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Intervista con Giorgio Pinardi

11 min read

MeVsMyself è il progetto in Voce Solo di Giorgio Pinardi, cantante e sperimentatore vocale milanese da anni nel campo della musica non convenzionale. Dopo il successo del precedente “Yggdrasil” (2015) esce nel 2019 “Mictlàn”, nuovo disco che raccoglie diversi filoni di ricerca nei campi più disparati: dalle tecniche utilizzate dai cantori della Mongolia, ai timbri suggestivi dell’Africa, passando per fraseggi tipici della musica indiana e bulgara o le raffinate evoluzione della cultura medio-orientale. 
“Mitclàn” è costituito da improvvisazioni suddivise in centinaia di tracce registrate presso i Panidea Studios di Alessandria (Paolo Novelli) dove la voce si fa strumento ritmico, armonico, melodico e sperimenta in tutte le direzioni, cercando di sondare anche possibili scenari futuri attraverso ardite manipolazioni elettroniche.
Musica da ogni parte del globo, richiami ad antiche culture dimenticate, sperimentazioni entro ed oltre i limiti della voce umana: questo e altro ancora è MeVsMyself, uno spettacolo in solo dove la voce evoca un mosaico di suoni, ricordi, colori, sensazioni e ambienti diversi. 
L’intero album è basato su improvvisazioni in studio create sulla propria voce campionata in tempo reale, ispirate a tecniche di sperimentazione vocale (Demetrio Stratos e Bobby Mc Ferrin tra i riferimenti) e alla World Music (musica araba, africana, indiana, cinese, etc.) fusa con generi musicali moderni per 45 minuti circa di musica totalmente inedita. 
Il progetto ha partecipato con successo a numerosi eventi e Festival in tutta Italia tra cui ricordiamo: “Vocalmente” (Fossano, CN), “Baa Fest” (Desio, MB), “Turmik” (Bologna), “Isola Rock” (Isola della Scala, VR), “CorreVoce” (Piossasco, TO), Pandora Improv Festival (Pontenure, PC).

https://www.facebook.com/pages/MeVsMyself/680962522035763?fref=ts

https://www.youtube.com/watch?v=1QxIK7MesJ8

Associazione Culturale Alterjinga

Tracklist

Khnum / Tin Hinan / Gurfa / Mbuki – Mvuki / Sygyzy / Tingo / Ohrwurm / Eostre

Intervista

Davide

Ciao Giorgio. Quando e perché hai cominciato a sperimentare con la voce?

Giorgio

Il mio percorso/rapporto con la Voce è cominciato da bambino, quando per caso sono stato selezionato e introdotto al coro delle Voci bianche del Teatro alla Scala di Milano. Grazie a questo incontro fortuito, un’audizione non cercata e capitata per caso, ogni fase della mia crescita è stata scandita dal conoscere e comprendere la mia Voce, nei suoi limiti e nelle sue potenzialità. La sperimentazione è stata un’evoluzione naturale legata alla curiosità di capire vocalità che al tempo trovavo misteriose (per ignoranza dei principi alla base di ciascuna emissione) ma sempre molto affascinanti. Volendo cercare un’origine definita posso dire che ho cominciato a concentrarmi sulle possibilità espressive e sperimentali della voce – in parallelo al mio cammino con il Canto “tradizionale” – dai primissimi anni duemila.

Davide

Cosa continua “Mictlàn” rispetto al precedente “Yggdrasil”, quali nuove esperienze e visioni aggiunge nel tuo percorso di ricerca? 

Giorgio 

Questo mio ultimo lavoro rappresenta per me un’importantissima evoluzione rispetto al precedente “Yggdrasill”, sento molto questa crescita. Con “Mictlàn” ho potuto rendere molto più personale la commistione di generi, stili e influenze musicali che sono alla base del mio progetto, rendendo meno chiari e netti i confini tra un genere e l’altro. Questo per me è un passo fondamentale verso la costituzione di un non-genere, con l’obiettivo, disco dopo disco, di far uscire chi ascolta dal naturale desiderio di catalogare, differenziare e identificare le fonti e gli stimoli alla base di ogni traccia, libero di immergersi in una vera e proprio dimensione dove tutto sia Musica, senza confini.

Davide

Mitclan è il luogo dei morti per la mitologia azteca; perché questo titolo?

Giorgio

Come il precedente disco, anche questo lavoro nasce dall’improvvisazione priva di progettazione e scrittura prima di registrare, meccanismo questo che rimane volutamente scelta programmatica del progetto sia in studio che dal vivo. Perche faccio questa premessa? Per il semplice fatto che, come in “Yggdrasill”, titoli delle composizioni e il concept dell’album sono emersi a posteriori, alla fine delle registrazioni, dove in modo molto naturale e spontaneo è emerso un filo logico, riascoltando le tracce e dando loro un ordine che alle mie orecchie avesse un senso preciso, lasciandomi guidare più da sensazioni che altro. Secondo gli antichi morire era solo l’inizio di un viaggio, fatto di luoghi ben precisi e diversi tra loro tutti da esplorare, un vero e proprio scoprire l’ignoto oltre i limiti della realtà fisica, da affrontare con grande coraggio. Il tema l’ho trovato nella coincidenza della musica con eventi privati: l’esplorazione della dimensione a cui si accede dopo la morte interpretabile come un conoscersi dettato dall’affrontare difficoltà estreme, percepire la fine di tutto, sentire sgretolarsi la terra sotto i piedi, accettare di lasciar morire una parte di noi per poi rinascere. Ho riscontrato come queste sensazioni provate realmente durante la lavorazione abbiano naturalmente condizionato l’andamento delle mie creazioni, suggerendomi in modo sottile (e non razionale) dove si stesse andando a parare nel disegno complessivo dell’opera, via via che essa prendeva forma.

Davide

Scorrendo i titoli dei brani è evidente che fai sovente riferimento alle mitologie antiche di vari popoli e ai loro personaggi più o meno divini: il dio egizio creatore della vita Khnum, la progenitrice del popolo dei Tuareg del Nord Tin Hinan; la fertilità e la primavera della divinità germanica Eostre… Perché? Cosa cerchi nelle mitologie del mondo?

Giorgio

Questa domanda è interessante perché mi permette di affrontare un aspetto che trovo molto importante, in quello che propongo. Credo che esplorare la musica, approfondirla e rielaborarla sia un processo che passi anche da approfondimenti culturali legati alle tradizioni di Popoli antichi, con molti più punti di contatto tra loro di quanto non si creda. Questo sia sotto il punto di vista musicale (scale, ritmi e stili) che dal punto di vista storico-religioso. Per me ricerca significa proprio darsi obiettivi personali legati alla conoscenza, voler capire per capirsi. Approfondire i miti dell’Uomo è un modo di comprendere meglio chi siamo e da dove veniamo, per ipotizzare e teorizzare dove andremo in futuro.  Domandarci chi eravamo per pensare a chi saremo, che rapporto avremo con la realtà in base alla codifica che abbiamo dato finora alla realtà stessa.

Davide

Ci si imbatte anche in vocaboli o modi di dire peculiari di alcune lingue, intraducibili, come lo Mbuki-Mvuki che in lingua bantu si usa per definire una certa improvvisa e irresistibile allegria che fa togliere i vestiti e ballare; o come Tingo, che richiama il verbo usato nell’Isola di Pasqua che indica il prendere cose in prestito, una alla volta, dalla casa di un amico finché a questi non rimane  più niente; o come ancora la parola tedesca Ohrwurm, letteralmente la forbicina (che gli antichi credevano penetrasse dall’orecchio nel cervello per mangiarlo) e che in senso figurato è una motivo musicale che continuiamo a sentire ossessivamente nella mente. Le tue esplorazioni vocali nascono ispirate o influenzate da ricerche storiche e antropologiche precise? Quali quelle di “Mictlàn”?

Giorgio

Le ricerche alla base del mio progetto sono, a parte quelle musicali, di tipo fonetico/linguistico e certamente antropologico/filosofico, sempre in rapporto al Suono e alla concezione che dovremmo a mio parere recuperare di “sacralità” della Musica, non necessariamente mediata dalla religione. In un’epoca in cui la musica di massa è sempre più un sottofondo in secondo piano, privo di importanza nei contenuti e concepito in modo superficiale attraverso una forma povera (che risulti il più possibile rassicurante per questo), trovo importante sovvertire questo lento scivolare in questa condizione di indifferenza. Lo scopo ultimo è avviare una riscoperta profonda della Musica in relazione all’ambiente, per preservarla dall’estinzione al pari di quanto la Natura sta facendo (per colpa dell’Uomo) con l’ambiente. Preservare l’ecosistema “musica” dalla sua distruzione, affinchè non solo si salvi ma non venga dimenticato, come sembra ogni giorno di più accada. Nella mia musica non ci sono parole di senso compiuto ma fonemi che vogliono richiamare diverse lingue senza aderire a nessuna, per creare un linguaggio universale funzionale all’evocazione sensoriale di ciascuna composizione, senza condizionare l’ascolto con un testo che dia un’interpretazione univoca. I titoli hanno un significato ma volutamente complesso: si tratta quasi sempre di termini che significano più cose, spesso intraducibili con singole parole, proprio ad evidenziare questo carattere fortemente dinamico del contenuto para-linguistico. In sintesi: è chi ascolta che deve trovare il proprio significato nella Musica, non il contrario. Quando ascoltiamo un Solo in un disco Jazz non è di primaria importanza sapere cosa aveva emotivamente in mente l’esecutore, molto più interessante è cosa evoca in noi all’ascolto il seguire il discorso musicale.

Davide

C’è anche un invito alla preistoria attraverso Gurfa e le sue grotte. Non c’è dubbio che la voce, insieme al corpo umano con la percussione dei piedi sulla terra o delle mani sul corpo stesso, sia lo strumento musicale più antico. Perché ti sei concentrato particolarmente sulla voce senza estendere al resto del corpo le tue esplorazioni come nella body music?

Giorgio 

A dire la verità sia nel precedente disco che in “Mictlàn” ci sono parti di percussione corporale (body percussion) e precisamente nei brani “Hanyauku” (da “Yggdrasill” del 2015) e in “Mbuki-Mvuki” (da “Mictlàn”). La cosiddetta body percussion mi interessa molto e la uso come propedeutica nei miei seminari di vocalità ma ha un ruolo minore sia per questioni di competenza (che reputo non così matura da permettere un ricorrervi ampio), sia perché comunque il focus principale del progetto è sempre stato la Voce e la sua capacità di essere strumento. Seguo la filosofia, poco occidentale, per cui sono gli strumenti ad essere costruiti per seguire e imitare la Voce, non il contrario. La Voce come primo strumento dell’Uomo.

Davide

Una voce non può trascinare la lingua e le labbra che le diedero le ali. Da sola, deve cercare l’etere, scrisse Kahlil Gibran. Cosa cerchi sopra tutto nella tua voce e per mezzo di essa? Cosa vuol dire per te esplorare la voce e nondimeno le voci dei canti etnici?

Giorgio 

Ho dato al mio progetto il nome MeVsMyself per sottolineare il senso di sfida perenne della mia ricerca, con me stesso. Non sono affatto competitivo, non mi fraintendere, ma pretendo molto da me e da quello che faccio, cercando di portarmi sempre oltre i miei limiti, per immergermi in una dimensione dove ogni certezza non può più aiutarmi e ogni intuizione può rivelarsi preziosa. Improvvisazione estemporanea nella mia esperienza è questo: portarsi fuori dalle proprie sicurezze per scavare in lati di ognuno di noi dove c’è creatività e originalità oltre ogni regola, tecnica e abitudine. Io nella Voce cerco il senso della sua perdita, il momento in cui non riconoscermi per comprendermi maggiormente, l’espressione di qualcosa che centinaia di ore di conversazione non saprebbero rendere con lo stesso impatto e chiarezza. I canti etnici in questo sono per me prezioso spunto di studio e comprensione poiché legati a concezioni di sé e della dimensione umana profondamente connesse alla ricerca spirituale e filosofica dell’individuo, anche inconscia e primordiale. Ma con tanto da insegnare ancora oggi.

Davide

Entro quali limiti e con quali obiettivi usi l’elettronica al fine di non snaturare eventualmente il tuo progetto per sola voce?

Giorgio 

L’uso dell’elettronica è inteso nel progetto come un possibile colore in più del puro suono vocale, molto più sfruttato dal vivo per sopperire alle differenze con la dimensione dello studio di registrazione. Una cosa interessante del suo uso in studio è che ho sperimentato, prima di applicare la tecnologia usata in alcune tracce, diverse modifiche timbriche su ogni suono per creare effetti solitamente riproducibili elettronicamente, creando quindi interazioni inedite con determinati effetti digitali. L’intento è di riportare sempre alle numerose sfumature ottenibili dalla capacità della Voce di esprimere le mille sfaccettature del nostro animo, senza preclusione verso un dialogo con la tecnologia ma partendo sempre dalla Voce come sorgente sonora di qualsiasi suono, anche il più strano o particolare.

Davide

Forse non è noto a molti, ma l’Italia – grazie all’opera seminale del grande Demetrio Stratos – ha un discreto numero di sperimentatori vocali, molti da me incontrati e intervistati tra l’altro negli anni; penso a Claudio Milano, a Gianni Venturi, ad Albert Hera, a Luca Fattori e tanti altri. Cosa pensi del contributo italiano in questo particolare campo?

Giorgio 

Io credo che l’Italia abbia moltissimo da dire in campo sperimentale e musicale, non solo vocale. Credo che ogni artista che si dedichi alla Voce necessariamente compia un percorso interiore profondo, con l’indubbio vantaggio di portare allo sviluppo di un’identità molto ben definita e per questo meravigliosamente diversa da vocalist a vocalist. Trovo bello esista questa differenza, più o meno marcata, perché la musica è bella quando è varia. Amo meno quando i riferimenti sono troppo evidenti e si sente uno “scimmiottare” il modello originale, indicativo di un’insicurezza o scarso approfondimento delle proprie possibilità, oppure risolversi attorno a pattern e modalità sempre un po’ fini a sé stesse, quindi simbolo di un non sapere o voler rischiare. Penso che sperimentare sia rischiare, inevitabilmente.

Davide

Non è un caso che tu abbia registrato al Panidea di Alessandria con Paolo Novelli, polistrumentista ma soprattutto cantante a sua volta esploratore di diversi linguaggi, dal canto gregoriano al barocco, al canto broadway, direttore di coro, arrangiatore per gruppi vocali jazz e gruppi vocali a cappella eccetera… Vero?

Giorgio

Decisamente no, credo che in Italia ci siano poche personalità come Paolo Novelli, eccezionale musicista e conoscitore della Voce che mi ha onorato non solo con la sua competenza in materia di registrazione, editing e mastering ma anche in fase di co-arrangiamento delle singole improvvisazioni estemporanee. La cosa che preferisco del lavoro in studio con Paolo, molto rigoroso e preciso a livello chirurgico, è la fase di confronto e discussione su ogni sfumatura e colore vocale, comparando con stili e generi musicali tra i più disparati. Questo mi piace citarlo, perche fa parte di un clima che a mio parere raramente esiste in altri contesti, o che comunque dovrebbe verificarsi piu spesso, ovvero non solo schiacciare REC tante volte quanto necessario ad ottenere la migliore take ma commentare e analizzare con spirito costruttivo ciò che si sta facendo, la direzione che si sta delineando mentre il lavoro procede, che tipo di scelte ed evoluzioni possono profilarsi nel gestire il materiale sonoro. In questo Paolo è assolutamente impareggiabile e nulla di quanto creo e immagino con la Voce potrebbe suonare meglio!

Davide

Cosa seguirà?

Giorgio

Nella mia mente ho pianificato diversi temi che vorrei sviluppare per almeno altri quattro dischi ma sto combattendo con la progettualità per non inquinare la natura stessa del mio lavoro, come spiegato nel corso della nostra chiacchierata. Prevedo comunque di entrare già nel 2020 in studio per lavorare al nuovo album che vorrei creasse un punto di incontro più marcato e immediato tra la musica orientale e quella occidentale, risultando un’evoluzione ulteriore del discorso musicale globale iniziato con “Yggdrasill” e portato avanti da “Mictlàn”. Mi piacerebbe incontrare nuovi generi e stili, per fondere un numero maggiori di stimoli in modo continuo, creando uno scambio dinamico e fluido che permetta di ascoltare di un fiato l’intero disco, come un corpo unico..

Davide

Grazie e à suivre…

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