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Delirio – Laura Restrepo

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Contenuti.

Bogotà. Colombia. La Bogotà delle famiglie “bene” che vivono a Nord della città e la Bogotà di quelli che non si possono nemmeno chiamare poveri Cristi, di quelli che comunque una casa ce l’hanno ma di fronte alla ricchezza altrui provano invidia e farebbero di tutto per saziare la loro sete di prestigio economico: ci sono generazioni cresciute con uno scopo nella vita: arricchirsi; a Bogotà in Colombia si sa, è retorico, c’è e c’è stato il narcotraffico internazionale di cocaina…Uno scenario contemporaneo per una scrittura altrettanto contemporanea in un romanzo impegnato che contrappone questo tipo di sensibilità ad una sensibilità religiosa molto forte, una sensibilità che si avvicina naturalmente al realismo magico, corrente così vicina alle atmosfere dell’America del Sud, ma che inoltre sembra prendere ispirazione da libri antichi, dalle memorie delle Sante. Vi sono dei contenuti comuni tra le scritture e le descrizioni dei deliri delle Sante del Medioevo italiano (personaggi con certe caratteristiche che probabilmente esistono ancora in Colombia) e il delirio di Agustina. Se per esempio prendiamo in considerazione le memorie di Santa Caterina da Siena troveremo tematiche riguardanti oltre che la trance dei deliri che la mettevano in comunicazione con Dio e il Diavolo, argomenti come quello del Sangue: Caterina come Agustina era cosciente della “potenza del Sangue”, ma mentre la Santa si esaltava della potenza di questo dicendo che bisognava vivere nel sangue, lottare nel sangue e pregare nel sangue, Agustina si trova limitata nei suoi ‘poteri’ alla visione di quel liquido vitale. Inoltre sia per la Santa che per Agustina c’è l’incontro col lebbroso e all’interno del romanzo quasi a metà sembra come se ci sia un trilogia del sangue. È una sensibilità questa religiosa che prende sicuramente le istanze del cristianesimo ma forse non solo ispirandosi anche a qualcosa di più antico e caratteristico dei paesi sudamericani: una sorta di sciamanesimo. Tutto questo però l’autrice lo media con una buona conoscenza psicanalitica che conferisce un tono contemporaneo alla narrazione e descrizione del personaggio di Agustina. Agustina che non sembra essere stata la sola all’interno della sua famiglia ad affrontare questi stati di delirio: anche il nonno Portulinus, un maestro di pianoforte tedesco trasferitosi e sposato a Sasaima fa preoccupare la moglie Blanca nei momenti in cui si perde nei suoi sogni-visioni di Farax, la sua ispirazione o nel momento in cui il continuo rumorio nelle sue orecchie si fa più insistente. Si delinea così una saga familiare che molti già hanno definito alla Garcìa Marquez. Una famiglia che per la maggiore non intende delineare rapporti veri ma salvare le apparenze. Ma ritornando al delirio del nonno è interessante notare come questo sia di altra natura rispetto a quello di Agustina. Il nonno prende le istanze del suo delirio dal dolore che si sposa con la musica, l’arte; mentre quello di Agustina che se si alimenta anch’esso del dolore si mischia con uno stato mentale di trance celebrativo che è delirio senza memoria, perdimento in un mondo unico e totale. Per il nonno invece c’è il caos multiplo, multidirezionale, quel caos mentale in cui una moltitudine di vettori investono la testa di un individuo, quel caos che spesso per un’artista è il caos della creazione. Delirio però è anche la vita (e non la testa) del Midas MacAlister, amico di infanzia di Joaco Londoño, fratello maggiore di Agustina, la protagonista del romanzo. Il Midas è un narcotafficante al servizio di Pablo Escobar! Il Midas era povero. Il Midas ora è ricco… e questa ricchezza lo condurra, senza svelarvi troppo, a una redenzione obbligata… obbligata da sé stesso che riesce a cancellare il suo modo di essere e vivere un momento prima che tutto gli cadesse addosso. Delirio in qualche modo è quindi anche consapevolezza fredda e agghiacciante e decisioni conseguenti senza rimorso. A testa alta. Delirio per il Midas è anche rendersi conto tutto in un botto del vuoto profondo che lo circonda in quell’appartamento lussuoso con tante stanze in cui non ci andava mai.

Tutto il libro, che appunto si costituisce di argomentazioni dalla sensibilità antitetica, tra religioso e profano è una denuncia della realtà colombiana che come altri paesi sudamericani vive in un equilibrio precario tra una cultura Andina e una yankee, transatlantica e arrogante, quella del “Dio tecnologico” = una cultura umanistica-religiosa e una del consumo = l’essere e l’apparire. Un problema questo, sì, proprio un problema dei giorni nostri per cui le culture (e non voglio parlare di tradizioni anche se centrano)si perdono. Si perde l’identità artistica di un popolo e a volte per chi non sa ‘guardare indietro’ sembra sia rimasta solo l’angoscia e il delirio di persone senza radici. Anche Agustina da un altro punto di vista sembra aver bisogno di recuperare le sue radici, e lo testimonia l’autobiografia. Ma questo è un discorso che va al di là della cara Agustina, ragazza dei giorni d’oggi. L’arte ormai sembra essersi (per fortuna non totalmente) globalizzata: il post-modernismo è ovunque dal Giappone agli USA all’Australia in Europa ecc… È sorprendente vedere performance o spettacoli nipponici di teatro contemporaneo e pensare che quello stesso spettacolo potrebbe benissimo essere francese o australiano. Lo spettacolo è molto bello ma… manca qualcosa… così è troppo semplice.

Lo ‘spettacolo’ di Laura Restrepo invece non manca di quel qualcosa che è la consapevolezza dell’identità del proprio popolo. Se non si tutelassero le diversità culturali ci troveremmo come  Agustina che: “è un cane famelico e ferito che vorrebbe tornare a casa ma non ci riesce, e il minuto dopo è un cane randagio che non ricorda nemmeno che una volta aveva una casa.”

La diversità è inoltre uno dei temi centrali del romanzo: la diversità del Bichi, il fratello minore di Agustina, il ragazzo dai meravigliosi riccioli neri cadenti su un viso angelico dalla pelle chiara; il bambino che Agustina cercava di proteggere con i suoi poteri dalle continue percosse di un padre che non poteva accettare l’efebico Bichi. Una famiglia che non accetta nessun tipo di scandalo o meglio che non vuole guardare ai problemi ma preferisce andare oltre mentendo prima di tutto a loro stessi. Un qualcosa di disumano. Che si contrappone alla grande umanità di Aguilar, il marito di Agustina, e al finale, così magico e così umano.

 

Forma

Essenzialmente sono due le componenti formali che costituiscono l’intero libro: la narrazione divisa in quattro storie che si susseguono in racconti che si avvicendano e il discorso diretto inserito all’interno della prosa senza le virgolette magari solo diviso dalle virgole in periodi molto lunghi per cui si passa spesso dalla terza alla prima persona con fluidità (da acquisire con la lettura).

La prima componente formale crea l’albero genealogico di Agustina, perché le quattro storie sono quelle del nonno Portulinus, di Agustina bambina, di Agustina ora in delirio sposa di Aguilar e la storia del Midas ex fidanzato della protagonista. C’è dunque la volontà di presentarci un personaggio con la sua storia che è anche la storia della sua famiglia prima che lei nascesse e del suo paese. La scelta di raccontare le storie in racconti che si susseguono crea un buon ritmo e la suspence che tiene legato il lettore al libro soprattutto dopo le prime cinquanta pagine quando i cerchi che costituiscono queste storie si intrecciano. Li chiamo cerchi perché il romanzo è formato proprio da questo tipo di struttura per cui ad un certo punto i personaggi (soprattutto Agustina e Aguilar, e il Midas) si ritrovano al punto di partenza che è anche un punto di arrivo dal quale ripartire dopo che sia l’uomo che il destino hanno fatto il loro corso. È interessante notare inoltre come le tensioni di ogni racconto si riversino su Agustina in modo tale che il lettore possa comprendere la tensione da cui deriva il delirio della protagonista, il che è molto realistico.

La seconda componente formale invece arricchisce le descrizioni e le situazioni presentateci in terza persona con il discorso diretto come se il regista che spiega la scena agli attori desse loro la possibilità di interpretare subito la scena e per noi lettori questa è un’intrusione piacevole all’interno della vicenda, che si alterna tra una scrittura verbale, il parlato (anche al di là dei momenti di discorso diretto) e una invece di sapiente gusto letterario.

  

Come afferma Garcìa Marquez: “La disgrazia e la violenza che si annidano nel cuore della società colombiana sono sempre presenti nell’opera di Laura Restrepo; ma lo sono anche la sua passione per la cultura popolare, il suo elegante humor, quell’ironia acuta e dolce che dota i suoi romanzi di un inconfondibile piacere letterario.”

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