Edizioni Rizzoli
Storia biografia
Pagg. 312
ISBN 5000000073705
Prezzo Euro 12,10
Un cretino obbediente
Mussolini era Mussolini, ma il fascismo era Starace. Può sembrare una battuta a buon mercato, ma non lo è, perché Achille Starace diede un’impronta ben precisa alla nazione italiana, riuscendo però a farsi detestare sia dai fascisti che dagli antifascisti. Ci si chiederà il perché, ovviamente, e la risposta non è difficile, perché questo pugliese, eroe di guerra, nel lungo periodo in cui fu segretario del Partito Nazionale Fascista fu ubbidiente e fin troppo zelante nell’adempiere all’ordine del duce di far diventare fascisti gli italiani. Ed ecco allora le divise, gli esercizi ginnici obbligatori, il sabato pomeriggio occupati a marciare o a saltare il cerchio di fuoco, il tutto condito da un’aria di vuota retorica e da un patriottismo che esaltava quelli che erano definiti i nostri avi, cioè i romani. Dal punto di vista dell’organizzazione di questo spettacolo Starace era imbattibile, sempre pronto a inserire novità suggeritegli da Mussolini, che lui venerava, non contraccambiato però nella stima, tanto che in occasione della sua nomina a segretario, allorchè il gerarca fascista Arpinati, rivolto al duce, sbottò:”Ma è un cretino!”, la risposta fu eloquente: “Lo so, ma è un cretino obbediente!”. Dato che nel partito fascista non mancavano le fronde, i giochi di potere, non era ben vista questa sua posizione di contatto diretto con Mussolini e di continuo si cercava di screditarlo. Si arrivò al punto di rinfacciargli le numerose amanti, ma questa era un argomento che al Duce, anche lui impegnato allo stesso modo, interessava poco, si architettarono presunte ruberie, che fra i gerarchi erano la norma, ma nemmeno lì i congiurati ebbero successo, perché, se era cretino, era un cretino onesto. Invece cadde perché il fascismo di per sé si logorava, era invecchiato precocemente in una decadenza che con la guerra forse voleva evitare, ma che invece finì con il dare il cosiddetto colpo di grazia. Durante il secondo conflitto mondiale anche Starace, ormai senza più incarichi, senza redditi e quindi in difficoltà economiche, non fu che l’ombra di se stesso e dopo il 25 luglio del 1943 lo sbatterono anche in galera, per poi liberarlo quasi subito, ma per poco tempo, perché costituita la Repubblica Sociale Italiana lo misero in carcere a Verona, vicino alle celle dei congiurati del 25 luglio 1943. Lui continuava a scrivere lettere al duce, pregandolo di avere un incarico, ma quello faceva orecchi di mercante e così, una volta rimesso in libertà, si rifugiò a Milano dove visse quasi in miseria e in solitudine. Poi, chissà perché, il 29 aprile del 1945 uscì dalla sua tana in tuta da ginnastica per corrrere un po’. Venne riconosciuto dai partigiani e, sottoposto a un processo sommario, fu condannato a morte. Portato in piazzale Loreto, dove ancora erano appesi i cadaveri dei gerarchi fucilati a Dongo, della Petacci e di Mussolini, morì colpito dalle pallottole del plotone d’esecuzione gridando ancora una volta:” Viva il duce!”. Non c’è che dire se non che è il caso più unico che raro del perfetto cretino, coerente fino all’ultimo. Eppure, secondo la mia personale opinione, il personaggio merita rispetto, poiché non si macchiò di nefandezze ma fece l’errore di credere di trasformare gli italiani in un popolo di permanenti rivoluzionari, diventando oggetto della satira, ovviamente non ufficiale, con cui in fondo il fascismo poteva sembrare meno pericoloso e meno opprimente di ciò che effettivamente era.
Antonio Spinosa, autore di numerose biografie di personaggi storici celebri, è esauriente nel parlarci dell’esistenza di Starace, senza essere greve, anzi inserendo un sottofondo ironico in quella che è anche la storia dell’Italia fascista. Non tace dei difetti del personaggio ed evidenzia l’unico pregio di non essere corruttibile; per quanto ne esca una macchietta, spesso indisponente, tuttavia l’autore dimostra anche di avere compassione per quest’uomo, morto spiritualmente dal momento in cui Mussolini non lo volle più alla sua presenza, una condanna infamante per chi per il duce sarebbe morto.
Da leggere, senza dubbio.
Antonio Spinosa, giornalista e scrittore, è stato direttore del nuovo «Roma», dell’agenzia Italia, della «Gazzetta del Mezzogiorno» e di Videosapere-rai; inviato speciale del «Corriere della Sera» e del «Giornale». È autore di numerosi saggi storici, politici, di costume e di biografie di personaggi che hanno c”ambiato il mondo e l’Italia in particolare, tra cui “Cesare”, “Tiberio”, “Augusto”, “Paolina Bonaparte”, “Murat”, “Starace”, “Mussolini”, “Vittorio Emanuele III”, “Hitler”, “Pio XII”, “Salò”, “Edda”, “Italiane”, “L’Italia liberata”, “La grande storia di Roma”, “La saga dei Borgia”, “Mussolini razzista riluttante”, “Alla corte del duce”, “Churchill”, “Il potere”, il destino e la gloria”, “Cleopatra”, “D’Annunzio”, tutti editi da Mondadori.
Ha vinto il Premio Estense, il Saint-Vincent, il Bancarella, il premio Donna Città di Roma ed è stato finalista al premio Strega 1996 con Piccoli sguardi.
Si dedica da anni a riscoprire e reinterpretare eventi e personaggi che hanno cambiato la storia d’Italia, dall’antica Roma all’epoca napoleonica, all’età contemporanea.