di Bix Beiderbercke in particolare, poi successivamente ho ascoltato Chet Baker e Miles Davis e, ancora dopo, grandi creativi moderni come Tomasz Stańko, Bill Dixon e Kenny Wheeler. Fin dall’adolescenza ho capito che volevo, a modo mio, entrare a far parte del mondo dell’improvvisazione e che la musica era, ed è, un elemento necessario nella mia vita, che mi permette di esprimere appieno le mie emozioni, le mie idee, la mia personalità.

Davide

A che punto sei giunto del tuo percorso musicale e come “La persistance du rêve” ne riepiloga e rilancia il viaggio?

Mario

Da molto tempo studio l’avanguardia musicale del Secondo Novecento. Dopo alcuni lavori discografici e molti concerti legati alla cosiddetta “musica contemporanea” e all’esecuzione di partiture di eccellenti compositori, ho ritenuto che fosse giunto il momento di avvicinare questo linguaggio al lessico jazzistico afroamericano, comunque mediato dall’esperienza dei grandi improvvisatori mitteleuropei. La conoscenza e l’amore che mi legano a entrambi questi repertori (quello accademico e quello squisitamente jazzistico) ha reso necessario in me un tentativo di sincretismo non certo “nuovo” nella storia del XX secolo ma il più personale possibile: vedo questo disco come un buon punto di arrivo di una quindicina d’anni di lavoro ma anche l’inizio di nuove ricerche. Credo che il linguaggio del jazz, o più ampiamente, dell’improvvisazione non abbia, almeno per me, esaurito tutte le proprie possibilità espressive e lasci grandi margini di lavoro soprattutto sul timbro, uno dei parametri musicali che più mi interessano.

Davide

Tra i tuoi lavori più recenti “Stockhausen: Gaze through the stars” e “Blues pour Boris”, omaggio a Boris Vian, del 2021. Anche in questo nuovo lavoro non mancano gli omaggi: “Die Irren” (“I folli” è una poesia di Rainer Maria Rilke) e “Untitled #3, 2022” a Henri Rousseau “il Doganiere”.

Perché Rilke e quella sua poesia in particolare? Anche la musica, così come l’arte più in generale nel suo “riverbero di mondi ignoti”, abbatte barriere nelle menti facendoci ritrovare a volte un più giusto senso?

Mario

Roberto Olzer, l’autore del brano da te citato, vuole esprimere con questa composizione il proprio amore per le opere di Rilke. L’idea di una follia che in un momento di grazia trova una sorta di sospensione e si riorganizza in qualcosa di “sensato” e lirico lo affascina molto. Il brano (la cui melodia mi ha subito colpito) gioca infatti mischiando piani diversi, free, struttura predeterminata, caso, simmetria, come in un confronto fra follia e ragione. Aggiungo io: la musica riesce certamente ad abbattere le barriere della mente e a far dialogare armoniosamente questi due aspetti presenti i tutti noi.

Davide

“Il Sogno” è il titolo di una delle ultime e più celebri opere di Rousseau, forse la summa del suo favoloso ma a lungo incompreso mondo onirico e immaginario col quale sfidò la pittura accademica. Perché questo omaggio a Rousseau?

Mario

È molto semplice: il suo quadro mi ha sempre molto affascinato e in questa sorta di “notturno” estemporaneo che abbiamo creato ho rivisto alcune immagini di tale opera. Inoltre, seppur tangenzialmente ed a livello inconscio, il gesto pittorico naïf di Rousseau ha in parte “modellato” la scelta di emissione delle note da parte mia e il loro incedere.

Davide

Nel jazz da camera, se la definizione si addice alla vostra musica, fondamentale è l’interazione del gruppo. Tra le composizioni ve ne sono tre senza titolo e sono accreditate a tutto il quartetto. Si tratta di improvvisazioni? Rimandano a certa musica classica contemporanea, a cominciare da quella seriale passata dalla Scuola di Darmstadt, e al bilinguismo jazz-classica della musica “Third Stream”.

Qual è stato il vostro metodo nell’improvvisare e che significato attribuisci all’inventiva immediata in reciproco dialogo e ascolto e in equilibrio tra costruzione e decostruzione musicale?

Mario

I tre brani intitolati Untitled, scusa il gioco di parole, sono nati come delle composizioni istantanee basate esclusivamente su alcune suggestioni verbali e visive che ho voluto condividere con Roberto, Andrea e Marco. Sostanzialmente avevo in mente di creare dei momenti di “espressionismo astratto” musicale, se mi concedi il termine, lavorando sull’interazione estemporanea e l’ascolto reciproco. Con questi musicisti altamente empatici questo è, non solo possibile, ma anche un mezzo per raggiungere risultati musicali difficilmente concepibili a tavolino o fissati sul pentagramma. Certamente alcune sonorità sono debitrici dell’Avanguardia del Secondo Novecento ma la componente jazzistica è forte, percepibile nel “colore” strumentale, in alcuni fraseggi melodici e in alcune soluzioni armoniche e ritmiche.

Davide

“Se hai sbagliato una nota, rendila giusta con ciò che suoni dopo”, disse Joe Pass. Quanto contano per te l’errore o una imperfezione nel processo creativo aleatorio, sempre che esista infine qualcosa di giusto o sbagliato nell’arte?

Mario

Non esiste l’ “errore” nell’improvvisazione, dal mio punto di vista, ma solo una “possibilità”, che tu stesso/a ignoravi, di poter prendere una “strada” diversa. È uno stimolo creativo e proprio vedendolo come tale non è concepibile come sbaglio. Se si suona senza “idee preconfezionate” o aspettandosi che qualcosa debba accadere (qualcosa di immaginato in precedenza che vogliamo avvenga) allora si è liberi di cogliere tutto ciò che succede in quel momento come quello che “doveva” ineluttabilmente essere.

Davide

Presenti nel disco anche composizioni di Gianfranco Schiaffini, Dino Betti Van Der Noot e di Massimo Falascone. Perché in particolare questi tre autori?

Mario

Poiché sono tre cari amici con cui ho collaborato in varie situazioni e dei musicisti che sento vicini alla mia estetica. Ero certo che le loro opere sarebbero state un terreno fertile per il dialogo musicale che avevo in mente di instaurare con gli altri componenti del mio quartetto, al pari dei pezzi originali proposti da ciascuno di noi.

Davide

Cosa seguirà?

Mario

Spero, prossimamente, di poter tenere dei concerti di presentazione di questo lavoro discografico e portare la mia musica di fronte a un pubblico di ascoltatori per condividere con loro le mie emozioni e il suono creato da noi quattro.

Davide

Grazie e à suivre…

1 thought on “Intervista con Mario Mariotti

  1. Bella e solida intervista a un musicista che apprezzo per il suo approccio senza preclusioni. Mario Mariotti ha non soltanto un grande talento naturale, ma ha la capacità di affrontare la musica con un assoluto equilibrio fra intuizione e pensiero razionale.

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