KULT Underground

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Hyperversum Next – Cecilia Randall

10 min read
 
 
Collana Waves
f.to 14×21,5 cm – pp. 480 – euro 16,00
disponibile anche in ebook euro 9,99
 
IN LIBRERIA DAL 13 GENNAIO 2016
 
ERA IL 2006: CECILIA RANDALL INVENTAVA IL MONDO DI HYPERVERSUM.
AVVENTURA, AMORI, REALTA’ PARALLELE E VIRTUALI SONO GLI INGREDIENTI CHE HANNO RESO LA SAGA UN CULT. IN QUATTRO ANNI HA CONQUISTATO OLTRE 180.000 LETTORI.
DIECI ANNI DOPO, IL MONDO DI HYPERVERSUM RITORNA.
 
La Storia. Phoenix, Arizona, futuro prossimo. Alexandra, furiosa perché l’ennesimo brutto voto in fisica la costringe sui libri, rinunciando al primo agognato appuntamento con Brad, si aggira come un animale in gabbia nella biblioteca del padre Daniel, fino a che un antico volume miniato non attrae la sua attenzione. Non l’ha mai visto, come fosse un segreto attentamente custodito. All’interno, un enigmatico biglietto e una password. Alex accende il computer del padre e scopre un’antiquata versione di un video­gioco di culto: Hyperversum, celebre per la veridicità con cui sa ricreare l’ambientazione medievale. La tentazione è forte. Alex avvia il gioco e si crea un avatar.
Clois, Francia nord-occidentale, XIII secolo: Alex si aggira nel cuore di un animato villaggio, ammirando stupita la ricostruzione in dettaglio di botteghe, vicoli e personaggi, ma presto il gioco si trasforma in un incubo. Il medioevo 3D ricreato da Hyperversum si fa vero e tangibile e Alex non sa come tornare nel proprio tempo.
Presto scoprirà di essere in pericolo di vita, giovane donna che deve imparare a muoversi in mezzo a intrighi e scontri all’arma bianca, ma anche a gestire il proprio rapporto con Marc, figlio inquieto e affascinante del Falco del Re.
 
Cecilia Randall, nata a Modena, adora i romanzi e il cinema d’avventura in tutte le accezioni possibili, dal fantasy al mystery e alla fantascienza, ma anche fumetti e cartoni animati, l’archeologia, la storia e i giochi di ruolo. E sono proprio queste sue passioni che le hanno permesso di creare la saga di Hyperversum che l’ha imposta all’attenzione del pubblico con un successo straordinario testimoniato da oltre 180.000 copie vendute. Per Giunti sono usciti: Hyperversum IHyperversum II – Il Falco e il Leone e Hyperversum III – Il Cavaliere del Tempo. Dopo aver pubblicato con Mondadori Gens Arcana, romanzo fantastico ambientato nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, e Millennio di fuoco, un dittico composto dai due volumi Seija e Raivo, ha ora deciso di tornare a Hyperversum, l’universo narrativo che il suo pubblico ha amato di più, con una storia autonoma, pienamente godibile anche da chi entri per la prima volta in questo mondo.
Il suo sito ufficiale è: www.ceciliarandall.it
 
Da Goodreads.com
«Ho sofferto con i personaggi… e questo credo che solo un buon libro possa farlo»
«La trama è perfetta, a incastro, dove tutto poco alla volta comincia a tornare»
«I personaggi realmente esistiti si mescolano con assoluta naturalezza con quelli inventati»
  
 
Di seguito potete leggere il quinto capitolo del romanzo



 
 
5
 
 
 

 

          Phoenix, Arizona, Stati Uniti d’America
          7 maggio, futuro prossimo, ore 13:08

 

 

Che gioco insulso. Erano già passati venti minuti e non era successo ancora niente.
          All’inizio Alex aveva osservato con curiosità ogni aspetto di quel villaggio medievale ricreato dal computer con tanta cura: le vie strette sulle quali si affacciavano botteghe aperte e addobbate per quello che sembrava un giorno di festa; i monelli che giocavano negli spiazzi accanto alle case; le donne sedute sulle soglie a ricamare o accudire i bambini in fasce. Per le strade andavano e venivano uomini a piedi, con muli o cavalli tenuti per le briglie. Alcuni trainavano carretti. Alla chiesa si preparava la piccola processione per la festa del santo patrono e lì molti uomini portavano una specie di saio e mantelli scuri con il cappuccio sulla testa. Alcuni avevano maschere grottesche e tutti tenevano grossi ceri in mano.
          Tutto molto pittoresco, d’accordo, ma mortalmente noioso per un videogioco. Alex faceva vagare il suo avatar per quel villaggio finto e non capiva cosa ci trovasse suo padre di tanto divertente. Sbuffò, mentre si sedeva sul gradino di una porta chiusa, all’angolo di un vicolo meno trafficato. Con qualche piccolo gesto delle dita nei guanti di fibra ottica, fece in modo che l’avatar appoggiasse i gomiti sulle ginocchia piegate.
          Non era stato difficile imparare a muoverlo: in fondo quella versione di Hyperversum non era diversa da tanti altri videogiochi 3D e lei ne aveva provati diversi, quindi sapeva come destreggiarsi.
          Certo, doveva ammettere che il mondo virtuale di Hyperversum era davvero realistico, molto meglio delle ambientazioni di videogame ben più moderni. Sarebbe sembrato vero, se il giocatore avesse potuto avere anche il senso del tatto, dell’odorato e dell’olfatto, perciò non c’era da stupirsi se il gioco aveva riscosso tanto successo fin dalla sua prima versione. Il fatto però che continuasse a non accadere niente lo rendeva una palla assurda.
          Alex si ricordò di aver cambiato la data e il luogo della partita. Forse era finita in un posto neutro durante un momento di calma: i videogiochi di ruolo ne avevano sempre qualcuno, per consentire ai neofiti di imparare a usare i personaggi senza farli ammazzare al primo colpo. Purtroppo, si era dimenticata la città impostata da suo padre nella partita originale e non aveva voglia di consultare le statistiche. Cercò tra la folla qualcosa che potesse farle venire in mente un’idea, ma con scarso successo.
          Ci fu un rumore in fondo al vicolo. Un gruppetto si fermò vicino a una delle ultime case, fatta di pietra rosata: quattro uomini, due dei quali procedevano a piedi, gli altri a cavallo. I due a piedi si misero ai lati della porta d’ingresso. Avevano un atteggiamento da guardie del corpo e Alex drizzò le orecchie, speranzosa. Non si mosse, studiò gli uomini di sottecchi e notò che portavano i mantelli lunghi, di colore scuro, come i fedeli nella processione del patrono, ma avevano un’aria piuttosto bellicosa mentre si guardavano intorno.
          Cercò di vederli in faccia, ma non ci riuscì perché tenevano le spalle girate verso di lei o i cappucci calati sulla fronte. L’ultimo a scendere da cavallo si girò per qualche secondo ma mostrò soltanto i lineamenti rigidi di una maschera di cuoio. Sotto il mantello non indossava un saio, ma abiti scuri e una spada.
          Finalmente. Ecco la mia avventura, pensò Alex, fingendo di non interessarsi alla scena.
          I due arrivati a cavallo entrarono nella casa. Gli altri due rimasero a sorvegliare la porta, ma non s’impensierirono per la presenza dell’avatar di Alex, giudicandolo innocuo, o forse pensando che stesse dormendo nell’ombra fitta del vano della porta.
          Un contadino con un mulo carico di sacchi svoltò nel vicolo provenendo dalla strada principale. I due guardiani fecero subito finta di parlare tra loro per non dare nell’occhio e Alex ne approfittò. Simulò di essere stata svegliata dal passaggio del contadino col suo animale e si alzò in piedi per incamminarsi dalla parte opposta rispetto ai loschi figuri. Quando ebbe svoltato l’angolo, si guardò intorno lungo la strada e trovò un vicolo parallelo al precedente. Lo percorse in fretta fino a individuare il retro della casa rosata. Da quella parte l’edificio aveva solo due finestre nel piano rialzato, entrambe senza vetri e con le imposte aperte.
          Alex sorrise. La superficie della parete era irregolare, con grosse fessure tra una pietra e l’altra: un gioco da ragazzi per chi scalava a mani nude pareti da free climbing quasi ai massimi livelli di difficoltà. E, ovviamente, quell’abilità nello scalare era una delle prime caratteristiche fornite al suo avatar al momento della creazione, alla faccia dei divieti che i suoi genitori le facevano nella vita reale.
          Andiamo a vedere cosa fanno i Mister X.
          Impiegò un paio di minuti per arrampicarsi e arrivò a un davanzale, montandovi sopra.
          Un’arrampicata da manuale, magari potessi farlo anche nella realtà.
          Entrò in una grande stanza deserta, piena di armadi e scaffali. Sui ripiani in vista giacevano in disordine pergamene, pacchetti, boccette e sacchetti di tela grezza, contenitori vuoti e ciotole di terracotta impilate. Dall’altra parte della stanza c’era una porta chiusa.
          Sembra un laboratorio, considerò Alex. Ne ebbe la conferma quando trovò un mortaio e una piccola bilancia a contrappeso. Vedendo erbe essiccate, polveri variopinte e piccoli animali mummificati nei vasetti chiusi, capì di essere nella stanza di uno studioso o di uno speziale. Nei libri aperti sul tavolo spiccavano illustrazioni di piante ed erbe.
          Al centro della stanza troneggiava un tavolo di legno consunto, ingombro di altre carte, volumi aperti, una lampada spenta e un piccolo scrigno di legno, in cui erano sistemate su più strati boccette di vetro sigillate con tappi di sughero e cera. Ciascuna era arrotolata in uno strato di foglie secche, forse per evitare che si rompesse nel trasporto. L’avatar di Alex ne prese una e tolse le foglie per guardare il contenuto: era piena di un liquido incolore che sembrava semplice acqua.
          Da sinistra provenivano i rumori della strada, attraverso una finestrella tra due armadi massicci, affacciata sul tetto di legno delle botteghe in fondo alla via. Guardando giù Alex notò il via vai degli acquirenti, un capannello di donne intente a chiacchierare, un ragazzo alto con il cappuccio sulla testa, che passava conducendo per le briglie un cavallo nocciola, dalla criniera chiara.
          Voci fuori dalla porta. Stava arrivando qualcuno. La serratura scattò.
          Alex calcolò di non avere tempo per riavvolgere la boccetta nelle foglie e rimetterla al suo posto. Infilò tutto nella scarsella in cintura, sperando che nessuno ne notasse l’assenza, chiuse lo scrigno e cercò un nascondiglio. Ebbe fortuna: uno dei due armadi era mezzo vuoto e senza mensole. L’avatar fece appena in tempo a rintanarsi prima che la porta della stanza si aprisse.
          Adesso sì che diventa eccitante.
          Alex aveva il batticuore nonostante fosse in un’avventura virtuale. Fece in modo che l’avatar avvicinasse l’occhio al buco della serratura e, attraverso lui, osservò quello che accadeva nella stanza.
          Il primo a entrare fu un ometto grasso, vestito con abiti sgualciti ma pretenziosi. Portava un berretto di broccato sulla testa calva e aveva occhi bovini e una faccia untuosa. Doveva essere lo speziale, visto che in mano teneva le chiavi di casa.
          Dietro di lui, entrarono i due uomini arrivati a cavallo con la scorta. Il primo abbassò quasi subito il cappuccio, mostrando una faccia lunga e spigolosa, capelli scuri fino alle spalle. L’altro invece mantenne il cappuccio e la maschera. La bocca di cuoio non aveva fessure, forse per camuffare anche la voce.
          Lo speziale guidò gli ospiti fino al tavolo e posò la mano sullo scrigno. «Voilà, monsieur[1]» disse in francese all’uomo con la maschera. «À l’heure, comme j’avais promis.[2]»
          Alex notò che il gioco Hyperversum Next non traduceva i dialoghi principali, oltre alle voci di sottofondo. Suo padre non aveva impostato la modalità di lingua inglese, ma aveva lasciato che i PNG parlassero con la lingua del paese in cui aveva luogo l’avventura.
          Lo farà per tenersi in allenamento? si domandò. In ogni caso si rallegrò di essere così brava nella lingua che amava tanto, perché capiva ogni parola senza difficoltà.
          L’uomo con la maschera aveva preso in mano una boccetta per osservarne il contenuto. «Siete sicuro che funzionerà?» domandò, severo, sempre in francese. «Non intendo correre rischi con le vostre strane misture.»
          «Funzionerà, ve l’assicuro» rispose lo speziale e sulle sue labbra si disegnò un sorrisetto subdolo. «Avete visto come agisce.»
          «E se non fosse sufficiente?» domandò il terzo uomo. «Se non dovesse morire subito?»
          Alex trattenne il fiato.
          «Basterà che si ferisca gravemente, al resto penserò io» rispose l’uomo mascherato. «I medici sbagliano e non sempre salvano la vita ai feriti. Qualche provvidenziale complicazione durante le cure mediche ci toglierà il problema, anche se la pozione dovesse fallire.» Arrotolò di nuovo la boccetta con cura nelle foglie e la ripose nello scrigno, richiudendolo. «D’altra parte non posso più aspettare. Devo sbarazzarmene finché è giovane e senza eredi. Tra qualche mese potrei non averne più l’occasione.»
          Il suo accompagnatore rimase in silenzio.
          Lo speziale ascoltò senza il benché minimo turbamento.
          «Siete davvero una volpe, signore, lasciatevelo dire» esclamò.
          «Chiunque sia la vostra vittima, sono certo che nessuno capirà mai cosa è successo davvero. Sarete letale e non lascerete tracce.
          Penseranno tutti a un incidente.»
          L’uomo mascherato lo ammonì: «Ricordate che voi non mi avete mai visto».
          «Certo, signore. Avrete notato che io non faccio mai domande ai miei clienti, nemmeno quando si presentano in incognito come voi. Per quanto mi riguarda, nessuno mi ha mai chiesto queste boccette.»
          L’uomo mascherato sembrò convinto. «Paga quest’uomo» ordinò al compagno. Nascose lo scrigno sotto il mantello e se ne andò.
          Lo speziale lo salutò con un inchino, ma si sfregava le mani in attesa del pagamento. Il terzo uomo lo raggiunse di lato, prima ancora che finisse di raddrizzare la schiena. Aveva un’espressione di pietra. Estrasse un coltello e gli tagliò la gola.
          Alex si coprì la bocca con la mano.
          Lo speziale cadde sul pavimento, con gli occhi sbarrati fissi sul suo assassino. Mosse le labbra ma ne uscì soltanto un gorgoglio.
          Il sangue schizzò dappertutto, mentre il corpo sussultava in preda alle ultime convulsioni. Alex ne sentì l’odore acre e provò l’impulso di vomitare. Di colpo fu assalita dalle vertigini. Subito dopo prese coscienza delle sue sensazioni.
          Sentiva davvero l’odore del sangue e quello dei composti chimici della stanza. Toccò l’anta dell’armadio e le dita incontrarono il legno ruvido. Il peso del corpo gravava sulle gambe rannicchiate. Si portò le mani alla faccia. Il visore 3D non c’era più.
          Lo sbigottimento lasciò il posto al panico. Alex premette le mani contro le pareti e si sentì soffocare. Era prigioniera in un armadio vero, nella stanza in cui era appena stato commesso un omicidio.  

[1] Ecco, signore.

[2] In tempo, come avevo promesso.

 


 
Giunti Editore
 
Capitolo concesso per la pubblicazione esclusiva in anteprima a kultunderground.org
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