DHEITI
“REBIRTH”
È tornata la primavera, periodo di rinascita…
E proprio alla rinascita, data dalla primavera, Dheiti dedica il suo EP d’esordio, “Rebirth”, 4 brani in bilico fra ballate più intime, incursioni nel funk rock, pop rock moderno (con accenni di elettronica e bossa nova) e sonorità anni 70. «La scelta di far uscire l’EP il 21 marzo non è ovviamente casuale. La data d’inizio della primavera – stagione della rinascita, della rifioritura, del vitalismo, in cui tutte le forze sopite durante l’inverno finalmente si scatenano, risvegliando ogni cosa, richiamando all’amore, all’azione, alla comunicazione – mi sembrava perfetta per un lancio, poiché evoca molti elementi e significati presenti nel disco, non per nulla intitolato “Rebirth”. Si tratta senza dubbio di una rinascita musicale, perché questo è il mio primo lavoro da solista, ma soprattutto di una rinascita personale, che coinvolge tutti gli aspetti della mia vita: mi sento infatti in un momento chiave, in un periodo di profondo rinnovamento. “Rebirth” è sì un disco che parla di primavera, però scritto in pieno inverno. È come se ne parlasse dal punto di vista dell’inverno. Ha quel non so che di chiaroscuro, di contrasto che m’attrae molto. Non è la celebrazione di una primavera vissuta ma l’evocazione di una primavera attesa, sperata, gustata a un livello immaginativo».
Dopo un’anteprima in esclusiva su RockON esce “Rebirth”, EP d’esordio di Dheiti, pseudonimo dietro cui si cela la cantante, pianista e autrice Gemma Conforti.
«Canto da quando ho memoria. La musica è sempre stata al centro del mio mondo, grazie anche all’influenza e al sostegno della mia famiglia: una famiglia di buongustai musicali (non a caso mio fratello è diventato un ottimo flautista). Ho studiato pianoforte, canto lirico e jazz e frequentato una quantità esagerata di generi musicali, militando in band rock, pop, progressive, blues e funky. Credo però che la mia anima sia soprattutto legata al soul e alla musica nera: il blues e il jazz sono i linguaggi in cui mi sento più a mio agio e, per fortuna, penso di possedere una timbrica che vi si adatta bene».
Composto da 4 tracce (“Loser”, “Feel”, “A Long Walk” e “Bud in Bloom”), “Rebirth” si contraddistingue per una certa ecletticità stilistica attraverso cui l’artista intende presentare le diverse sfumature del suo universo musicale sintetizzandole ed inglobandole in una proposta coerente che funzioni quasi da biglietto da visita.
Si tratta, per l’appunto, di un lavoro eterogeneo che sottintende un tentativo di autoespressione a 360 gradi in grado di suggestionare anziché spiazzare l’ascoltatore lasciandogli presagire future (e inaspettate) trame di sviluppo.
Si va da ballate più intime a decise incursioni nel funk rock, dal pop rock moderno (che sa passare da momenti più tenui e distesi ad altri decisamente esplosivi, con brevi accenni di elettronica e bossa nova) a sonorità in apparenza più classiche o che comunque strizzano l’occhio agli anni 70.
«Non sono mai riuscita ad incasellarmi. Mi sembrerebbe di tradire la mia natura. Mi sento eclettica e un po’ imprevedibile (non solo per gli altri, anche per me stessa). In “Rebirth” ho tentato di dare libero sfogo a questa mia essenza multiforme. Si è trattato di una necessità: ho sempre fatto l’interprete, ma quando ho intrapreso il progetto dell’EP, sentivo che era arrivato il tempo di uscire fuori con la mia musica, di esprimermi totalmente, non solo con il canto».
L’ascolto di “Rebirth” garantisce, dunque, un breve quanto intenso viaggio sotto il segno dell’imprevedibilità, la quale, tuttavia, non fa trasparire alcuna confusione identitaria bensì riesce nell’impresa di comunicare una personalità musicale colorata e complessa, vero obiettivo dichiarato dall’artista.
«Perché un EP? Ci sono diverse ragioni: quella più pratica è che non vivevo un momento così sereno da potermi gettare a capofitto in un percorso lungo ed estenuante come la produzione di un album; il motivo principale è però un altro: volevo che il mio primo lavoro da solista fosse una sorta di biglietto da visita. Ritengo di aver proposto quattro brani in grado di sintetizzare vari lati del mio carattere artistico: da quello più delicato e intimista a quello più potente e carico di pathos. Insomma, dalla dolcezza alla grinta, dall’introversione all’estroversione… E poi, diciamoci la verità, per giudicare un artista, per capire se rientra o no nei nostri gusti, generalmente non ascoltiamo più di tre-quattro brani, spesso anche di meno. In un certo senso ho voluto facilitare il processo all’ascoltatore, presentandogli una mia personale selezione».
Scritto interamente da Dheiti (eccetto “A Long Walk”, cover di Jill Scott riletta in chiave funk rock), “Rebirth” è stato arrangiato da Sergio Bertolino e Domenico Anastasio, registrato al Bam Factory Studio di Sapri (SA), mixato da Sergio Bertolino e Giovanni Caruso e masterizzato da Salvatore Addeo agli Aemme Recording Studios di Lecco (LC).
L’artwork è di GioStone.
“REBIRTH” su Soundcloud
https://soundcloud.com/gemma-conforti/sets/rebirth
https://soundcloud.com/gemma-conforti/sets/rebirth
Dheiti è il progetto solista di Gemma Conforti, cantante, pianista e autrice calabrese cresciuta a Torino. Dopo aver studiato pianoforte, canto lirico e jazz, si cimenta in vari generi musicali (rock, pop, progressive, blues, jazz, funky) militando come principale interprete in diverse band del capoluogo piemontese. Si definisce “legata al soul e alla musica nera” ma non ama le etichette, le definizioni troppo strette sia in senso artistico che personale.
Verso la fine del 2013, mentre risiede in Inghilterra, inizia a comporre le proprie canzoni, sicura che in questo modo avrebbe dato espressione più completa e autentica al suo mondo interiore. È così che nasce l’idea di un progetto solista, giunto oggi, con “Rebirth”, al primo risultato discografico.
Nel percorso che porta alla produzione dell’EP risulta decisivo l’apporto di Sergio Bertolino (cantante e autore degli Enjoy the Void), con il quale Dheiti aveva già condiviso alcune esperienze musicali a Torino. L’amicizia e la profonda conoscenza reciproca convince Dheiti ad avviare una collaborazione con lui, delegandogli il compito di perfezionare (assieme a Domenico Anastasio) gli arrangiamenti e facendosi introdurre all’ambiente della BAM!, la bottega artistico-musicale di Sapri, dove registra tutti i brani avvalendosi del contributo di musicisti del posto (Tony Guerrieri e Francesco Magaldi, oltre ai già citati Bertolino e Anastasio).
LINK UTILI
FACEBOOK: http:/www.facebook.com/dheitiofficial/
INSTAGRAM: http:/www.instagram.com/dheiti/
SOUNDCLOUD: http:/soundcloud.com/gemma-conforti
SPOTIFY https://open.spotify.com/album/6suxWijmYhrXpLC443iqXc
Intervista
Davide
Ciao Gemma. Spieghiamo per cominciare come nasce il tuo nome d’arte, Dheiti, e cosa significa?
Dheiti
Ciao Davide. La scelta del nome “Dheiti” è sicuramente dipesa da vari fattori. Anzitutto è la parola che ho scelto quando, molti anni fa, ho creato il mio primo indirizzo e-mail. Poi, nel 2013, mentre risiedevo in Inghilterra e suonavo con musicisti del posto, uno di loro mi ha detto che non sarebbe stato niente male come pseudonimo. Fino ad allora non ci avevo mai pensato. Si tratta di un termine che non sottintende a un unico significato, bensì a tanti. Tuttavia, sinceramente, non vorrei svelarne nemmeno uno, poiché credo che la potenza evocativa dell’arte stia soprattutto nella sua sostanziale ambiguità, nella pluralità di interpretazioni possibili che fa scattare nel fruitore il processo immaginativo.
Davide
Hai scelto un supporto decisamente insolito per il tuo EP d’esordio. Perché una chiavetta USB?
Dheiti
Credevo fosse interessante iniziare a distribuire l’EP in questo formato. Ormai la musica – è evidente – si è parecchio digitalizzata, e una chiavetta USB permette un riutilizzo personale che non potrebbe realizzarsi se si trattasse, ad esempio, di un CD. Puoi impiegarla per metterci dentro dell’altro, non sei vincolato al contenuto. Inoltre mi piaceva molto la forma della chiavetta in questione: un vinile. Ho pensato che fosse in grado di richiamare simultaneamente passato, presente e futuro. Ciò non significa che non realizzerò altri tipi di supporti. Anzi, lo farò senz’altro.
Davide
Di cosa parli nelle tue tre tracce originali, Loser, Feel e Bud in Bloom?
Gemma
In Loser parlo di una necessità di cambiamento, di spezzare un legame diventato inibente e frustrante. Rappresenta un grido, un autoincitamento a riprendere in mano la propria vita e reinventarsi in altre, nuove forme, indipendentemente da quello che gli altri – società in primis – provano ad imporci.
In Feel esprimo quella sensazione di ritrovata armonia con l’universo, di una riconnessione con tutto ciò che ci circonda, e cerco di spiegare – a modo mio – che nel momento in cui ci si sente persi o sofferenti, non bisogna scoraggiarsi. La vita è un saliscendi. Il ciclo delle stagioni è un’immagine perfetta per rappresentare quel che in noi avviene costantemente. Il dolore che proviamo è il seme della gioia ventura.
Bud in Bloom, invece, è una semplice dichiarazione d’amore… Un amore capace di illuminare ogni cosa, che regala pienezza, che offre una chiave sia di fuga che di autorealizzazione. Ma nello stesso tempo il brano lascia intendere il timore che tale sentimento possa perdersi, svanire o smorzarsi in futuro.
Davide
Qual è la cantante (o il cantante) che per prima (o primo) ti ha fatto desiderare di cantare? Quale è divenuta (o divenuto) poi un tuo modello?
Gemma
La prima artista che io ricordi, che m’ha fatto venire voglia di cantare le sue canzoni, è Gloria Gaynor. Ma ero piccolissima. Oggi, invece, non penso di avere dei modelli veri e propri, però ci sono certamente delle cantanti che ammiro moltissimo. Istintivamente mi verrebbe da nominare Rachelle Ferrell, Melanie De Biasio, Erykah Badu e Melody Gardot.
Davide
Il filosofo Vladimir Jankélévitch ha scritto che “dove la parola manca, là comincia la musica; dove le parole si arrestano, l’uomo non può che cantare”. Tu perché canti? E quale funzione o “missione” affidi alla canzone?
Gemma
Mi fai pensare alla lettera che Rilke scrisse a un giovane poeta, riguardo alle motivazioni che stanno alla base dello scrivere. Cito testualmente: “si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice io devo’ questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità”. Ecco, con ciò voglio dire che non ho bisogno di ragioni per cantare: per me il canto è un’esigenza fisiologica. Non mi sono mai chiesta perché lo facessi. Avevo solo l’urgenza di farlo. Questa è l’unica missione o funzione che so immaginare.
Davide
Quando nasce una tua canzone? E quando finisce, da esserne del tutto soddisfatta?
Gemma
Beh, dipende. Le mie canzoni possono nascere spontaneamente, perché ho l’urgenza di esprimere qualcosa. Oppure possono nascere in virtù di uno sforzo, perché voglio esprimere qualcosa. E tra bisogno e volontà c’è una bella differenza. Le tre tracce che ho scritto per l’EP sono tutte nate per bisogno.
Riguardo alla seconda domanda, credo che un artista comprenda quando un brano è completo. Non è una cognizione che ha a che vedere con la logica, bensì con una sensazione interna. Si ascolta e si sa che non si aggiungerebbe né si toglierebbe nulla, che va bene così, che si è espresso ciò che si doveva.
Davide
La memoria del raffinato e multiforme Philadelphia soul (o Philly soul) è molto presente nella musica di Jill Scott. Perché la rilettura di un suo brano?
Gemma
Non ho pensato a significati particolari scegliendo questo pezzo di Jill Scott. È una canzone che ho sempre amato, ma sapevo avesse potenzialità per rendere benissimo anche con un ritmo ben più accelerato. Avevo voglia di lanciarmi in un brano funk rock, genere che adoro e in cui posso esprimere un lato di me che non emerge, ad esempio, negli altri tre brani dell’EP. È stato il solo ragionamento, molto semplice, che ha determinato la mia scelta.
Davide
Hai detto di sentirti soprattutto “legata al soul e alla musica nera”. Cos’è dunque per te la musica “nera”, cosa musica “bianca”, e in che modo ne sei, o senti di esserne, sintesi?
Gemma
Sono definizioni riconducibili alla storia della musica. Se penso alla musica nera, mi viene in mente il blues, il jazz, il reggae, l’hip hop… Invece, se guardo alla musica bianca, penso al country, al folk, ecc. Non so se la mia musica rappresenti una sintesi, ma certamente non può definirsi “black music”. Qualcosa di bianco c’è, e non poco.
Davide
A proposito di rinascite… C’è una o più epoche in cui ti piacerebbe rinascere?
Gemma
Non saprei… Forse negli Stati Uniti degli anni ’60 o degli anni ’20 (gli anni ruggenti, “l’età del jazz”, secondo una celebre espressione di Fitzgerald). Oppure nella Parigi della belle époque o delle avanguardie di inizio 900.
Davide
Cosa seguirà?
Gemma
Nell’immediato tanti concerti, spero, ma ho parecchio materiale che ho voglia di approfondire per un nuovo lavoro discografico.
Davide
Grazie e à suivre…