Sergio Valzania, storico e studioso della comunicazione, autore radiofonico e televisivo, dal 2002 al 2009 ha diretto i programmi radiofonici della Rai.
Dal 2001 insegna all’Università di Genova e dal 2010 alla Luiss di Roma. Ha scritto su «La Nazione», «Avvenire», «la Repubblica», «il Giornale», «L’Indipendente», «Liberal».
Fra le sue opere di storia militare pubblicate con Mondadori ricordiamo: Jutland (2004), Austerlitz (2005), Le radici perdute dell’Europa (con Franco Cardini, 2006), Wallenstein (2007), I dieci errori di Napoleone (2012), U-Boot. Storie di uomini e sommergibili nella seconda guerra mondiale (2011), I dieci errori di Napoleone. Sconfitte, cadute e illusioni dell’uomo che voleva cambiare la storia (2012), La scintilla. Da Tripoli a Sarajevo: come l’Italia provocò la prima guerra mondiale (2014, scritto con Franco Cardini) e Cento giorni da imperatore (2015). Per Sellerio esce nel 2006 Sparta e Atene. Il racconto di una guerra, nel 2011 Napoleone e nel 2012 La bolla d’oro. Nel 2008 esce per Longanesi La via Lattea, scritto con Piergiorgio Odifreddi, mentre nel 2015 Il Mulino pubblica Andar per le cattedrali di Puglia.
Storie di uomini e sommergibili nella seconda guerra mondiale
Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.
Storia
Pagg. 262
ISBN 9788804624325
Prezzo Euro 11,00
“Voi siete qui per imparare come morire”
Karl Donitz, già comandante di sommergibile nel corso della Grande Guerra, ritenne, non a torto, che il metodo applicato in quel conflitto per ridurre i rifornimenti alla Gran Bretagna potesse essere usato con maggior successo nella seconda guerra mondiale, ricorrendo ad attacchi di massa in superficie. In effetti gli eventi, più o meno fino alla fine del 1942, sembrarono dargli ragione con un’entità di affondamenti considerevole, contro perdite tutto sommato contenute. Tuttavia, gli affinamenti dei sistemi che gli alleati utilizzarono per sventare la minaccia (impianto di localizzazione ASDIC, copertura aerea dei convogli, bombe di profondità più potenti e precise) finirono per ribaltare la situazione, perché a fronte di un marcato calo di navi affondate vi fu un consistente aumento dei sommergibili che non tornarono alle basi. Cosa era accaduto per determinare questa inversione di tendenza? A parte il miglioramento dei sistemi di difesa degli alleati, non si verificarono sostanziali migliorie dei mezzi subacquei tedeschi, divenuti facili prede nel caso di azioni in superficie e impossibilitati a effettuare lunghe percorrenze in profondità per la limitata autonomia delle batterie che dovevano fornire la propulsione elettrica; inoltre, proprio perché le possibilità di maggior successo con minori perdite erano quelle di restare immersi in agguato, si sarebbe dovuto stravolgere la tattica con cui tanti marinai e comandanti erano stati addestrati. Vi è da dire che Donitz, accortosi del problema, cercò di correre ai ripari, promuovendo la costruzione di quelli che si sarebbero poi definiti a ragione sottomarini, e non sommergibili, e in effetti ne furono realizzati non pochi, pur fra le mille difficoltà di una guerra che volgeva al termine con la chiara e ormai inevitabile sconfitta della Germania; fatti i nuovi U-Boot occorreva tuttavia riaddestrare gli equipaggi agli stessi, il che non poteva avvenire in tempi brevi, tanto che la fine del conflitto venne senza che si potessero impegnare in combattimento un numero adeguato di battelli, insomma un po’ come nel caso del Messerschmitt 262, il primo aereo a reazione del mondo, giunto troppo tardi.
Il libro di Sergio Valzania è un interessante saggio di storia militare che affronta il tema della guerra condotta dai sommergibili tedeschi nel secondo conflitto mondiale. L’autore ha la capacità di offrirci una visione completa di ciò che accadde, rispondendo inconsciamente alle classiche domande “come, quando, perché”. In tal modo il lettore riesce a comprendere il motivi degli eventi, riesce a capire come mai a un certo punto della guerra navale nell’Atlantico i battelli tedeschi riuscirono ad affondare mercantili degli alleati in numero elevatissimo, perdite a cui all’inizio, prima di affinare i sistemi di difesa, gli americani risposero costruendo, quasi a catena, un numero spropositato di navi, le cosiddette Liberty, in modo da compensare così i vuoti creati nella flotta. Saranno ben comprensibili, inoltre, le cause che portarono all’inversione di tendenza in questa feroce e lunga battaglia, si sarà in grado di sapere come si viveva, si combatteva e si moriva sugli U-Boot, anche attraverso la narrazione di episodi di particolare risonanza; apparirà così giustificata, nella sua drammaticità, la rilevante entità di marinai sommergibilisti morti, una vera e propria mattanza, tale da far apparire premonitrici le parole del discorso di presentazione ai cadetti della scuola sommergibili tedesca tenuto nel 1918: “Voi avete scelto la più bella professione del mondo. Davanti ai vostri occhi sta l’obiettivo più alto che si possa raggiungere. Qui vi insegneremo a raggiungerlo. Voi siete qui per imparare ciò che dà alle vostre vite il significato definitivo. Voi siete qui per imparare come morire.”.
Lo stile è snello, il ritmo non è blando, ma nemmeno troppo veloce, l’approfondimento è sempre pertinente e mai greve, insomma U-Boot è un libro istruttivo e di gradevole lettura.