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A casa nostra

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Casa Nostra. Ma quale? L’Italia, naturalmente.

Casa Nostra, così la chiama Rita (Valeria Golino), capitano della Guardia di Finanza mentre sputa in faccia la verità a Ugo (Luca Zingaretti), banchiere affermato e senza troppi scrupoli. Che L’Italia non è solo il paese di chi vuole rubare, ma anche della gente onesta (e il farlo dire da uno della GdF mi ha fatto rabbrividire) e che quindi i grandi ladri la devono smettere di fare i loro porci comodi.

Ecco, questo è il massimo della coscienza politica e sociale a cui arriva il film. Tutto il resto è solo una squallida e banale rappresentazione di caratteri che mettono a disagio solo a vederli parlare o muoversi. Un disagio dovuto dalla costruzione di personaggi che vorrebbero essere specchio di alcune tipologie italiane ma che rasentano a mala pena l’immagine che di essi la televisione o la fiction riescono a darci.

Brividi, brividi dappertutto.

La Comencini dichiara di voler mostrare i luoghi oscuri della società italiana quando riesce soltanto a farci vedere cose che tutti conosciamo e che non sono una novità per nessuno. Qui non c’è nessun coraggio, nessuna volontà di voler scavare veramente nelle ragioni di una tale disastrata società e non c’è neanche l’intelligenza di tirarci fuori un racconto con una sua compiutezza se non morale o etica per lo meno narrativa. Cercando nella coralità una forma espressiva che finisce per crollare su se stessa perché non supportata né da una sceneggiatura degna di questo nome, né dalla prova degli attori, si rimane con un’accozzaglia di piccole storie che cercano di incastrarsi per dare un parvenza di intreccio e di struttura. Non basta far incontrare sette personaggi per caso per parlarci del destino e dei suoi scherzi. Si vorrebbe che il denaro fosse motore narrativo e tematico. Si vorrebbero raccontare le bassezze e la complessità dell’animo umano. Si arriva forse a dare uno spaccato dell’incapacità narrativa a cui il nostro cinema sembra essere arrivato.

E’ tutto molto confuso e ipocrita in questo film, alcune sequenze aumentano la mia rabbia di spettatore e infuocano la mia dignità di studioso di cinema.

Brividi, brividi dappertutto.

Il personaggio di Otello, delinquente pentito, che va a puttane sentendo l’opera lirica.

Il personaggio di Gerry, nella sua totalità, interpretato dall’astro nascente della recitazione italiana, Luca Argentero, che dopo anni di formazione all’Actor’s Studio di Cinecittà (Big Brother School) approda sul grande schermo.

Elodie (Laura Chiatti) che rivela a Gerri che il suo sogno era di fare la cantante e si mette a cantare.

La scena prima suddetta dello scontro verbale tra Ugo e Rita.

E poi molte altre che avrete il piacere di scoprire al cinema se vi avventurerete nella visione del film.

La mia rabbia è quella per la completa assenza di qualsiasi approfondimento psicologico o narrativo, per l’incapacità di voler veramente scavare nella merda nostrana per tirarne fuori qualcosa di autentico, qualsiasi cosa. La mia rabbia scatta nel vedere volti di gente inetta che si crede di stare a recitare, scatta nell’assistere ad una storia che non ha l’umiltà di riuscire a raccontare neanche un piccolo frammento di verità volendosi travestire da racconto a più voci, dove l’unico suono che ne esce fuori è quello dell’ipocrisia.

A Casa Nostra. Quale? Naturalmente l’Italia, quella da cui ogni persona con un po’ di buon senso dovrebbe andarsene.

Perché la casa di ognuno non è quella dove nasci o crepi, ma quella dove trovi persone che sono a te simili.

E di tutte quelle mostrate sullo schermo non ce ne è nemmeno una che mi assomigli.

E’ questa la cosa orribile.

Se questo film vuole mostrarci come siamo diventati allora è meglio distruggere qualsiasi macchina da presa e riappropriaci dei nostri occhi per avere il proprio punto di vista sulle cose.

Quello che sa riconoscere un film da una presa per il culo.

 

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