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Bogotà. Colombia.
Tutto il libro, che appunto si costituisce di argomentazioni dalla sensibilità antitetica, tra religioso e profano è una denuncia della realtà colombiana che come altri paesi sudamericani vive in un equilibrio precario tra una cultura Andina e una yankee, transatlantica e arrogante, quella del “Dio tecnologico” = una cultura umanistica-religiosa e una del consumo = l’essere e l’apparire. Un problema questo, sì, proprio un problema dei giorni nostri per cui le culture (e non voglio parlare di tradizioni anche se centrano)si perdono. Si perde l’identità artistica di un popolo e a volte per chi non sa guardare indietro’ sembra sia rimasta solo l’angoscia e il delirio di persone senza radici. Anche Agustina da un altro punto di vista sembra aver bisogno di recuperare le sue radici, e lo testimonia l’autobiografia. Ma questo è un discorso che va al di là della cara Agustina, ragazza dei giorni d’oggi. L’arte ormai sembra essersi (per fortuna non totalmente) globalizzata: il post-modernismo è ovunque dal Giappone agli USA all’Australia in Europa ecc… È sorprendente vedere performance o spettacoli nipponici di teatro contemporaneo e pensare che quello stesso spettacolo potrebbe benissimo essere francese o australiano. Lo spettacolo è molto bello ma… manca qualcosa… così è troppo semplice.
Lo spettacolo’ di Laura Restrepo invece non manca di quel qualcosa che è la consapevolezza dell’identità del proprio popolo. Se non si tutelassero le diversità culturali ci troveremmo come Agustina che: “è un cane famelico e ferito che vorrebbe tornare a casa ma non ci riesce, e il minuto dopo è un cane randagio che non ricorda nemmeno che una volta aveva una casa.”
La diversità è inoltre uno dei temi centrali del romanzo: la diversità del Bichi, il fratello minore di Agustina, il ragazzo dai meravigliosi riccioli neri cadenti su un viso angelico dalla pelle chiara; il bambino che Agustina cercava di proteggere con i suoi poteri dalle continue percosse di un padre che non poteva accettare l’efebico Bichi. Una famiglia che non accetta nessun tipo di scandalo o meglio che non vuole guardare ai problemi ma preferisce andare oltre mentendo prima di tutto a loro stessi. Un qualcosa di disumano. Che si contrappone alla grande umanità di Aguilar, il marito di Agustina, e al finale, così magico e così umano.
Forma
Essenzialmente sono due le componenti formali che costituiscono l’intero libro: la narrazione divisa in quattro storie che si susseguono in racconti che si avvicendano e il discorso diretto inserito all’interno della prosa senza le virgolette magari solo diviso dalle virgole in periodi molto lunghi per cui si passa spesso dalla terza alla prima persona con fluidità (da acquisire con la lettura).
La prima componente formale crea l’albero genealogico di Agustina, perché le quattro storie sono quelle del nonno Portulinus, di Agustina bambina, di Agustina ora in delirio sposa di Aguilar e la storia del Midas ex fidanzato della protagonista. C’è dunque la volontà di presentarci un personaggio con la sua storia che è anche la storia della sua famiglia prima che lei nascesse e del suo paese. La scelta di raccontare le storie in racconti che si susseguono crea un buon ritmo e la suspence che tiene legato il lettore al libro soprattutto dopo le prime cinquanta pagine quando i cerchi che costituiscono queste storie si intrecciano. Li chiamo cerchi perché il romanzo è formato proprio da questo tipo di struttura per cui ad un certo punto i personaggi (soprattutto Agustina e Aguilar, e il Midas) si ritrovano al punto di partenza che è anche un punto di arrivo dal quale ripartire dopo che sia l’uomo che il destino hanno fatto il loro corso. È interessante notare inoltre come le tensioni di ogni racconto si riversino su Agustina in modo tale che il lettore possa comprendere la tensione da cui deriva il delirio della protagonista, il che è molto realistico.
La seconda componente formale invece arricchisce le descrizioni e le situazioni presentateci in terza persona con il discorso diretto come se il regista che spiega la scena agli attori desse loro la possibilità di interpretare subito la scena e per noi lettori questa è un’intrusione piacevole all’interno della vicenda, che si alterna tra una scrittura verbale, il parlato (anche al di là dei momenti di discorso diretto) e una invece di sapiente gusto letterario.
Come afferma Garcìa Marquez: “La disgrazia e la violenza che si annidano nel cuore della società colombiana sono sempre presenti nell’opera di Laura Restrepo; ma lo sono anche la sua passione per la cultura popolare, il suo elegante humor, quell’ironia acuta e dolce che dota i suoi romanzi di un inconfondibile piacere letterario.”