Come un astronauta in mongolfiera è un titolo perfetto per il secondo romanzo di Andrea Canzanella, giovane autore (ha solo 24 anni) che, finalista al Premio Campiello con il suo primo libro, racconta qui una particolare inettitudine a vivere. Una inettitudine che, “come un astronauta in mongolfiera”, cioè come un pesce fuor d’acqua, spinge il protagonista della storia a una solitudine continua, e devastante, ma fortunatamente produttiva.
Unico punto saldo del protagonista, giovanissimo scrittore di nome di Elio Buccari, che conosciamo il giorno della nascita – quando entrambi i genitori lo abbandonano in ospedale, per non tornare mai più -, è la figura di sua nonna Lisa – anzi Monna Lisa, incrocio tra madre e nonna, per di più sensibile pittrice – , una persona meravigliosa che riesce, nonostante sia sola anche lei, a insegnare a suo nipote (ventiquattrenne verso la fine del libro) la profondità, la sensibilità, l’amore. I motivi per i quali la vita va vissuta. L’importanza degli esseri umani contrapposta alla fredda grettezza del denaro.
Proprio il denaro, il successo, la Fama, sono infatti gli antagonisti di questo schietto Elio d’altri tempi, che nomina i paesi, le vie, gli uffici, con i loro nomi di battesimo (un po’ alla Daniel Pennac) un Elio che in certi tratti somiglia proprio al mitico signor Malaussene, e che si trova protagonista, fortunatamente per lui, di una favola dai contorni tristi, ma che ci lascia con un bel lietofine.
In poche parole, Elio eredita da sua nonna la passione per l’arte, ma anche un certo alone di solitudine che non sa scrollarsi di dosso. Tutto pare risolversi grazie all’incontro con Anna, bella moretta di cui un adolescente Elio si innamora, ma che preferisce al giovane principe Miskin (protagonista de L’idiota e nomignolo regale con il quale Monna Lisa appella Elio) l’amico Carlito, nome da gangster in pensione, piglio sicuro, animosità da combattente.
Quando Anna scompare dall’orizzonte di un Elio per lo meno disorientato, nella sua vita appare come per magia l’estrosa Domitilla, anch’essa Buccari, ma non parente – o quantomeno mai rivelata – di Elio, donna rampante e decisa che, per una sorta di imprevisto, si trova tra le mani una poesia del giovane, e decide di farlo diventare un astro della letteratura.
O meglio, con le parole di oggi, una meteora.
Che presto cadrà, forse, o che rimarrà a brillare per troppo poco.
O meglio ancora, che sbaraglierà la concorrenza, e riuscirà a vivere il consumismo in maniera a-consumistica.
Questo non posso svelarvelo.
Insomma, comunque vadano le cose, lo stile gentile, pacato e a tratti lirico – ma sempre sicuro di sé – del giovane scrittore, il suo continuo rapporto con il lettore, la sua acuta, ma mai eccessiva, interpretazione della realtà a noi contemporanea, una critica vera, spassionata, valorosa, all’ordine delle cose da cui ci lasciamo travolgere e guidare, sono certo i meriti di questo libro dell’anima, il libro di uno scrittore che, pur non guerreggiando con la spada, pur non urlando, riesce a ribellarsi alla società intera, partendo dal suo nucleo – che in questo caso è il mondo editoriale, fatto di squali come tutto il resto del mondo – per diffondersi, come una stella marina, in tutte le varie diramazioni malate della nostra società cattiva. Tagliente.
Forse, Elio riuscirà infine anche a ritagliarsi un po’ di serenità, e felicità vera, incontaminata, all’interno del suo mondo, che è anche il nostro mondo, o meglio la società in cui viviamo, e che spesso non accettiamo, ma a cui sottostiamo tutti i giorni della nostra vita.
Quella di Canzanella, allora, è sì una storia fantastica, divertente, appassionata, a tratti quasi spioneristica, e sempre avvincente, fatta di nomi presi dal mondo delle favole e di situazioni estreme (il sedicente scrittore, la sua manager e l’uomo politico che dovrebbe assicurarne il successo rispondono al medesimo cognome, e la catarsi, la presa di coscienza dello scrittore si deve allo sguardo penetrante di un bambino), ma diventa anche la storia della nostra rivalsa personale, di una lotta mentale, condotta però senza esclusione di colpi, la storia di un mondo bello, e possibile, in cui non ci faremo imbambolare dai falsi miti televisivi e scriveremo solo romanzi veri, vivi, che niente hanno a che fare con le parole commercio, successo, popolarità – a tutti i costi.
Inoltre vorrei ricordare, e lo faccio in fondo alla pagina solo perché risalti, che non è una casa editrice qualunque a pubblicare questa chicca di scrittura (il che risulterebbe alquanto ipocrita), ma le Edizioni Il Foglio che, mai insincere e mai “vendute” alla letteratura straccia, senza valore e senza futuro, si è sempre battuta, soprattutto nella persona di Gordiano Lupi (Nemici Miei, Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura), contro il nepotismo letterario e contro la china discendente lungo la quale i testi scritti di tutta Italia – o forse di tutto il mondo – stanno inesorabilmente capitolando.
Io conosco bene questa casa editrice, che viene distribuita per lo più via posta e che, nonostante non si possa definire una delle più grandi e più affermate del nostro panorama, è pure una delle più attive, poiché non smette di parlare di sé – in maniera mai autoreferenziale, ma sempre costruttiva – presso fiere, librerie, manifestazioni e quant’altro, e che si impegna in battaglie umane – si vedano le pubblicazioni di autori cubani “dietro le sbarre”, la traduzione di scrittori “esteri” eccetera – senza mai badare al soldo (come diceva Andrea Pazienza), ma sempre e soltanto alla qualità dei testi pubblicati.
Io non lavoro per questa casa editrice.
Non ho mai pubblicato un libro con loro.
Non sono parente di nessuno dei loro fondatori.
Non li ho mai visti di persona e non ne sono innamorata.
Potete capire, allora, che tutto ciò che ho detto è profondamente, spassionatamente, e semplicemente – vero.