Il teatro contemporaneo e mi riferisco soprattutto all’ultimo decennio e al teatro e narrazione (Marco Paolini, Marco Baliani, Gabriele Vacis, e gli ultimi discepoli tra cui Davide Enia) ha perso quella che all’inizio era la sua forza innovatrice e ha perso di conseguenza la sua capacità di sorprendere per quanto le storie o le soluzioni sceniche siano diverse. In fondo ci troviamo sempre di fronte a una persona la cui attività principale sulla scena è narrare e per quanto il narrare sia dai tempi di Aristotele cosa considerata per tutta la sua importanza; rendendola il fulcro principale e unico di uno spettacolo in una poetica minimalista all’estremo a molti è sempre sembrata un’operazione un po’ sterile soprattutto per quanto riguarda l’estetismo in senso stretto. Certo è stata un’operazione importante per il teatro e l’ha salvato ancora una volta dalla morte, un’operazione che salva l’ambito della prosa attraverso l’orazione civile. Purtroppo tutto questo è inevitabile per un teatro le cui scuole di recitazione spesso si riferiscono ad una tecnica attoriale di rappresentazione che non sa stare al passo con i tempi, e allora è chiaro che ci si rifugia nella narrazione. Con questo non intendo affermare che gli attori del teatro e narrazione non siano dei bravi professionisti, ma solo individuarne la limitatezza nei confronti di alcune teorie quali il teatro assoluto di Bejart e prima di questo il teatro della crudeltà di Artaud.
Il teatro della crudeltà non è sinonimo di teatro delle torture, ma come afferma Artaud è prima di tutto lucidità, lucidità dell’impulso irrazionale delle forze ctonie che ci abitano. Ne consegue quindi un teatro che vuol prendere in considerazione prima di tutto i Grandi temi dell’uomo: «il desiderio di Eros è crudeltà in quanto consuma contingenze; la morte è crudeltà, la resurrezione è crudeltà, la trasfigurazione è crudeltà…»
Inoltre il teatro di Artaud volendo rappresentare la forza e la potenzialità che abita l’essere umano, quella vicina alla trances non può che affermare: «La vera cultura agisce attraverso l’esaltazione e la forza, mentre l’ideale estetico europeo tende a gettare lo spirito in uno stato di separazione dalla forza e a farlo assistere alla propria esaltazione. È un concetto pigro, inutile e tale da generare a breve scadenza la morte.» Ecco che per Artaud è necessario ritrovare nel teatro l’accezione religiosa e mistica che il teatro ha perduto da tempo occupandosi di psicologia, letteratura e ora orazione civile; perdendo inoltre la sua componente di “rivelazione” nel senso più alto del termine.
Per concludere si cita Alessandro Cappabianca, grande studioso di Artaud: «Bisogna ritrovare il senso d’una metafisica dei gesti, del linguaggio, degli atteggiamenti, della scenografia, della musica, della messa in scena, insomma, come “teatro alchemico”, visto che i simboli dell’alchimia evocano «l’ardente e decisiva trasfusione della materia ad opera dello spirito».