Il fascismo non è bello non per quello che è,
ma per quello che promette
Leo Longanesi
La Costituzione italiana del 1948, repubblicana e democratica, si dimostra massimamente pluralista nell’accogliere le più diverse idee politiche dei propri cittadini: “
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, recita l’articolo
49 della Carta fondamentale
[2]. La norma, innanzitutto, con il richiamo al “metodo democratico”, da una parte esclude l’utilizzo di qualsivoglia forma di violenza atta ad imporre idee o scelte nell’attività politica, dall’altro “suggerisce” di conseguenza una organizzazione interna democratica, trasparente, nel perseguimento di fini costituzionalmente rilevanti. Ho parlato di “suggerimento”, in quanto né il costituente, né il successivo legislatore ordinario hanno mai specificato l’obbligo per i Partiti di adottare determinate forme di organizzazione interna, proprio per timore di interferire troppo su una libertà essenziale dei cittadini
[3].
Dunque il concorso dei cittadini alla politica è libero: obiettivi, programmi e visioni del popolo italiano per governare ed essere governato possono essere i più diversi; il dialogo tra sistema costituzionale e partiti politici
[4] è aperto a tutti gli orientamenti, forme organizzative e idee, con una sola eccezione: quella del
Partito Fascista, almeno per come esso si manifestò storicamente nel nostro Paese, fra il 1922 e il 1945.
Infatti, la
XII disposizione finale della Costituzione recita “
E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.”, con l’evidente scopo di evitare, dopo la caduta del Regime fascista, che questo potesse essere restaurato attraverso la ricostituzione del partito che ne era alla guida
[5]. La norma, al II comma, introdusse anche delle limitazioni al
diritto di voto e all’eleggibilità dei membri di spicco del passato regime, delegandone le modalità di attuazione alla legge ordinaria, con una dichiarata deroga a quanto previsto dall’art.
48[6] della stessa Costituzione in tema di universalità del diritto di elettorato attivo e passivo
[7].
Nel momento di maggiore tensione sociale e politica tra le forze di opposizione di destra e di sinistra degli anni successivi alla seconda guerra mondiale, il VII Governo De Gasperi
[8] (in carica dal 26 luglio 1951 al 16 luglio 1953), incaricò un comitato interministeriale presieduto da
Mario Scelba[9],
Ministro dell’Interno, di aggiornare la legislazione sulla sicurezza nazionale.
Come responsabile dell’ordine pubblico fin dall’immediato dopoguerra, preparò lo Stato al possibile scoppio di una guerra civile, rafforzando la Polizia, espellendo da essa il personale considerato (dal punto di vista scelbiano) di dubbia affidabilità, poiché arruolati provvisoriamente sul finire della guerra (c.d. Polizia “partigiana”), e sostituendoli con uomini di fiducia (chiamati in maniera dispregiativa «scelbiatti») la cui risolutezza e aggressività provocarono proteste violente sia in piazza che in Parlamento
[10]. Il titolare dell’Interno impegnò la macchina organizzativa del Ministero e delle Questure territoriali nella costituzione e dislocazione, nelle aree nevralgiche del territorio nazionale, di reparti mobili di pronto intervento, determinando una rapida riorganizzazione del “Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza”
[11]. Dopo le elezioni del 18 aprile 1948, il pericolo di insurrezione armata delle sinistre divenne meno acuto. Nell’Italia di quegli anni, le manifestazioni erano organizzate soprattutto dal Partito Comunista Italiano e dal Partito Socialista Italiano, per cui Scelba si fece rapidamente fama di nemico e persecutore del comunismo.
In questo clima politico e sociale fu redatta e approvata da Parlamento la legge 20/6/1952 n. 645 “
Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione[12]”, il cui articolo
1 stabilisce: “
Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione , si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista[13]”.
Dunque, per la legge le caratteristiche dell’organizzazione “fascista” si riassumono in:
· elemento personale (gruppo di almeno cinque individui),
· perseguimento di finalità “antidemocratiche”,
· uso o minaccia della violenza quale metodo di lotta politica,
· volontà di soppressione delle libertà costituzionali,
· propaganda razzista,
· esaltazione di esponenti e metodi del Partito che è stato storicamente ,
· compimento di manifestazioni di carattere fascista.
All’art.
2 la Legge Scelba prevede le sanzioni per chi “
promuove, organizza o dirige” questi gruppi neo-fascisti: la reclusione da cinque a dodici anni e la multa da euro 1.032 a euro 10.329. Ovviamente viene punita anche solo la “
partecipazione” a queste entità, sia pur con pene più lievi
[14], mentre se l’associazione, il movimento o gruppo assume il carattere di organizzazione armata o paramilitare, ovvero fa uso della violenza, le pene sono raddoppiate
[15].
Di “apologia” propriamente detta dispone l’
art.4 della Legge in esame: “
Chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità indicate nell’articolo 1 è punto con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da euro 206 a euro 516”. Il II comma punisce con la stessa pena “
…chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da euro 516 a euro 1.032”
[16].
A questo punto è possibile affermare che la “
ratio” (la ragione, il fine), ancora attuale della “Legge Scelba”, e del reato di “apologia del fascismo” da essa previsto, è quella di
impedireogni (concreto) tentativo di riorganizzare l’abolito partito fascista restaurando un regime dittatoriale in Italia, conclusione cui è arrivata più volte la Giurisprudenza dei massimi organi giurisdizionali della Repubblica. Infatti, fin dai primi anni successivi alla sua emanazione, verso la legge n. 645/1952 furono a più riprese sollevate questioni di legittimità costituzionale, poiché si sosteneva che la norma di fatto “negherebbe a una categoria ideologica”, o meglio negherebbe ai possibili sostenitori di una fazione politica, i diritti esplicitamente garantiti dalla Costituzione in termini di libertà associativa e di libertà di manifestazione del pensiero
[17]. La Consulta, in una nota sentenza del 1957
[18], stabilì che l’apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una semplice “difesa elogiativa”, ma in una “esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista”, non ravvisando alcuna violazione delle disposizioni contenute nell’art. 21 della Costituzione. La normativa sull’apologia del fascismo si è dimostrata l’eccezione che conferma la regola: ciò sia perché si riferisce all’esaltazione di un periodo storico passato, più che alle attività di un partito post-fascista già allora esistente, sia perché ha sempre avuto un’applicazione tale da non mettere mai in dubbio la legittimità del Movimento Sociale Italiano
[19]. A sostegno di questa impostazione si sono avute, successivamente, diverse sentenze della Corte di Cassazione che ha sempre confermato che “
…Il vigente ordinamento giuridico, …, si limita ad esigere che l’attività dei partiti si svolga nella osservanza delle leggi penali e di polizia, vietando soltanto il ricorso alla violenza ed alla sopraffazione per l’attuazione del programma. L’unica eccezione al sistema è prevista dalla citata dodicesima disposizione transitoria, la quale, vietando la riorganizzazione del disciolto Partito fascista sotto qualsiasi forma, consente un limitato controllo delle finalità dei partiti. Nel dare concreta attuazione ai criteri desunti dalla norma costituzionale, il legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità, ha stabilito quali fatti siano illeciti ai fini di una riorganizzazione del disciolto Partito fascista, comprendendo in essi quelli idonei a creare un effettivo pericolo…[20]”.
Anche le “manifestazioni esteriori” di richiamo al fascismo sono punite dall’art.
5 dalla legge 645/1952: “
Chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da euro 206 a euro 516”. Di conseguenza si sono ripetute negli anni anche le pronunce della Cassazione per definire i criteri con i quali punire il “saluto romano”: questa espressione gestuale ben nota, “
non è espressione della possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero, ma un’istigazione all’odio razziale, vale a dire che istiga alla violenza”, e ciò rientra nella previsione punitiva dalla legge Scelba
[21]. In effetti, la libertà di manifestazione del pensiero non può sconfinare nell’istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista: per i Giudici Supremi il saluto romano rappresenta la caratteristica tipica di quel contesto storico in cui il gesto era espressione di appartenenza (al regime fascista), e non solo di pensiero (come semplice esaltazione del fascismo), gesto che serviva a provocare anche adesione alle idee bastate sulla superiorità (e sull’odio) razziale
[22].
Per tutto ciò, e per concludere, lascia perplessi, in quanto rischia di essere norma ripetitiva e con aspetti di incostituzionalità, la
proposta di legge presentata dal deputato del PD Emanuele Fiano, già approvata dalla Camera dei Deputati e ora all’esame del Senato, diretta a punire come reato di “apologia del fascismo” anche manifestazioni di puro folklore come i
memorabilia del Ventennio (immagini, emblemi, stemmi, gadget vari)
[23]. Quando, infatti, non si tratti di “rivitalizzare” il Partito Fascista,
deve prevalere la libertà di manifestazione del pensiero costituzionalmente tutelata, anche qualora si arrivasse al caso estremo di costituire movimenti sociali che perseguono scopi simili all’ex partito fascista
[24]: ciò è riconosciuto lecito purché si rispetti il dettato costituzionale sulla libertà di associazione
[25].
La legge Scelba, a 65 anni dalla sua introduzione, grazie soprattutto alla interpretazione evolutiva delle Corti e dei Tribunali italiani, si dimostra ancora attuale e adeguata a prevenire la ricostituzione in Italia, sia con azioni e mezzi materiali, sia con la semplice attività apologetica, di un Partito Fascista.
La democrazia impedisce ai potenti di rovinare il popolo
e permette al popolo di rovinarsi con le proprie mani.
Benito Mussolini