Dune è il primo passo di questo organico: “Dune è suonato da una nuova formazione, con tutto ciò che comporta dal punto di vista sia della ricerca timbrica che degli obiettivi che si propone di raggiungere. Abbiamo allargato il campo d’azione verso nuovi suoni rappresentati dalla armonica/fisarmonica di Max e dalle percussioni di Francesco, dialoghiamo col jazz più raffinato e lanciamo ponti verso sonorità originali che superano frontiere e pregiudizi. Il fraseggio suonato dall’oud di Elias si fonde con le ance libere di Max, il clarinetto basso di Ermanno sostiene le frequenze più profonde insieme alla cassa della batteria e la fisarmonica introduce quella “terza dimensione” armonica che la tradizione del vicino/medio oriente non conosce”. Brani popolari e colti di tradizione afgana, turca e turco/rom, pezzi originali, la popolare Nihawend Lunga di Tamburi Cemil Bey in apertura: Dune si nutre di svariate suggestioni dovute anche all’uso di timbriche peculiari e seducenti come oud, balaban, furulya, bass harmonica, hang etc. e oltre al dialogo come obiettivo centrale del progetto, mostra anche lo scambio prettamente strumentale tra i membri del quartetto, con un occhio all’improvvisazione e la partecipazione in due episodi del percussionista Emanuele Le Pera.
“L’arte e la società civile sono sempre state avanti rispetto al sentire politico/istituzionale. Esiste già un nuovo mondo nel quale gli uomini si riconoscono nella loro umanità e non si discriminano per provenienza o colore della pelle, però mancano la forza e la cultura diffusa in grado di vincere pregiudizi, interessi e calcoli meschini. Forse musiche come la nostra – dallo sguardo rigorosamente laico – possono accelerare questo processo di integrazione tra culture che spesso la politica vuole tenere distanti. È proprio il dialogo il nostro principale obiettivo!”. Sono le parole di Ermanno Librasi, musicista sempre attivo nel confronto interculturale, che immagina qualcosa di molto alto, che possa superare il contributo dei singoli musicisti per creare un incontro, un riconoscersi, un dialogo.
Sharg Uldusù 4Tet:
Ermanno Librasi: metal & bass clarinet, balaban, furulya
Max De Aloe: chromatic & bass harmonica, percussion
Elias Nardi: oud
Francesco D’Auria: drums, percussion, hang
Info:
Sharg Uldusù:
Abeat Records:
Ufficio stampa Synpress44:
Intervista con Ermanno Librasi
Davide
Ciao Ermanno. Cosa vuol dire Sharg Uldusù e in quale lingua? Perché questo nome?
Ermanno
Sharg Uldusù vuol dire “Stella d’Oriente” in lingua Azera (Azerbaijan). È il nome che nel 2001 abbiamo dato al primo trio formato da me, Fakhraddin Gafarov (virtuoso di Tar proveniente da Baku) e Darioush Madani (percussionista di Teheran), successivamente rimpiazzato da Zakaria Aouna di Rabat (Marocco). È stato un incontro fortunato quello che ha dato vita a questa prima formazione che da subito ha proposto al pubblico europeo un ricercato repertorio proveniente dal vicino e medio Oriente registrando anche 3 dischi. Tanti anni e tanti musicisti sono passati ma il nome ho voluto che restasse.
Davide
Il titolo “dune” mi ha fatto subito venire in mente il fenomeno affascinante delle cosiddette “dune canterine”, il suono del deserto. In che modo la musica assomiglia alle dune di sabbia, coi suoi continui spostamenti e ridimensionamenti dipendenti dalla direzione e forza del vento? Perché “Dune”?
Ermanno
In realtà il cd registrato da Sharg Uldusù 4Tet deve il suo titolo al brano che ho composto e che fa da title track. Una volta scritto il pezzo ho avuto la sensazione che l’andamento melodico facesse pensare alla dolcezza delle linee che le dune disegnano all’orizzonte e che ho potuto ammirare in pieno deserto del Sahara nel mio primo viaggio in Algeria alla fine degli anni settanta.
Davide
Una strumentazione davvero interessante, che include anche un flauto azerbaigiano (o azero) come il balaban e il furulya, di cui non avevo mai sentito parlare prima (anzi, ne approfitto per chiederti notizie su questo flauto). Poi l’oud di Elias Nardi, lo hang e via dicendo. Che significato ha per voi esplorare e proporre strumenti (quanto meno da noi) poco conosciuti?
Ermanno
Sharg Uldusù 4Tet è composto da musicisti eclettici che hanno un forte interesse per la ricerca timbrica. Ognuno di noi, oltre alla formazione avvenuta studiando strumenti classici (come il clarinetto per me, il contrabbasso per Elias, il pianoforte per Max e le percussioni per Francesco), ama esprimersi artisticamente attraverso sonorità originali appartenenti anche ad altre culture musicali.
È il bisogno di comunicare che ci spinge a sperimentare nuove sonorità che sorprendono prima noi stessi che il pubblico alle quali le facciamo conoscere.
A proposito degli strumenti che menzioni:
il Balaban non è un flauto ma un Duduk dell’Azerbaijan cioè uno strumento a doppia ancia;
il Furulya è molto diffuso nella musica tradizionale ungherese ed è, questo si, molto simile al flauto rinascimentale ma, al posto di avere il “becco”, ha l’imboccatura tronca per permettere al musicista di emettere, insieme alla melodia dello strumento, anche suoni gutturali di accompagnamento.
Oud, Hang, Armonica bassa (una vera rarità) e altro ancora (magari nei prossimi lavori ci saranno novità dal punto di vista timbrico) sono il corredo necessario per chi ama sperimentare nuovi linguaggi musicali.
Davide
Come si è incontrato e formato questo organico e con quali obiettivi artistici? È inoltre un organico aperto e variabile rispetto ad altri progetti futuri?
Ermanno
L’origine del “marchio” Sharg Uldusù è quello che ti ho sopra descritto e che resta oggi come Ensemble S.U., trio formato da me, Elias e Zakaria che continua a proporre un repertorio tradizionale che va dalla Turchia al Marocco.
Nel 2012 siamo stati contattati da Max De Aloe che ci ha proposto l’apertura del X° Gallarate Jazz Festival e, contestualmente, una lezione/concerto sulla musica del medio oriente per le scuole superiori della città
Facile immaginare le nostre perplessità di fronte all’ offerta di suonare per un pubblico di jazzofili, noi che eravamo abituati ad esibirci in concerti e festival folk, etno e world.
Naturalmente accettammo la sfida e la serata diede ragione al bravo e coraggioso Max: il jazz-ascoltatore ha una marcia in più per apprezzare nuovi percorsi sonori che, comunque, con la musica d’oltre oceano condividono la capacità improvvisativa, tipica di tutte le culture musicali extra europee.
Nacque così un forte interesse collaborativo che portò alle prime esibizioni di Sharg Uldusù & Max De Aloe e alla idea di registrare un disco che fosse la fusione (crossover) di trad. medio orientale e jazz.
L’ingresso di un percussionista magico come Francesco D’Auria ha fatto il resto dando vita a Sharg Uldusù 4Tet.
Il nostro obiettivo dichiarato è mettere in comunicazione culture solo apparentemente lontane ma che hanno da sempre condiviso quella incredibile “agorà” che si chiama Mediterraneo… nel bene e, purtroppo oggi vediamo ogni sera al telegiornale, anche nel male.
Il 4Tet è una formazione che, spero, resterà unita anche nei prossimi progetti cercando, come è nella nostra natura, collaborazioni e condivisioni a 360° gradi.
Davide
Perché avete scelto un brano del repertorio del grande virtuoso ottomano di tambur Cemil Bey nonché motivi della tradizione afgana e turca?
Ermanno
Quando abbiamo deciso di registrare il nostro primo lavoro in Quartetto era chiaro fin da subito che avremmo inciso sia brani tradizionali che originali. Quelli trad. provengono dal repertorio dell’Ensemble e sono stati reinterpretati alla luce dell’incontro con Max e Francesco.
Davide
Il tuo brano “Dune”, bellissimo, rievoca il duduk e le composizioni di Djivan Gasparian. Kaleidos rievoca invece la musica greca e il mandilatos e avanti. Come avete integrato le vostre composizioni originali alla musica tradizionale medio-orientale e mediterranea e con quale spirito esplorativo/comunicativo?
Ermanno
I brani originali presenti in “Dune” sono stati scelti proprio perché fortemente influenzati dalla tradizione mediterranea. I mie due, Dune e Kaleidos, sono stati pensati proprio come dici tu… immaginando colori e paesaggi tipici che vanno dall’Armenia di Gasparian all’Egeo che sta tra Grecia e Turchia. Il pezzo di Max era stato composto in origine per sola armonica cromatica e loop e questo ci ha consentito di arrangiarlo in modo davvero originale. Elias ha scritto Fil Hadika (“Nel Giardino” in arabo) per il suo primo disco e infine, quello di Francesco, solo Hang, è una libera improvvisazione molto evocativa che potrebbe appartenere a chissà quale tradizione visto che questo strumento è stato inventato da una svizzero, suona come la Steel Drum caraibica e, nel nostro repertorio, evoca sapori orientali.
Davide
Cosa vuol dire avere uno “sguardo laico” sulla musica?
Ermanno
Quando si suona musica proveniente da aree geografiche fortemente condizionate dalla religione è meglio mettere le mani avanti: l’arte è una cosa, la fede un’altra!
Amare quei suoni, imparare ad usarne gli strumenti, conoscere i ritmi e le danze significa abbracciare e condividere valori estetici di un mondo non così lontano dal nostro come oggi, purtroppo, ci appare.
Davide
Sempre più difficile (e in particolare in Italia) vivere con la propria musica, specialmente se questa è “di qualità”. “Meglio suonare Chiquita Banana e avere la mia piscina che suonare Bach e morire di fame” disse una volta Xavier Cugat. Cosa ne pensi?
Ermanno
Per quello che mi riguarda ho sempre cercato di suonare quello che mi piace, che mi appassiona, senza alcun compromesso. Per questo, per non finire i miei giorni sotto un ponte a chiedere l’elemosina, faccio l’insegnante di musica nella scuola media da 35 anni, una professione che non ha mai smesso di piacermi, soprattutto quando, chiusa la porta dell’aula, restiamo solo io, i ragazzi e Bach!
Davide
Beethoven scrisse che “la musica è una rivelazione, più alta di qualsiasi saggezza e di qualsiasi filosofia”. Cos’è per te?
Ermanno
Una delle principali ragioni per cui vale la pena vivere.
Davide
Cosa seguirà?
Ermanno
Sono appena tornato dalla Valtellina dove ho parlato del nuovo progetto con Giovanni Busetto, ideatore e organizzatore di Ambria Jazz, un festival che si sta facendo conoscere per qualità e notevole partecipazione di pubblico e che ci ha sostenuto fin dall’inizio proponendoci concerti e contributi per il nostro lavoro discografico.
Si chiama “Appunti di Viaggio” ed è uno spettacolo multimediale al quale ho lavorato negli ultimi anni.
Ci saranno i musicisti che suoneranno dal vivo su suggestioni registrate in studio, sincronizzate con immagini illustrate e video di viaggio in medio oriente proiettate su schermo cinematografico e una ballerina che darà fisicità alla scena…
Non voglio anticipare altro per scaramanzia e perché, al momento, sto aspettando la piena adesione da parte degli altri componenti del 4Tet ai quali ho sottoposto l’idea.
Davide
Grazie e à suivre…
Ermanno
Grazie a te per aver formulato domande molto pertinenti e stimolanti da ascoltatore attento e competente.