Era il settembre del 1920 quando un gruppo di reduci della prima guerra mondiale, qualche centinaio non di più, decise di organizzare una assemblea per commemorare i caduti. Dove ritrovarsi? Semplice ad Asiago, monte Ortigara, la montagna sacra di noi Alpini.
Ottantasei anni dopo, zaino in spalla eccomi ad Asiago a rendere omaggio ai padri.
Quando si parla di caduti tutti noi pensiamo a quei militari che sacrificando la propria vita hanno difeso l’Italia. Difficilmente si pensa al nemico, hai morti dell’altro versante.
Beh lasciatemi dire che non ci sono caduti di serie A e di serie B tutti gli uomini morti nell’adempimento del proprio dovere sono Caduti e meritano rispetto.
Con questo pensiero ho visitato il sacrario di Asiago rendendo pari omaggio ai caduti italiani ed austro-ungarici, a quelli noti e quelli ignoti.
Percorro il viale che sale verso il sacrario in silenzio, riflettendo su cosa significasse per me quel momento.
Ad un certo punto una signora al mio fianco ferma un gruppo di giovani alpini che stanno scendendo verso il paese.
Dai toni cordiali capisco subito che si conoscono.
La donna chiede in dialetto ad uno dei ragazzi “Allora l’hai trovato?”
Il ragazzo risponde di sì, di aver trovato un famigliare (un bisnonno o giù di lì penso io).
La signora si rivolge a quella che deduco essere la nipotina e gli comunica la felice notizia.
Il gruppo di giovani ed il gruppo formato da questa signora si abbracciano e si salutano di nuovo e se ne vanno per la loro strada, uno in paese a festeggiare, uno verso il sacrario.
La scena è durate pochi attimi, ma mi ha colpito molto sotto diversi aspetti.
Il giovane che si mette in viaggio per trovare un parente caduto, la gioia nel trovarlo, la signora che partecipa assieme al ragazzo, la signora che ne parla alla nipotina come un fatto da ricordare.
Tutti spunti su cui riflettere.
Arrivo al sacrario, che definisco volutamente monumentale.
Entro ed un’aria fredda mi investe in pieno, il vento che arriva dalle montagne si infila nei vari corridoi interni, portando una carezza gelida ai caduti.
Fisso il corridoio principale che porta all’altare centrale è noto che pieno di piccole lapidi con sopra riportato grado, nome e cognome.
I corridoi laterali anch’essi pieni di nomi.
Alcune lapidi più grandi portano la dicitura “ignoti”.
Gruppi di persone sfogliano libri di ferro che riportano tutti i nomi dei caduti identificati.
Libri di ferro che il tempo è l’usura hanno incrostato, nomi stampigliati sulle lamine, in modo tale che rimangano per sempre.
Al centro l’altare e tutto intorno, varie corone di fiori deposte a memoria di quelli che riposano, in questo luogo solenne.
Prendo incuriosito un opuscolo che parla del sacrario, lasciate che vi riporti solo qualche riga, ve ne prego:
“Nel Sacrario sono custoditi 12.759 Caduti noti della prima guerra mondiale, più 3 Caduti della seconda”
“I Resti mortali di 21.491 Caduti ignoti sono ….”
“… giacciono 20.000 caduti austro-ungarici …”
“In totale nel Sacrario vi sono quindi raccolti 54.286 Caduti della prima guerra mondiale e 3 della seconda”
Quando ho letto 54.286 mi sono reso conto di dov’ero e guardandomi intorno non vedevo più nomi, ma giovani ragazzi strappati troppo presto da questo mondo.
Esco dal sacrario, il sole mi sembra più bello, i canti che arrivano dal paese parlano di vita e di gioia ed ancora una volta ringrazio Dio e questi giovani che qui riposano per la libertà di cui posso godere.
Attendo con pazienza l’inizio della Messa Solenne, la via che porta al Sacrario inizia pian piano a riempirsi, a tracimare di persone, un fiume di persone, alpini, donne, bambini, anziani, giovani, militari, civili, tutti si avvicinano per onorare i caduti.
Cerco di seguire la messa con attenzione, ma in cuor mio sto aspettando con ansia il momento della lettura della preghiera dell’Alpino. Questa preghiera si recita sempre durante le messe “alpine”, ma in questo contesto acquistava una valenza particolare, le parole avevano un peso maggiore.
E finalmente ci siamo, la tromba comanda l’attenti e tutti gli alpini eseguono.
La preghiera viene letta con tono sicuro e solenne.
Mentre i monti ci osservano da lontano ed i nostri amici caduti ci sono vicini, le parole fanno entrare nella nostra mente immagini di dure battaglie, di gesti eroici, ma anche di tanta sofferenza e tanti morti. Ma questo non ci abbatte anzi ci da forza, coraggio e ci sentiamo uniti con non mai.
La preghiera finisce e la tromba inizia a suonare il silenzio.
L’unico rumore che si percepisce e lo svolazzare delle bandiere mosse dal vento, tutto sembra immobile. Dal paese non si sente più nulla, tutti i presenti tacciono.
La tromba continua a suonare, suono che il vento porta sulle montagne, dove altri caduti giacciono dispersi, dove vogliamo far arrivare le nostre preghiere, perché non li abbiamo dimenticati e non vogliamo dimenticarli.
La cerimonia finisce e torniamo al paese sereni e felici di aver compiuto il nostro dovere.
Non posso a questo punto evitare accenni alle solite feste all’insegna delle mangiate e del buon bere che accompagnano le adunate degli Alpini. Che festa sarebbe senza vecchi amici con cui fare due chiacchiere, un buon bicchier di vino, beh forse più di uno e qualche cosa da mangiare ?
Insomma potete immaginare come sia proseguita la giornata.
Che strano l’Alpino, fiero delle sue origini, pronto a mettersi in viaggio per portare il saluto ai caduti, che sa quali sono i valori importanti della vita e per questo pronto a festeggiare.
Mi piace pensare che alla sera, nei vari campi allestiti ad Asiago, intorno a qualche fuoco, un gruppo di Alpini aiutati dal vino e dal buon Dio, abbia incontrato un gruppo di giovani Alpini del 1915 con qualche loro amico Austriaco ed offrendogli un bicchiere di vino e qualche fetta di salame, si siano messi a cantare fino al mattino.
Come sempre viva gli Alpini.