Il fatto che in questi ultimi tempi parecchi film si siano ispirati a videogiochi dovrebbe farci riflettere su questo fenomeno. Da una parte potrebbe significare che alcuni videogiochi sono talmente ben fatti che aspirano giustamente ad evolversi e a diventare qualcosa di diverso, un film per l’appunto. Oppure che il cinema, in piena crisi di idee e storie, si affida a quelle che altri hanno scritto e inventato per il divertimento ludico e virtuale. C’è da dire però che alcuni videogiochi sono veramente paragonabili, già di loro, a piccoli film. Si pensi a tutto il lavoro di sceneggiatura e intreccio o anche alle inquadrature delle parti animate o di alcuni “quadri” che hanno sempre di più un taglio cinematografico.
Sembra quindi che l’attrazione tra videogiochi e film, oltre che possibile, si stia facendo sempre più forte. Il problema, però, rimane quello delle competenze. Un problema che riguarda l’onestà e l’impegno di chi gira questi film. Persone genuinamente ispirate dai videogiochi o scaltri opportunisti di un fenomeno di massa?
Di sicuro il lavoro migliore, come anche in Silent Hill, viene fatto dal punto di vista estetico. In questo film, infatti, l’immaginario infernale del regista è di tutto rispetto. I cromatismi, i tagli dell’inquadratura, l’ambientazione allucinatoria e da incubo, l’agghiacciante deformità di alcuni “mostri” (testa-a-piramide su tutti) colgono nel segno. E in questo modo l’attrazione di cui si parlava prima funziona. Perché, partendo da un videogioco, è già un lavoro prenderne l’estetica e rielaborala in funzione visiva ed espressiva.
Discorso a parte, come al solito, per la scrittura. Qui addirittura quattro mani al lavoro, regista+Roger Avary (quello di Pulp Ficiton e le Regole dell’attrazione – scusa Roger ma che minchia hai fatto?) per una sceneggiatura che si butta via troppo facilmente in un miscuglio di demoni&angeli, colpa&redenzione, puritanesimo, streghe e fanatismo religioso.
Le cosa migliore rimane l’ambientazione (i corridoi oscuri, la decadenza dei palazzi e delle strade, la cenere che cade come neve, l’arrivo dell’oscurità), l’unica a suscitare una sana inquietudine.
Nel finale risulta fastidioso come non mai il solito circo di squartamenti e amputazioni che spinge il tutto verso un’apocalisse esagerata e quindi a tratti demenziale.
Le urla dei fanatici (fuoco alla strega) non rimandano a nessuna collocazione politica o sociale, l’horror così inteso è puro intrattenimento, ma se la paura, quella vera, non arriva allora è tutto inutile. Si rimane intrappolati al massimo in qualche sbadiglio, quelli che cominciamo a fare quando le immagini non bastano più a darci il senso della nostra visione e vorremmo che qualcosa scattasse dentro di noi o sulla nostra pelle. Non dico una vera emozione, ma un brivido di paura, quello, per lo meno si.