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Intervista con Enzo And The Glory Ensemble

11 min read
Enzo Donnarumma
 
Il 24 di dicembre 2016, data fondamentale per ogni cristiano, è uscito ufficialmente “In The Name Of The Father”, l’album più ambizioso per la scena christian metal. Autore del CD è Enzo Donnarumma dei Members Of God (all’attivo l’album prog metal “Ten Talking Words” del 2010) che ha composto tutto, scritto alcuni testi, adattato quasi gli altri e soprattutto coinvolto un numero incredibile di ospiti che han dato vita ad un’opera rock/metal di indubbio valore. I testi delle song sono preghiere della tradizione cattolica ed alcune riflessioni di Enzo.
Nella tracklist dell’opera si possono ascoltare differenti tipologie compositive e val la pena di vedere traccia per traccia cosa viene proposto per evidenziare meglio la ricchezza di quest’album. Si inizia con l’intro mistica “In The Name Of The Father” che ci porta all’opener, la splendida cavalcata power “Psalm 63” in cui Enzo duetta con Brian Ashland degli Shadow Gallery; il testo è la trascrizione integrale del Salmo di Davide n. 63 e segue la traduzione fedelissima della United States Conference of Catholic Bishops: “Oh Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia”.
Possiamo poi imbatterci in lenti contemplativi come “The Lord’s Prayer”, impreziosita da ottimi assoli e dalla partecipazione al microfono di Kobi Farhi di Orphaned Land; il testo in questo caso è proprio la preghiera “Padre Nostro”. Troviamo ancora il singer degli Orphaned nella successiva “Anima Christi” (da cui è stato tratto anche un video a tema); qui ci imbattiamo in sonorità mediorientali che si miscelano alla perfezione con un sound che ricorda vagamente i Kamelot. Il testo della song è una famosissima preghiera medievale, tuttora recitatissima nei Rosari e in varie occasioni liturgiche.
Si torna a temi soffusi e mistici con il lento “Glory Be To The Father” (né più né meno il testo del “Gloria al Padre”), decorato da archi sublimi e dal duetto di Enzo con la voce femminile di Amulyn (Whispers From Heaven); il finale della traccia, celestiale e quasi ambient, fa da preludio alla tempesta che seguirà con il brano successivo. Parliamo dell’assalto power di “Benedictus” (il cui testo è l’inno di Zaccaria), in cui troviamo alla voce gli ospiti Ralf Scheepers (Primal Fear, ex Gamma Ray) e Nicholas Leptos (Warlord, Arryan Path); la sfuriata non dà un attimo di pausa e l’alteranza del duello fra chitarra e tastiere è davvero sublime.
I ritmi variano con “The Apostle’s Creed”, un brano in stile Broadway intrecciato di chitarre che fa quasi da intro alla dolcissima, struggente “Hail Holy Queen” (ossia il “Salve Regina” in musica) che vede come ospite alla chitarra Marty Friedman (fra gli altri ex Megadeth); aggiungiamo che il pezzo è incorniciato da un coro molto toccante.
Nella breve strumentale “Guardian Angel Prayer” (“Angelo custode”) ritroviamo Marty Friedman e la voce angelica di Amulyn dei Whisper From Heaven. La traccia è ancora un’ottima intro per la successiva “Psalm 3” (Salmo di Davide), altro pezzo di metal elegante e coinvolgente che si apre con una parte di basso (opera di Enzo) di ottimo livello; qui troviamo come ospite Gary Wehrkamp (Shadow Gallery). Il finale dell’opera è un crescendo impressionante che inizia con “Hail Mary” (Ave Maria), lento delicato e intenso, con tastiere superbe e la partecipazione superlativa alla voce di Tina Gagliotta dei Poemisia; in questo pezzo ritroviamo ancora Marty Friedman ed alla batteria Mark Zonder (Warlord, Fates Warning). L’ultimo brano è la catchy rock song “Maybe You” (unico testo scritto da Enzo; una riflessione che invita le persone alla solidarietà) in cui partecipano, insieme a Enzo, gli ospiti Mark Zonder, Nicholas Leptos, Gary Wehrkamp e Brian Ashland. Il coro conclusivo è davvero da brividi e ci ricorda alcuni successi degli anni ’80.
Aggiungiamo che la masterizzazione e il mix sono stati seguiti da Gary Wehrkamp degli Shadow Gallery ai “New Horizon Studios” e che la splendida copertina del CD è opera dell’artista Jahn Carlini. Imperdibile. 
 
 
Intervista
 
Davide
Ciao Enzo. Dal Concilio Ecumenico Vaticano II che ha sdoganato il rock anche come musica religiosa, da quella Messa Beat o dei Giovani del 1966 a oggi, con il disco prog-rock di Papa Francesco con Tony Pagliuca de Le Orme, beh, tanta strada… Perché hai scelto in particolare la via del christian metal?
 
Enzo
Ciao Davide! Mi permetto di dire che molti, cristiani inclusi, non conoscono veramente lo spessore di questa religione. Ho molto rispetto per ogni ideologia credente o meno (ho un passato da ateo), se ho abbracciato il Cristianesimo come modo di essere, ciò è dovuto alla mia fortuna di averne compreso il forte messaggio anticonformista, antimoralista, antirepressivo e anticonservatore. Un messaggio troppo sapiente e moderno, l’opposto di come viene quasi sempre presentato.
Fortuna ha voluto che il Concilio Vaticano II abbia smesso di mettere al rogo chi desidera cantare Dio in maniera non canonica! Ciononostante il Christian Metal dà ancora un po’ fastidio alle orecchie delicate dei fedeli a messa (ride).
La mia attività artistica esiste al solo scopo di comunicare ciò in cui credo, anzi, questo disco nasce proprio da una disperata ricerca della mia identità più vera, confusa negli anni dall’amore per troppi generi musicali e per troppi libri. La cultura è tutta bella, si sa, ma a un certo punto bisogna pur ricordarsi di esser piccoli e cominciare almeno nel nostro piccolo, per non correre il rischio di stare una vita intera contemplando a bocca aperta un’idea indefinita di infinito, senza concludere niente.
Conosco e ammiro religioni, filosofie e ateismi, ma sono un cristiano. Amo davvero tanta musica, ma mi riconosco come autore prog folk sinfonico. “In the Name of The Father” è il sigillo di queste due certezze conquistate di recente.
 
Davide
E i Members of God?
 
Enzo
“In the Name of The Father” è nato dall’esigenza di capire io chi sono, nella musica e nel pensiero. Dovevo farlo da solo, era anche un modo per comunicare ai Members of God cos’ha da dire il loro cantante quando è solo.
Essi hanno avuto tanta pazienza, nel tempo concessomi per la realizzazione di questo disco, perché anche loro ci hanno creduto pur non prendendovi parte.
Attualmente anche con loro si sta definendo per bene quale formula musicale ci appartenga di più. Un lavoro non ancora concluso.
 
Davide
Musica e mistica sono un binomio in ogni religione. Rimanendo alla nostra tradizione occidentale, per Hildegard Von Bingen la musica e il canto sono l’essenza della beatitudine, una via che conduce a Dio e un messaggio d’amore che Lui invia sulla Terra. Cos’è per te da questo punto di vista?
 
Enzo
Che meravigliosa citazione! Hildegard era una vera anticonformista, giustamente santificata. Musica e canto sono suono e voce, in accordo con il “Dio-parola” ebraico e cristiano. Amo questo aspetto del suo pensiero, ma mi spingerei a dire che la musica sia una delle tantissime essenze della beatitudine, come l’arte in genere, come il lavoro, le relazioni, gli hobbies, la natura, il progresso, le scoperte scientifiche e perfino i dolori… C’è dignità e beatitudine in ogni angolo del creato e anche in ciò che dal creato ricaviamo. Non c’è cosa brutta in sé, finchè noi non cominciamo a piazzarla in tempi e posti sbagliati, rovinando tutto. Del resto cos’è il peccato, se non dare alle cose un valore usa e getta e non usarle secondo il loro fine più alto?
Ognuno ha il suo canale beatificante. Uno spazzino appassionato nel gustare una strada pulita è uno strumento oltremodo beatificante… Il mio canale di beatificazione personale è la musica, anche se la mia santità è talmente bassa rispetto alla Von Bingen (ride). Tuttavia il mio album, con l’ausilio dell’orchestra, di talune atmosfere ascetiche e del grandioso apporto delle guests, tenta una sorta di viaggio verso il beato, verso la conquista piena della libertà.
 
Davide
Un disco che sembra essere costruito come una rappresentazione teatrale, una rock opera. Che tipo di percorso o di racconto lega i brani che compongono “In the name of The Father”?
 
Enzo
La scelta dei testi (preghiere cristiane e Salmi biblici, più un testo finale inedito dedicato alla pace) non solo rievoca lo stile di una lode mattutina, ma pone i testi in una sorta di successione, che parte da un bisogno disperato di un Padre che plachi le nostre angosce antropologiche e ci dica perché vivere (Psalm 63), muovendosi man mano in un percorso che, attraversando momenti di ricerca di pienezza di vita, di professione di fede, di afflizione, di richieste di soccorsi superiori alle capacità umane e di intercessioni e modelli da seguire, giunge alla presa di coscienza di una missione personale: trovare la pace personale e effonderla con l’amore per gli altri. Lo stile Rock Opera trasforma i testi in una sorta di canovaccio teatrale, rendendo più realistico, più narrativo il concept.
 
Davide
Marty Friedman, Kobi Farhi (Orphaned Land), Ralf Scheepers (Gammaray, Primal Fear), Mark Zonder (Fates Warning), Gary Wehrkamp & Brian Ashland (Shadow Gallery) e Nicholas Leptos (Warlord)… Sicuramente ho dimenticato qualcuno. Una lista di invitati di tutto rispetto. Come hai formato questo ensemble e come è stato lavorarci?
 
Enzo
Bella domanda… in effetti neanch’io l’ho ben capito! La spiegazione che mi dò è la presenza di una fortunata ispirazione nel comporre queste 12 canzoni, piaciute alle guests.
Cominciai quasi per hobby la realizzazione di queste demos, dopodichè le inviai a Gary degli Shadow Gallery; siamo profondi amici da anni e già da tempo lavoriamo insieme. Gli chiesi un parere, avevo bisogno di capire se questa idea fosse una sciocchezza o se potesse funzionare. Gary, entusiasta, mi propose di partecipare e coinvolgemmo anche Brian Ashland. Ciò incuriosì Ralf Scheepers e Kobi Farhi, così pensai che la sola presenza di Gary e Brian nel disco fosse insensata: Enzo e gli Shadow Gallery che pregano? Non funziona! Sentivo che questo progetto doveva diventare una riunion di artisti per una lode musicale, così, ragionando sui brani, cominciai a pensare: “Qui ci deve essere Marty Friedman, lì ci deve essere Mark Zonder”… e mi sono trovato con questo enorme staff, tutti felici di prestare bravura e umiltà a queste canzoni. Io li ho contattati ed essi hanno accettato. Tutto qui!
Abbiamo lavorato via Internet e forse è stato un bene, perché c’è stato il tempo di riflettere con calma, settimana dopo settimana, su come eseguire ciascuna performance. Avevamo modo di riascoltare le demo, ragionare e maturare insieme idee e cambiamenti; cosa non fattibile se ci fossimo incontrati di persona.
Il tempo e la dedizione che le guests mi hanno concesso mi hanno fatto sperimentare una profonda professionalità, umiltà amore per il loro lavoro.
Hanno accolto le mie preferenze musicali, i miei “sì” e “no” e, discretamente, hanno proposto molte idee che mi hanno aperto la mente e fatto crescere i miei orizzonti musicali; orizzonti ancora bisognosi di crescere. Oggi posso dire di essere un musicista più ricco e ho capito che fare musica insieme è un vero e proprio rapporto d’amore, una sintonia di sentimenti, un innamoramento dei rispettivi pensieri musicali.
 
Davide
La scelta dell’inglese è dovuta anche al fatto che il mestiere della musica in Italia è messo sempre peggio?
 
Enzo
La crisi del mercato musicale non verrà certo salvata da una lingua, finchè sarà pieno di salassatori e vendifumo. Ho saputo rifiutare una marea di proposte allettanti e ingannevoli e, alla fine, ho preferito una label seria che, senza giuramenti, ha assicurato e realizzato un ottimo impegno. La Underground Symphony è un vero laboratorio di cura dell’artista. A mio avviso, una delle migliori in Italia.
La crisi musicale può esser superata solo se gli artisti cominciano ad appoggiarsi reciprocamente e i consumatori di musica aprono un po’ meglio le orecchie.
 
Davide
Com’è stata la tua educazione musicale?
 
Enzo
Gran bella domanda! Ho ascoltato tantissima musica, partendo già a otto anni con i grandi artisti soul della Motown e una marea di musica classica, gospel, progressive, per poi lanciarmi a 13 anni in tutto il panorama metal, senza scartare nulla. Verso i sedici anni mi sono introdotto nell’opera, nel musical di Broadway, nelle grandi voci americane anni 50, nel Jazz, nella colonna sonora e perfino nella Walt Dysney, per poi vagare nei vari folklori africani, ebraici, greci, Kurdi, irlandesi, giapponesi… troppa musica, al punto da confondermi le idee e non sapere più chi ero. Ho dovuto fare piazza pulita, resettarmi e trovare un’identità precisa che unisse i miei amori più netti: Bach, Mahler, Bernstein, Prog Metal, colonna sonora e musica ebraica (comunque tanto!!)
 
Davide
So che hai una predilezione per Alice Cooper, uno dei più importanti esponenti – se non il creatore – dello shock rock. Quindi sei nondimeno attratto dalla narrativa horror?
 
Enzo
Alice Cooper è stato il primo rocker a penetrare la psiche umana fino alle radici della suspence, del rischio e di una sorta di autolesionismo comuni un po’ a tutti gli esseri umani. Forse neanche lui sa di aver fatto questo. Di fatto Cooper è uno che ha esplorato, poi teatralizzato, aspetti reconditi delle nostre follie inconscie. Quelle follie sono ciò che davvero ci spaventa, se è vero che abbiamo paura dell’uomo cattivo perché, in realtà, abbiamo paura di ciò che di noi ci sfugge.
Il metal, grazie a chi come Cooper, è stato esattamente questo, al di là di tutte le scemenze che si dicono su metal e satanismo.
Sono cristiano, ma non disapprovo chi tratta argomentazioni macabre a scopo spettacolarizzante: è arte, è la stessa cosa che fa ogni comune thriller.
Purtroppo bigotti ce ne sono tanti in giro e, ahimè, anche il disprezzo per il Christian Metal, da parte di molti giovani metalheads, è un bigottismo all’incontrario. Se proprio nel metal ci fosse più tolleranza verso idee e fedi diverse, daremmo sì un gran bello scacco matto a tutti i cristianucci bigotti e repressi!
Quindi la narrativa horror mi piace eccome. La vivo, mi diverte e le dò un punto quando torno alle cose serie della mia vita.
 
Davide
Cosa seguirà?
 
Enzo
Innanzitutto un sacco di casini (ride). Giornalisti e fans mi contattano spesso sperando in progetti live e dovrò essere abile a radunare tutte le guests, o parte di esse, sul palco. L’idea c’è ed è anche condivisa dagli ospiti. Per ora stiamo valutando agenzie ed enti in grado di sfruttare eventuali coincidenze di date e luoghi nelle varie tournée di ciascuno. Qualcosa dovremmo pur riuscire a fare.
Intanto la canzone “Maybe You” (una delle più apprezzate dell’album) è diventata prestanome di una campagna di sensibilizzazione per la società “We Are”, che sta coraggiosamente inviando soccorsi al popolo siriano vittima di guerriglia.
Tutto lo staff di Enzo and the Glory Ensemble approva questa iniziativa, che già soddisfa il sottoscritto più di cento concerti.
 
Davide
Grazie e à suivre…
 
Enzo
à suivre…

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