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Divieto di farsi giustizia da sé

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(La Giustizia[1])
 
 
Ne cives ad arma ruant[2]
Brocardo[3]
 
Un titolo didascalico e perentorio per indicare immediatamente il principio generale che il nostro ordinamento prevede e rende concreto attraverso due ipotesi di reato, contemplate dal Codice Penale italiano[4].
Del “delitto[5]” che, in termini tecnici si definisce “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”, risponde chiunque, al fine di esercitare un “preteso” diritto, ritenendo (sia pure erroneamente) di esserne titolare[6], “si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, pur potendo ricorrere al Giudice”, o mediante “violenza sulle cose” (art. 392 c.p.), oppure con “violenza (o minaccia) alle persone” (art. 393 c.p.).
La possibilità di ricorso al Giudice deve sussistere sia in termini concreti che giuridici. In altre parole, concretamente è necessario che il soggetto non sia impossibilitato a fare ricorso all’Autorità Giudiziaria: si pensi all’ipotesi del soggetto che agisca in presenza di una minaccia attuale dello spoglio violento del suo possesso (tentativo di furto). Infatti, queste incriminazioni hanno lo scopo di evitare la sostituzione della “violenta attività individuale” a quella degli organi giudiziari nella tutela dei propri diritti[7], in quanto l’autotutela violenta è permessa soltanto quando l’attualità, o imminenza del pericolo rende impossibile praticare i tempi per ricorrere all’Autorità Giudiziaria[8]. D’altra parte, in termini di “possibilità giuridica” è necessario che il diritto preteso sia suscettibile di effettivo riconoscimento giudiziale. Così, la possibilità di ricorso al Giudice non esiste in relazione alla pretesa riguardante un’obbligazione naturale[9], cioè l’obbligazione che riguarda doveri morali e sociali in genere aventi contenuto patrimoniale (offerte, elemosine), nonché i debiti derivanti da gioco o scommessa e i debiti prescritti, ovvero quella relativa a un negozio nullo per illiceità della causa[10]; per l’adempimento di queste obbligazioni la legge non accorda azione giudiziaria e non permette, perciò eventuale esecuzione forzata. L’orientamento prevalente della Giurisprudenza non esclude la configurabilità del reato anche quando, in relazione al diritto preteso, si sia già pronunciato il Giudice civile, sempreché non si sia formata la res iudicata. A ben vedere, infatti, nemmeno una pronuncia, per esempio, di primo grado per la quale il Giudice ha effettivamente riconosciuto l’esistenza del diritto, autorizza il beneficiario a farsi giustizia autonomamente e con violenza.
La condotta, per quanto riguarda la prima ipotesi, consiste nell’uso della violenza sulle cose. Di fronte ai dubbi che poteva ingenerare il concetto di “violenza sulle cose”, il legislatore ha ritenuto opportuno stabilire espressamente che questa sussiste quando “la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione” (art.392 c.p. II comma). Il “mutamento di destinazione”, secondo l’orientamento prevalente, va valutato, non in relazione alla destinazione naturale della cosa/bene, ma in relazione alla “destinazione ricevuta” dall’avente diritto. Dunque, per la Giurisprudenza, la recinzione di un fondo, che impedisca il passaggio di altri, in precedenza sempre esercitato ma non ritenuto giusto dall’agente, implica “violenza sulla cosa”, sotto il profilo di un mutamento di destinazione del bene che ne impedisce l’originaria utilizzazione[11].
Con una precisazione introdotta nel 1993[12], il legislatore ha inoltre stabilito che si ha violenza sulle cose anche quando un programma informatico viene alterato, modificato o cancellato in tutto o in parte e quando viene impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico. La scelta legislativa è stata mossa dalla difficoltà di assimilazione dei programmi informatici alle cose mobili tradizionalmente intese. Riguardo all’oggetto del reato, per programma informatico si intende (secondo definizioni elaborate dalla Giurisprudenza di Cassazione o desumibili da testi legislativi), “qualunque software” realizzato sia dalle “software house” che dai singoli utenti e registrato su supporti di memorizzazione magnetici, ottici o d’altra natura; per “sistema informatico” si intende invece “un insieme di risorse, comprendente dispositivi di elaborazione elettronici digitali, programmi memorizzati e gruppi di dati che, sotto il controllo dei programmi memorizzati, immette, tratta e ed emette automaticamente dei dati che può memorizzare o recuperare”. Per “sistema telematico”, infine, si intendono le “reti di telecomunicazione, sia pubbliche che private, locali o geografiche, nazionali o internazionali, operanti da e per il nostro Paese”[13].
In caso di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con “violenza alle persone”, risponde del reato “…chiunque si fa arbitrariamente ragione da sé… usando violenza o minaccia alle persone…”, in altre parole o impiegando energia fisica per vincere un ostacolo reale o supposto[14], o prospettando ad una persona un male ingiusto e futuro, il cui verificarsi dipende dalla volontà del minacciante. Il delitto è aggravato (la pena è aumentata), se il fatto è commesso anche con violenza sulle cose o se la violenza o minaccia alla persona è commessa con armi. Il delitto si differenzia dai reati di rapina (art. 628 c.p.) ed estorsione (art. 629 c.p.), per il fatto che il soggetto agisce per soddisfare una pretesa che, a suo parere, gli compete giuridicamente e non per conseguire un profitto ingiusto. La pena prevista per l’ipotesi di delitto con “violenza sulle cose” è la sola multa fino a 516 euro, mentre nell’ipotesi di delitto con “violenza o minaccia alle persone” la pena prevista è quella della reclusione fino a un anno, con multa fino a 206 euro, se il fatto è commesso anche con violenza sulle cose. Entrambe le ipotesi prevedono che l’Autorità Giudiziaria possa procedere solo su querela della persona offesa dal reato. L’art. 336 del Codice di Procedura Penale stabilisce che “La querela è proposta mediante dichiarazione nella quale, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, si manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato[15]“.
Per concludere e dimostrare, quasi controcorrente, come l’interpretazione concreta di singole fattispecie (dal latino facti species, “immagine del fatto”), possa anche portare la giurisprudenza della Corte di Cassazione[16], a legittimare comportamenti apparentemente vietati dalle norme poc’anzi illustrate, si segnala una recente sentenza della Sesta sezione penale (sentenza 2548/2010)[17]. La Corte si è occupata di un caso relativo ad una lite condominiale nata per questioni di parcheggio, ha affermato che “la difesa privata di un proprio diritto di possesso, anche con il ricorso all’uso di una violenza reale, e’ consentito a chi subisca un fatto, vanificante tale diritto (spoglio), allorché l’autodifesa segua senza soluzione temporale nell’attualità e nell’immediatezza l’azione lesiva” subita. Insomma ci si può difendere ma occorre farlo subito. Sulla scorta di tale principio la Corte ha annullato una condanna per “esercizio arbitrario delle proprie ragioni” che i Giudici di merito avevano inflitto ad un condomino che trovandosi nell’impossibilità di accedere al parcheggio condominiale per via di un lucchetto (apposto sul cancello d’ingresso) e di un paletto (che il suo rivale aveva apposto per delimitare il suo posto), aveva deciso di risolvere la cosa a modo suo rimuovendo il paletto con le sue mani e senza rivolgersi al Tribunale. Inizialmente il condomino, che si era fatto giustizia da solo, era stato condannato in primo e in secondo grado per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni punito dall’art. 392 c.p. La Cassazione al contrario ha ribaltato il verdetto riconoscendo che l’imputato rimuovendo paletti e lucchetto aveva esercitato una “legittima difesa” a fronte “a una ingiusta aggressione al libero esercizio del proprio diritto di transito in uno spazio condominiale comune”. La sentenza, vincolante per il singolo caso, ma che offrirà un principio interpretativo/guida per tutti i casi “analoghi” futuri, si ispira, probabilmente, ad un concetto basilare che trae origine dal diritto romano, per il quale “l’interesse sociale allo svolgimento pacifico dei rapporti  tra i soggetti esige che sia tutelato lo stato di fatto del possesso[18]. Contro l’altrui azione violenta (anche di chi mette un ostacolo al mio diritto di passaggio), è consentita l’autodifesa, o difesa privata del possesso (legittima difesa art.52 c.p.), perciò è possibile opporsi alla violenza mentre questa è in atto (in continenti e non ex intervallo). Se invece, la violenza è cessata, è necessario ricorrere al Giudice esperendo l’azione possessoria[19].
 
L’ingiustizia in qualsiasi luogo è minaccia alla Giustizia ovunque.
Martin Luther King


[1] Nell’immagine: “la Giustizia” scultura di Ermenegildo Luppi (Modena 1877-Roma 1937), chiesa di San Cataldo, Modena.
 
[2]Affinché i cittadini non vengano alle armi”. La frase indica la necessità di evitare, attraverso l’attività legislativa (e il conseguente rispetto delle norme da parte di tutti), che la convivenza civile sia inquinata dal ricorso alle armi.
 
[3] Il brocardo o broccardo è una sintetica e antica massima giuridica, tanto concisa quanto chiara, prevalentemente di tradizione latina (esistono anche brocardi germanici o anglosassoni). L’ipotesi più probabile riguardo all’origine di questo termine è riconducibile al nome del giurista Burchardus (dagli italiani e dai francesi chiamato Brocard) vescovo di Worms, il quale scrisse 20 volumi di Regulae Ecclesiasticae, includendo una collezione di locuzioni latine a carattere giuridico ordinate alfabeticamente (dette Brocardica o Regulae Burchardicae). Da qui entrarono poi nell’uso comune grazie alla scuola dei glossatori di Bologna, attiva nei secoli XIIXIII. Da Wikipedia, L’enciclopedia libera.
 
[4] Codice Penale, LIBRO SECONDO – Dei delitti in particolare, Titolo III – Dei delitti contro l’amministrazione della giustizia (Artt. 361-401), Capo III – Della tutela arbitraria delle private ragioni
 
[5] I reati si distinguono, a seconda della pena prevista per ciascuno di essi, in delitti e contravvenzioni. I delitti sono i reati per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo, della reclusione o, nei casi meno gravi, della multa (pena pecuniaria). Alla distinzione si ricollegano una serie di importanti conseguenze. Così, ad esempio, per i delitto si è puniti, salva diversa espressa previsione, solo a titolo di dolo (precisa intenzione), soltanto per ad essi è prevista l’incriminazione anche del “tentativo” ed è consentita l’applicazione di misure cautelari personali.
 
[6] Può trattarsi anche di un diritto soltanto supposto e non obiettivamente esistente, purché la supposizione sia sostenuta da elementi di fatto che facciano apparire come verosimile la sua esistenza. Es. la presenza di un bene presso l’abitazione altrui, bene del tutto simile ad uno del quale si è subito il furto, non può mai giustificare la riappropriazione da parte del presunto derubato dell’oggetto, magari facendo violenza sul detentore, presunto ladro e/o ricettatore.
 
[7] Cass. pen., 8547/1986 in “Giustizia Penale”, 1987, II, 413, Roma, 1987
 
[8] Cfr. KultUnderground n.131-GIUGNO 2006-rubrica Diritto: “La difesa legittima del domicilio privato”, e anche KultUnderground n.146-SETTEMBRE 2007-rubrica Diritto: “Facoltà di arresto da parte dei privati”.
 
[9] v. Art. 2034 Codice Civile.
 
[10] Si pensi al “pagamento” di partite di merce (droga o armi) di contrabbando.
 
[11] L’ipotesi in esame si differenzia dal reato di danneggiamento (v. art. 635 c.p.) sotto il profilo dell’elemento soggettivo: dolo specifico nel primo caso (chi ritiene di avere un diritto muta la destinazione/danneggia la cosa altrui per una ragione specifica), generico nell’altro (chi distrugge, disperde, deteriora, cose immobili o mobili altrui, non ha, spesso, uno scopo preciso).
 
[12] Legge 23/12/1993, n. 547.
 
[13] Cfr. www.tecnoteca.it, “L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 c.p.)”.
 
[14] La violenza per il diritto Penale, consiste nell’uso dell’energia fisica da cui derivi una coazione personale (c.d. violenza propria). Rientra nel concetto anche la c.d. violenza impropria, ossia l’uso di un qualunque altro mezzo capace di coartare la libertà morale della vittima (es.: la ipnotizzazione, la somministrazione di sostanze stupefacenti etc.).
 
[15] La querele è tecnicamente una “condizione di procedibilità”, dalla quale, cioè, la legge fa dipendere la perseguibilità di determinati fatti criminosi. Si sostanzia in una manifestazione di volontà negoziale, non formale, diretta a rimuovere un ostacolo alla promuovibilità e perseguibilità dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero. La querela non richiede formule particolari e, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, la proposizione della stessa non necessita dell’indicazione e della precisazione del fatto che costituisce reato nei suoi termini giuridici: basta che da essa si manifesti, in forma esplicita o implicita, l’effettiva volontà di chiedere la punizione del colpevole (cd. “istanza di punizione”).
 
[16] KultUnderground n.177-APRILE 2010-rubrica Diritto: “C.S.C”
 
[17] www.studiocataldi.it, portale di informazione giuridica: “Cassazione condomino può farsi giustizia da sé contro soprusi del vicino”, 23/01/2010.
 
[18] KultUnderground n.179-GIUGNO 2010-rubrica diritto: “Possesso vale titolo” e presunzione legale di proprietà”
 
[19] Cfr. Torrente-Schlesinger Manuale di Diritto Privato, Giuffrè editore Milano, XIII ed. pp.388-389.

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