Ognuno di noi è naturalmente portato a credere che ci sia un destino a cui dobbiamo assolvere, un disegno di come sarà la nostra vita, indipendentemente dal libero arbitrio, e che le decisioni che prendiamo siano guidate da mani invisibili che ci immettono sulla strada per noi scelta alla nascita. Spesso, però, dimentichiamo che la vita di ciascuno di noi non è avulsa dalle nostre scelte personali, dalla nostra personalità, unica e irripetibile, dalla nostra famiglia, dallo stile di vita, dai principi e dagli insegnamenti che quest’ultima trasmette, che siamo sottoposti e sottomessi ai giudizi altrui e che, volenti o nolenti, consapevoli o meno, siamo influenzati dal contesto sociale in cui viviamo. Ciò non toglie che ognuno di noi, e forse è questo quel destino a cui si accennava, fa il suo ingresso nel mondo con delle attitudini e delle tendenze che determinano, per forza di cose, il nostro modo di comportarci e le nostre scelte costringendo la società a classificarci in questa o quella categoria. Una teoria che smentisce, quindi, l’idea che tutti nascono buoni. Il bambino dispettoso, cattivo, attaccabrighe, con una famiglia disgregata alle spalle, una madre assente e un padre che compra i favori altrui con il denaro, viene considerato un futuro delinquente. Di contro, il bambino ubbidiente, socievole e generoso, con una famiglia che, nonostante le difficoltà, cerca di stargli vicino, di interpretare i suoi stati d’animo, viene immaginato come un adulto responsabile, un padre di famiglia per bene immerso in una brillante carriera lavorativa. Certo, non è la regola, ma neanche l’eccezione. Ogni bambino, ogni essere umano, nasce con delle caratteristiche positive e negative, e ciò che fissa il dominio delle une sulle altre sono sia le caratteristiche psico-attitudinali dell’individuo che gli stimoli esterni che si riversano su di esso: la famiglia e la società. Questo, in sintesi, è il messaggio trasmesso dal romanzo L’escluso (Lettere Animate, p.114, 1,99 €) di Maria Clausi. Un libro che, attraverso il racconto della vita di Alfredo, punta l’obiettivo sul bullismo nelle scuole, esercitato non solo fra coetanei, ma anche dagli adulti verso gli studenti. E’ un testo che parla di depressione e problemi comportamentali, di sofferenze che spaziano dalla solitudine, alle cattive compagnie, dai disturbi alimentari a quanto facilmente i giovani del sud possono cadere nelle mani della mafia e fare una brutta fine. L’opera, con uno stile scorrevole e semplice ma con qualche imprecisione stilistica, parla anche della voglia, spesso minata dalla paura e dalla mancanza di sostegno e comprensione da parte di chi, in realtà il sostegno avrebbe il dovere di darlo, di denunciare e combattere contro le ingiustizie, contro la violenza gratuita e l’indifferenza. Più che per la forma, questo romanzo è significativo per i contenuti, i messaggi che vuole filtrare ad una società come la nostra, al Nord come al Sud. Troppe volte si preferisce pensare al proprio piccolo orticello nel presente, piuttosto che pensare al futuro, a come ingrandire il proprio orticello per garantire una vita dignitosa a tutti unendo le forze. Una società dove il tutto, superficiale e subito è sempre meglio del qualcosa di concreto e utile in futuro.
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