Rendere a parole la mia esperienza in Uganda, sotto alcuni punti di vista è molto limitante… ma sotto altri ho molto da dire.
Sento che ciò che è definibile a parole rientra nella sfera pratica/materiale, dei compiti che ho svolto nella Diocesi di Arua.
Ciò che invece ancora devo metabolizzare e che difficilmente riesco ad esprimere, è l’esperienza umana, quella fatta di sguardi, di sorrisi, di sincere strette di mani bianche e nere che si incontrano tra me (bianco occidentale) e loro, africani dell’equatore, sempre felici e pieni di vitalità anche nella disperazione.
Il mio ultimo viaggio in Africa nell’ambito dei progetti di Cooperazione Internazionale mi ha portato ad Oluko, piccolo villaggio di capanne nei pressi della città di Arua, Nord-Ovest dell’Uganda, a pochi km dal confine con il Congo e il Sudan.
Area geopoliticamente molto “calda”, piegata da malattie endemiche come malaria e AIDS, ma anche da anni di guerre e carestie, la Diocesi di Arua è stata la mia casa per ben due mesi.
I pericoli ai quali ero sottoposto in qualità di unico bianco della zona erano illimitati, eppure sono stato accolto dalla povera gente in modo amichevole, senza pretese né barbaria nei miei confronti.
I miei referenti locali erano i sacerdoti della Congregazione chiamata “Apostles Of Jesus” ed il mio operato, oltre a rendere conto in Italia all’associazione per la quale opero (Associazione Solidarietà e Sviluppo – AS.SO.S) era direttamente sottoposto all’attenzione del Mons. Frederik Drandua, Vescovo della Diocesi di Arua.
Gli studi che ho compiuto qui in occidente, in una normalissima facoltà di Scienze Politiche mi avevano preparato, almeno nella teoria, a ciò che avrei visto.
I miei precedenti viaggi come cooperante in Kenya e Tanzania, mi avevano preparato a ciò che avrei trovato in loco.
La mia personale esperienza di vita però, probabilmente doveva plasmarsi anche in funzione di ciò che ho vissuto in Uganda.
E non c’è università o esperienza in altre località in grado di insegnare ciò che si prova in modo diretto sulla propria pelle quando si entra in contatto con realtà completamente differenti dalla nostra.
Ho operato nell’ambito dell’istruzione, della sanità e delle adozioni internazionali: ogni giorno viaggiavo per ospedali, dispensari medici, scuole ed orfanotrofi.
La povera gente, povera per modo di dire, ha molto da insegnare a chi, come me, proviene da una civiltà nella quale non esiste la mancanza d’acqua (almeno per il momento!).
Ma non è finita qui: quando si arriva in Africa dell’Est, da subito ci si deve abituare alla visione di determinate scene che sconvolgono di fatto tutte le certezze materiali delle quali la nostra civiltà si circonda: da qui in avanti c’era solo tanto da imparare, a tal punto che il mio atteggiamento mentale si modificava in funzione di ciò che quotidianamente ero chiamato ad affrontare.
Il popolo che mi ha accolto, quello della povera gente, non mi ha fatto mai mancare un sorriso, né tanto meno cibo e acqua.
Ho avuto la possibilità di vedere in prima persona i loro riti; il giorno del mio compleanno sono stato ufficialmente accolto nella loro società attraverso un rito di introduzione tipicamente africano di fronte a tutto il villaggio. Ho pregato con loro. Mi hanno accordato permessi per partecipare a cerimonie private particolarmente delicate come i riti di purificazione. Ero lì con loro e chiesi addirittura di potermi sottoporre…e così fu.
Sono stato battezzato con un nome in Lugbara (dialetto locale), ora ad Arua sono conosciuto come Ayiko, che significa “Full of Happyness” (pieno di felicità).
Il momento del mio battesimo fu una consapevolezza che ancora devo metabolizzare: in Italia mi occupo professionalmente di giocoleria ed ovviamente in Africa i miei strumenti erano con me.
Mi sono esibito nelle circostanze più anomale, sia con i miei attrezzi, sia con sassi o bastoni raccolti dalla terra seduta stante: ecco, da qui il nome Ayiko.
Sentir ridere i bimbi che mi circondavano e vedere tutta la popolazione ammirare l’unico bianco che giocolava è un’esperienza che ancora non so rendere a parole… ma tutti di fronte a me erano felici.
Ho vissuto l’esperienza dei mondiali: unica e irripetibile, dalla prima partita Italia-Ghana (ero l’unico bianco del locale), fino ad essere campioni del mondo…
Sono stato invitato dalla radio locale “Arua One” a suonare il didjeridoo in bamboo (che mi ero costruito il loco) insieme a veri percussionisti africani.
Gli africani, tutti, dai bambini agli anziani, di fronte ad una percussione diventano inumani: il loro modo di suonare è completamente diverso dalla nostra impostazione; tutte le mattine, la sveglia del villaggio di Oluko suonava alle 6:30 ed era 10 minuti di percussioni!
Ci sono veramente troppe cose che potrei dire di ogni giorno vissuto ad Arua, e, porre l’attenzione su ciò che gli africani non hanno, potrebbe passare per retorica, ma la verità è che la vita nelle loro condizioni non è facile, se pensiamo che ciò che è necessario a loro, per noi è superfluo.
Ma porre l’attenzione su ciò che gli africani hanno, è cosa buona come nutrimento per la nostra anima: avendo poco “fuori”, loro alimentano il tanto che hanno “dentro” e ciò rende quella gente capace di meravigliosi prodigi, semplicemente con uno sguardo.
La mia vita è profondamente cambiata e non mi vergogno ad affermare che mi sto sforzando molto per rientrare nei canoni della mia società.
Sento una spinta propulsiva che mi porterà nuovamente fuori dalla mia nazione (che tra l’altro è in continuo degrado!) e sono sempre più convinto che la “Vera Vita”, non è quella alla quale siamo educati noi civili occidentali.
Ma questa è soltanto la mia opinione e conta solo in funzione di ciò che sta percependo ora il lettore.
Grazie per aver terminato la lettura dell’articolo.
In fede.
Dott. Stefano Maria Crocelli
Noto ad Arua come “Ayiko”.
Chi è Stefano Maria Crocelli
Stefano Maria Crocelli, laureato in Scienze Sociali della Comunicazione Interculturale, lavora nell’ambito della Cooperazione Internazionale in Africa dell’Est (Uganda, Tanzania e Kenya).
In Italia opera professionalmente nell’intrattenimento ed in qualità di giocoliere professionista entrò in contatto con l’associazione AS.SO.S Terni (Associazione Solidarietà e Sviluppo), presso la quale attualmente svolge il proprio operato in Africa.
Studia strumenti tradizionali come il Marranzano di Sicilia, il Didjeridoo (connesso alla tecnica del Massaggio Sonoro) ed il Canto Armonico.
Contatti
Chiunque fosse interessato ai nostri progetti in Africa, anche semplicemente a titolo informativo, può liberamente contattare l’Associazione Solidarietà e Sviluppo di Terni (AS.SO.S. Terni) all’indirizzo web
o direttamente Stefano, all’indirizzo
nel quale è possibile trovare informazioni in merito alla giocoleria, al didjeridoo e al marranzano di Sicilia, ed effettuare il down-load di foto e filmati dell’esperienza africana.