70 anni di violazioni del diritto internazionale
«It is very tragic that they are celebrating an illegal action
while Israel is killing and injuring thousands of Palestinians civilians»
(Riyad Mansour, Ambasciatore palestinese all’Onu, 14 maggio 2018)
14 maggio 2018: si compiono 70 anni della nascita dello stato di Israele.
Uno stato moderno frutto di molteplici accordi internazionali tra le potenze uscite vincitrici dalla II guerra mondiale ma che affonda le sue radici nella storia millenaria delle civiltà sviluppatesi sulle coste del Mar Mediterraneo.
Uno stato che deve al diritto internazionale la sua esistenza ma che in 70 anni ha perseverato nei suoi comportamenti in violazione dello stesso sistema di norme, senza renderne conto a nessuna istanza superiore e con il complice avallo di influenti alleati.
Ultimi fatti emblematici: più di 50 vittime e oltre 2000 feriti tra civili indifesi che manifestavano nella Striscia di Gaza per mano delle forze armate israeliane e l’inaugurazione della nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme, proprio il 14 maggio.
E nel mentre la comunità internazionale resta a guardare.
Dobbiamo ricordare che già durante il periodo di protettorato britannico sulla Palestina (1920-1948), ci si rese conto della necessità di individuare una soluzione per garantire la convivenza tra le forti comunità presenti[1]: Londra però non volle adottare nessuna misura e lasciò il campo alla neonata Organizzazione delle Nazioni Unite.
È dunque l’Assemblea Generale nella sua risoluzione 181 del 1947[2] che prese la prima iniziativa e stabilì, al termine del mandato inglese, la suddivisione dei territori palestinesi in due stati, uno ebraico e uno musulmano, riconoscendo inoltre alla città di Gerusalemme uno speciale regime internazionale in quanto “corpus separatum”, corpo distinto, sotto amministrazione diretta dell’Onu attraverso un Consiglio di amministrazione fiduciaria (Trusteeship Council).
Nonostante questa previsione, dopo la proclamazione dello stato di Israele, il 14 maggio 1948, le tensioni aumentarono e le Nazioni Unite istituirono prima un Mediatore speciale[3] per la Palestina (ucciso tragicamente da estremisti sionisti in un attentato a Gerusalemme) e poi costituirono[4] una Commissione di Conciliazione tripartita con il compito di risolvere la questione relativa all’area della città santa.
Il governo di Tel Aviv mantenne sempre un atteggiamento ambivalente: da una parte rifiutava lo status internazionale di Gerusalemme, dall’altro dichiarava di riconoscerlo limitatamente ai luoghi sacri alle tre religioni monoteiste. Nonostante ciò, furono continui gli episodi con i quali Israele cercò di imporre il proprio e unico controllo sull’intera città.
Il più emblematico avvenne nel maggio del 1967 durante la cosiddetta guerra dei sei giorni[5] che portò Israele a strappare militarmente la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza all’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est alla Giordania e le alture del Golan alla Siria. In seguito a queste annessioni, il governo proclamò Gerusalemme sua capitale in spregio delle pendenti risoluzioni delle Nazioni Unite.
Nel novembre del 1967, fu la Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza[6] a segnare un importante cambio di prospettiva dichiarando contrario al dettato della Carta dell’Onu[7] e dunque inaccettabile l’annessione di territori attraverso l’impiego della forza e chiedendo formalmente il ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati nel rispetto dei principi di inviolabilità delle frontiere e di sovranità.
Il perdurare dell’occupazione militare accompagnata da politiche di sostegno agli insediamenti civili spinse poi l’Assemblea Generale a istituire una speciale commissione per indagare sulle pratiche attuate in violazione dei diritti umani del popolo palestinese nei territori occupati. Senza parlare dell’ulteriore e controverso capitolo della IV Convenzione di Ginevra[8] sulla protezione delle popolazioni civili in tempo di guerra, e in particolare quanto disposto dalle norme relative ai territori posti sotto il controllo di una potenza occupante: controverso perché le autorità israeliane la ritenevano (e continuano a ritenerla) non applicabile al caso di specie mentre la comunità internazionale continua a monitorarne, registrarne e denunciarne le violazioni.
Nel 1980, poi, Tel Aviv approvò la Jerusalem Law[9], legge istitutiva di Gerusalemme capitale, che ispirò due nuove risoluzioni (la 465[10] e la 478[11]) di condanna delle continue violazioni dei diritti umani e invito a tutti i paesi a non trasferirvi le proprie legazioni diplomatiche.
Gli anni 80 videro l’inasprirsi del conflitto con attività politiche, quali la dichiarazione di indipendenza della Palestina con Gerusalemme capitale, e di protesta organizzata (la prima intifada[12]).
Del 1990 fu la successiva risoluzione[13] del Consiglio di Sicurezza con la quale si condannavano le violenze, si ripeteva che Israele fosse una potenza occupante e la si richiamava al rispetto della IV Convenzione di Ginevra.
Terminata la fase acuta della rivolta, il Palazzo di Vetro prese ulteriormente posizione sottolineando la necessità di rispettare lo statuto speciale di Gerusalemme e invitando le parti a una soluzione pacifica[14].
Purtroppo, la produzione di risoluzioni da parte delle istituzioni onusiane non fu accompagnata dalla auspicata distensione dei rapporti tra le parti: anzi, dal 2000 si riaccesero le proteste con la seconda intifada[15] e l’attenzione della comunità internazionale venne catalizzata dalla comune guerra al terrorismo globale in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 e strumentalmente piegata a favore di Israele in chiave critica nei confronti del popolo palestinese, assimilato in maniera semplicistica con il radicalismo islamico.
Poco numerosi e poco originali furono i provvedimenti[16] dei primi anni 2000.
Recentemente, invece, si sono avuti documenti esemplari come la risoluzione 2334 del 2016[17] con la quale si è riaffermata l’illegittimità degli insediamenti di coloni nei territori occupati a partire dal 1967 (ivi incluso Gerusalemme Est) definendoli «flagrante violazione del diritto internazionale ed enorme ostacolo per il conseguimento della soluzione dei due Stati e di una pace giusta, duratura e globale».
E non di minor rilievo l’ultimo atto del 2017 dell’Assemblea Generale[18] seguito alla dichiarazione del presidente Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e per questo di trasferirvi la propria ambasciata.
L’assise newyorchese con 128 voti a favore, 9 contrari (Guatemala, Honduras, Israele, Isole Marshall, Stati Federati di Micronesia, Nauru, Palau, Togo, Stati Uniti) e 35 astensioni, ha adottato dunque la risoluzione denominata “Status of Jerusalem”, con la quale si dichiara nulla qualsiasi azione intesa a modificare il carattere, lo stato e la composizione demografica di Gerusalemme.
Oltre a ciò, si invitano tutti gli Stati ad astenersi dall’istituire ambasciate nella Città Santa, di rispettare tutte le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e di lavorare per invertire le tendenze negative che impongono la risoluzione a “Due Stati” del conflitto israelo-palestinese.
Dal 1947, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato almeno 52 risoluzioni sul conflitto israelo-palestinese mentre sono stati 31 i provvedimenti di varia natura dell’Assemblea Generale[19]. Tutti questi atti riconfermano i focus sviluppati nel corso di sette decenni:
– rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario (IV Convenzione di Ginevra) relative ai diritti delle popolazioni civili nei territori occupati (Palestinesi) e ai doveri della potenza occupante (Israele);
– riconoscimento dell’illegittimità dei comportamenti del governo di Tel Aviv nei territori occupati (segregazione e deportazione di palestinesi, insediamenti di coloni, violenze diffuse, occupazione) e loro condanna;
– rispetto del regime giuridico internazionale della Città Santa di Gerusalemme (per le parti e gli Stati terzi);
– mantenimento di un tavolo di confronto per addivenire a una pace concordata e stabile;
– definizione della soluzione dei “Due Stati” (Israeliano e Palestinese).
Ma se questi sono i punti fermi della diplomazia internazionale sulla questione dobbiamo riconoscere che pesanti sono gli ostacoli che si frappongono alla agognata fine del conflitto: parrebbe che Israele in primis non abbia alcuna volontà di riconoscere e attuare quanto stabilito perché ciò vorrebbe dire cedere parte di quella Terra Promessa riconquistata tanto faticosamente dopo duemila anni di diaspora.
E Israele può contare sul potente alleato, Washington, dotato di quell’anacronistico diritto di veto in Consiglio di Sicurezza.
70 anni dovrebbero essere sinonimo di maturità ed equilibrio: che Israele ne dia prova o che la comunità internazionale trovi gli strumenti per “provocare” finalmente una soluzione definitiva, sostenibile ed effettiva.
[1] Alla fine del 1946, la speciale Commissione per la Palestina creata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, stimò in circa 252.000 persone la popolazione di Gerusalemme: 104 mila musulmani, 102 mila ebrei, 46 mila cristiani.
[2] Cfr. Risoluzione A/RES/181 (II) e (III) del 29 novembre 1947: «The City of Jerusalem shall be established as a corpus separatum under a special international regime and shall be administered by the United Nations. The Trusteeship Council shall be designated to discharge the responsibilities of the Administering Authority on behalf of the United Nations».
[3] Cfr. Risoluzione A/RES/186 (S-2) del 14 maggio 1948 con cui si nomina Folke Bernadotte (Stoccolma, 2 gennaio 1895 – Gerusalemme, 17 settembre 1948) mediatore delle Nazioni Unite nella controversia israelo-palestinese. Politico, diplomatico e filantropo svedese, noto per aver negoziato e ottenuto la liberazione di circa 31.000 prigionieri dai campi di concentramento tedeschi durante la II guerra mondiale, fu ucciso da un gruppo sionista nel 1948 a Gerusalemme (Fonte: Wikipedia, l’enciclopedia libera).
[4] Cfr. Risoluzione A/RES/194 dell’11 dicembre 1948: «8. -Resolves that, in view of its association with three world religions, the Jerusalem area, including the present municipality of Jerusalem plus the surrounding villages and towns, the most eastern of which shall be Abu Dis; the most southern, Bethlehem; the most western, Ein Karim (including also the built-up area of Motsa); and the most northern, Shu’fat, should be accorded special and separate treatment from the rest of Palestine and should be placed under effective United Nations control;
-Instructs the Conciliation Commission to present to the fourth regular session of the General Assembly detailed proposals for a permanent international regime for the Jerusalem area which will provide for the maximum local autonomy for distinctive groups consistent with the special international status of the Jerusalem area;
-The Conciliation Commission is authorized to appoint a United Nations representative, who shall co-operate with the local authorities with respect to the interim administration of the Jerusalem area».
[5] La guerra dei sei giorni (5-10 giugno 1967) fu un conflitto combattuto tra Israele da una parte ed Egitto, Siria e Giordania dall’altra all’interno del conflitto arabo-israeliano e che si tramutò in una rapida e totale vittoria israeliana (Fonte: Wikipedia, l’enciclopedia libera).
[6] Cfr. Risoluzione S/RES/242 del 22 novembre 1967: «Emphasizing the inadmissibility of the acquisition of territory by war and the need to work for a just and lasting peace in which every State in the area can live in security,
Emphasizing further that all Member States in their acceptance of the Charter of the United Nations have undertaken a commitment to act in accordance with Article 2 of the Charter,
1. Affirms that the fulfilment of Charter principles requires the establishment of a just and lasting peace in the Middle East which should include the application of both the following principles: (i) Withdrawal of Israel armed forces from territories occupied in the recent conflict».
[7] Cfr. Carta delle Nazioni Unite, http://www.un.org/en/charter-united-nations/index.html.
[8] Cfr. IV Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 sul sito del CICR, Comitato Internazionale della Croce Rossa, https://ihl-databases.icrc.org/applic/ihl/ihl.nsf/TRA/380?OpenDocument&.
[9] Cfr. https://www.knesset.gov.il/laws/special/eng/basic10_eng.htm.
[10] Cfr. Risoluzione S/RES/465 del 1° marzo 1980.
[11] Cfr. Risoluzione S/RES/478 del 20 agosto 1980: «2. Affirms that the enactment of the “basic law” by Israel constitutes a violation of international law and does not affect the continued application of the Geneva Convention relative to the Protection of Civilian Persons in Time of War, of 12 August 1949, in the Palestinian and other Arab territories occupied since June 1967, including Jerusalem;
5. Decides not to recognize the “basic law” and such other actions by Israel that, as a result of this law, seek to alter the character and status of Jerusalem and calls upon:
Those States that have established diplomatic missions at Jerusalem to withdraw such missions from the Holy City».
[12] La prima intifada (anche semplicemente “intifada”, che in arabo significa “rivolta”) fu una sollevazione palestinese di massa contro il dominio israeliano che iniziò nel campo profughi di Jabaliya e si estese attraverso Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est nel periodo 8 dicembre 1987 – 13 settembre 1993 (Fonte: Wikipedia, l’enciclopedia libera).
[13] Cfr. Risoluzione S/RES/672 del 12 ottobre 1990: «Calls upon Israel, the occupying Power, to abide scrupulously by its legal obligations and responsibilities under the Fourth Geneva Convention, which is applicable to all the territories occupied by Israel since 1967».
[15] La seconda intifada è stata la rivolta palestinese esplosa a Gerusalemme il 28 settembre del 2000, in seguito estesa a tutta la Palestina. Secondo la versione palestinese l’episodio iniziale fu la reazione alla visita del capo del Likud Ariel Sharon (accompagnato da una delegazione del suo partito e da poliziotti israeliani in tenuta antisommossa) al Monte del Tempio, luogo sacro per musulmani ed ebrei situato nella Città Vecchia. Terminò l’8 febbraio 2005 (Fonte: Wikipedia, l’enciclopedia libera).
[16] Cfr. Risoluzione S/RES/1322 del 7 October 2000: «Calls upon Israel, the occupying Power, to abide scrupulously by its legal obligations and its responsibilities under the Fourth Geneva Convention relative to the Protection of Civilian Persons in Time of War of 12 August 1949».
[17] Cfr. Risoluzione S/RES/2334 del 23 December 2016: «Reaffirming the obligation of Israel, the occupying Power, to abide scrupulously by its legal obligations and responsibilities under the Fourth Geneva Convention relative to the Protection of Civilian Persons in Time of War, of 12 August 1949, and recalling the advisory opinion rendered on 9 July 2004 by the International Court of Justice,
Condemning all measures aimed at altering the demographic composition, character and status of the Palestinian Territory occupied since 1967, including East Jerusalem, including, inter alia, the construction and expansion of settlements, transfer of Israeli settlers, confiscation of land, demolition of homes and displacement of Palestinian civilians, in violation of international humanitarian law and relevant resolutions».
[18] Cfr. Risoluzione A/RES/ES-10/19 del 21 dicembre 2017.
[19] Per l’elenco completo dei documenti delle Nazioni Unite relativi alla questione Israelo-Palestinese e alla città di Gerusalemme, si veda http://www.securitycouncilreport.org/un-documents/israelpalestine.