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Autobiografia in do minore – Giuseppe Bonaviri

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Racconto discoordinata sopravvivenza
con una nota di
Anna Grazia D’Oria
e un insertofotografico
Manni Editori
Narrativaautobiografia
Collana Pretesti
Pagg. 128
ISBN 88-8176-844-5
Prezzo € 14,00
 
Ritorno a casa
 
“Evviva l’altopiano di Camuti che mi videbambino. Cominciai a scrivere poesie all’età di nove anni, adeguandomi alleconsuetudini della famiglia e del mio paese, Mineo, dove gli abitanti inmaggioranza erano poeti vernacoli, in gran parte analfabeti, contadini poveri,raccoglitori d’ulive, venditori d’acqua, pietraroli, calzolai, barbieri, sarti,guardiani di buoi, o caprai, e camposantari e artigiani che, per il loromestiere, erano portati a fare delle considerazioni sulla fugacità di ognicosa.
Ma la verità è una: debbo fare tutto da me,non ho un gatto, o una formica che mi aiutano. E la mia solitudine, cheamministro e cerco di superare da solo, mi spunta come ombra sempre davanti. Main questo c’è un grande mio gioco fra narcisistico e retorico e infantile.” 
 
Che cosa può spingere un uomo a scrivere lapropria autobiografia? I motivi possono essere diversi, ma soprattutto due,ciascuno dei quali non esclude l’altro: la necessità di ripensare alla propriavita, facendo emergere la memoria del passato, oppure lasciare una tracciadella propria esistenza, affinché altri sappiano,  consentendo in tal modo dilimitare gli effetti della propria morte con il ricordo di sé.
Ora credo che Bonaviri, giunto a una certaetà in cui più inevitabilmente si pensa a quell’ultimo passo, abbia intesosoprattutto guardare all’indietro, lui che ormai viveva da tantissimi anni aFrosinone, lontano da Mineo, dal quel paese che nell’arco delle sue narrazioniha assunto sempre più la simbologia di un paradiso lasciato e non perduto.
Che abbia scritto questo libro soprattuttoper se stesso trova un’indiretta conferma nelle poche annotazioni relative aglianni più recenti, mentre lo svolgimento del tema è focalizzato in un tempomolto più lontano, quello della giovinezza, il cui ricordo resta vivo, anche sevelato da una vena di malinconia, del tutto naturale in un anziano.
L’esercizio della memoria, attuato in unaforma che sembra quella della narrazione orale, con ritorni, rimandi, anchealcune ripetizioni, si innesta nel presente solo con annotazioni per la fatica,legata all’età, al caldo, oppure per un pessimismo esistenziale (“La vita ètutta un giro di nascite e morti; vale la pena viverla?”) proprio dell’età,di chi non potendo rivolgersi al futuro guarda al passato.
E’ anche il momento di confessioni, inparticolare una, forse prima mai enunciata neppure a se stesso, e che offremirabilmente la misura della condanna di uno scrittore, autentico, perché nelloscrivere per sé scrive per gli altri e non viceversa,  visionario, mapragmatico, perché la sua fantasia mostra quale è la vera realtà,naturalistico, poiché consapevole di essere solo un piccolo tassello delmosaico della vita:  “in questa opaca terra, scrivere per me, oltre chemaledizione ereditaria, è stato solo salvezza dalla solitudine in cui hovissuto e vivo“.
L’uomo è sempre solo, ma uno scrittore comelui ancora di più, ed è quella solitudine appena lenita dagli affetti familiariche spinge a cercare il bandolo di una matassa, quale è l’esistenza, anche seconsapevoli che non si riuscirà mai a trovare.
Ho scritto prima che questo libro sembrapiù la registrazione di un racconto orale, come se il lettore si trovassedavanti allo scrittore che parla di quel che è stata la sua vita, e come capitain questi casi non seguendo un preciso filo logico, se non all’inizio, quandomolto opportunamente ci dice del suo albero genealogico, o meglio dei suoi duealberi, quello dell’ulivo per parte materna e quello del mandorlo perl’ascendenza paterna.
I componenti delle famiglie, nella secondametà del 1800 e all’incirca fino alla fine della seconda guerra mondiale, eranoassai numerosi, e quindi è un fiume in piena di bisnonni, di zii e di cugini, aognuno dei quali Bonaviri cerca di riservare, per quel che rammenta, una piccolastoria o almeno un cenno.
In ogni caso il centro dell’attenzione èsempre Mineo, con l’altopiano di Camuti, e non mancano anche quelle invenzionidi prosa poetica che sono una delle caratteristiche più esaltanti delloscrittore (“I tuoni bofonchiavano, fuori” della porta di casa stangata, “erimbalzavano, schiantandosi, di valle in valle”.), parole che si fannoimmagini e di una forza tale da restare impresse nella mente anche da chi mai èstato in quel luogo.
Mineo, il paese dei poeti, un rifugiosicuro a cui pensare nei momenti più bui, durante i periodi di depressioneansiosa, frutto sì di una predisposizione, ma anche di un lungo periodo di durolavoro all’ospedale; queste case arroccate diventano così un mito, un sorta diparadiso perduto, ma recuperabile, anche se ciò che appare inveceirrecuperabile è il periodo spensierato di quella giovinezza  in cui si vivevail presente, si nutrivano speranze per il futuro, senza pensare al passato.
Non c’è tristezza, tuttavia, perché la vitaè così e anzi Bonaviri innesta anche episodi curiosi e ilari, soprattuttorelativamente al periodo trascorso a Catania quando studiava al Liceo eall’Università. C’erano la guerra e pochi soldi, mancavano le case e la ricercadi una pensione dove alloggiare era quasi una Via Crucis, ma si era ancoragiovani, pieni di speranze e si aveva la forza e il coraggio di ridere sulleproprie miserie. Poi, mano a mano che l’età aumenta, che si entra in quelgirone quasi infernale che  è la società costituita, in cui ognuno è chiamato arecitare il proprio ruolo, le cose cambiano e così anche Giuseppe Bonaviridiventa il dottor Bonaviri, che nel parlare dei parenti scomparsi ne scrivequasi le cause della morte, anzi sembrano veri e propri referti, con associazionidi alcuni decessi tese anche a dimostrare che certe malattie, comel’ipertensione, sono proprie di un codice genetico, che si trasmette da padrein figlio.
Il Bonaviri medico è quello che ha lasciatoMineo, il Bonaviri scrittore è quello che con il cuore è rimasto a Mineo.
Autobiografia in do minore è un canto all’etàd’oro della giovinezza ed è semplicemente un capolavoro.
 
Giuseppe Bonaviri, nato nel 1924 a Mineo, in provincia di Catania, è scomparso nel 2009. Primo di cinque figli di un sarto,Bonaviri ha vissuto per anni a Frosinone dove ha esercitato la professione dimedico. Fra le sue opere più note: Ilsarto della strada lunga, Il fiume di pietra,  La divina foresta, Nottisull’altura, L’enorme tempo, Silvinia, L’infinito lunare,  Il dottor Bilob,L’incredibile storia di un cranio, Il vicolo blu, Autobiografia in do minore.

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