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SIGUR RÓS – TAKK

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SIGUR RÓS – TAKK

 

 

Takk is probably richer than the other albums. We’re always learning. When we made Von we had to learn how to use the recording equipment because we wanted a certain sound and mood to come forth in the recordings. We also learned a lot from Ken Thomas while recording Agætis byrjun. He taught us that music is about a feeling and a mood rather than frequency and other bullshit. The brackets album was to a certain extent the most difficult. We had been playing the songs for so long and were tired of them when we went into the studio. It’s hard to be creative when you’re tired. We learned from this and have now gained a lot of important information which I think will benefit us in the future(Jónsi).

 

INTRO

 

Studi di Álafoss, Islanda: fucina del quarto album. Rock che vira verso una nuova pace interiore: questa è l’interpretazione della band.

Nessuna svolta leggera. Nemmeno una concessione in questo senso.

Takk – proprio come l’incipit eponimo – significa “grazie”. E questo grazie significa che la band di Jónsi ha coscienza d’aver animato un incanto, e che stupenda e femminina va a ringraziare quanti – non soltanto in Europa – si sono abbandonati alla meraviglia di questi suoni; e hanno lasciato fossero padri di immaginazione e pensieri nuovi, e di un ritrovato sorriso all’esistenza.

Non so quante volte avrei voluto gridare “grazie”, durante il concerto romano dell’estate del 2005. Non esisteva più passato e non esisteva più futuro: lo sguardo e l’anima erano concentrati soltanto su quel che stavo ascoltando, e quel che vedevo; ho testimoniato un rito pagano e purificatore, e avuto coscienza che quella era una delle ragioni per cui era valsa la pena vivere. Un’esperienza estetica del genere non credevo potesse avvenire – e dubito potrà ripetersi. Rimango in attesa – qui, nell’Eterna – di poter dire, da semplice ascoltatore, “grazie” a chi ha saputo catturarmi e trascinarmi via da tutto quel che vagabondava e s’annidava, infame o gentile o trascurato, nel mio spirito; perché voglio tornare a sentire quella musica di neo-Marsia. Che scortichi via il dolore e il rimpianto, tutto. E il passato.

Non so quanti concerti ho visto sino ad oggi, a questo punto – come altri fortunati drogati di musica, non posso più tenerne un catalogo. So che non avevo mai ascoltato e mai sentito niente del genere: sono uscito dall’Auditorium e ho pensato: ho messo un punto, questo è un sigillo; adesso sarà tutto diverso. Niente del genere, no, mai – e allora spalancate le porte al suono nuovo, tutti: al seducente postrock e alle sperimentazioni postindustriali di questi splendidi figli d’Islanda; invaghitevi dell’ipnotico canto di Jónsi, sospendevi nelle atmosfere sospese e incredibilmente rarefatte che questo sogno sa scolpire.

 

TAKK

 

Il principio è il pezzo eponimo, completamente strumentale: cristallo e ghiaccio che dolcemente si lascia incrinare dal sole: questa è un’alba di fuoco freddo, una prigione che ha orizzonti nuovi e non finestre sulle pareti; sei tu che decidi d’incatenarti e di sognare. È cosa buona e giusta. Entriamo in Glósóli. È un brano che ripete la fantastica tendenza alla progressione e all’esplosione delle musiche dei Sigur: provate a isolare il canto, e a sentire come guida perfetto la batteria e il basso. Gocce di poesia accompagnano l’ascoltatore sino alla catarsi; siamo attorno al quarto minuto – adesso si vola. Si vola davvero. E la batteria è micidiale, tirannica e prepotente; chitarra ruvida e distorta. Spettacolare. Chiudi gli occhi e dimmi che cosa stai vedendo. Adesso devi andare oltre. Immagina e scolpisci la visione nella realtà. Frantuma i limiti. Fulminati. Quindi il piano leggero e la melodia gentile di Hoppipolla, una volta ancora fiabesca e siderale; stavolta d’impatto e non di progressione; gioca sulla resistenza e la coesione del ritmo, e su graziosi intervalli, sostenuta dagli incendi di pazzia sentimento e ispirazione della voce di Jónsi. Ecco Meo Blódnasir, breve ripresa lirica ed elegiaca. Sé Lest s’apre per suoni e distorsioni, a scandire un nuovo momento dell’album; quindi la dolcezza degli xilofoni s’accosta come acqua al piano, poco a poco si intravedono immagini solari e si percepiscono colori accesi e vivi (questi sono segreti di terre sconosciute); il canto incide puro e bianchissimo ed è neve che irriverente scivola su una distesa di verde che non conosce intervallo. Qui vivono sirene e folletti e sanno d’appartenere alla stessa razza.

L’irregolare battito di un cuore misterioso annuncia la dissolvenza – affidata, mantenendo struttura circolare, a xilofoni, piano e genio di Jónsi; e a una grottesca musica da orchestrina, giullaresca e allegra; ancora pioggia e suggestione, stacco.

Saeglopur, il sesto brano, è la dimostrazione dell’interiorizzata lezione della prog, e della sua interpretazione geyser, amalgama di tenerezza e furore, della band della Rosa della Vittoria. Il crescendo è micidiale e una volta ancora fondato sull’imponente batteria del talentuoso Orri Dyrason, detto The Animal; non è rabbia ma naturalezza nell’elevazione, nell’innalzamento al di là dei generi e delle tendenze: nella pura espressione di sé, e della propria musica. Lirico il momento solo piano, distorsione e voce, attorno e a partire dal quinto minuto. Milanó nasce, come fenice, sulle ceneri di Takk: è una ripresa e una distensione dell’atmosfera e dei suoni già respirati e interiorizzati nella prima traccia. Al carillon si fonde la voce luciferina di Jónsi. Una volta ancora, superba progressione, dopo sette minuti di attesa; implosione, liberazione, rigenerazione. Gong è una ballata adorabile – va, come ponte, ad accompagnare l’album verso l’epilogo. La malinconia si sprigiona in Andvari – quel che appare come una placida ripresa dello spirito del brano precedente si va rivelando come un lento dall’impatto micidiale, sgretolapensieri e disintegrabuio. Non potrà non essere amata da chi aveva apprezzato i momenti più intensi e intimisti dei dischi precedenti. È un male necessario: scardina e ricostituisce. Davvero miracolosa. Svo Hljott è una fiaba di folletti ed elfi, magia sottratta al paese delle fate; va considerata come una pietra preziosa che si risveglia e si ritrova, una mattina e senza nessun senso apparente, su una spiaggia bambina; è bene danzargli intorno prima di considerare l’idea di impadronirsene, e lasciarla scintillare; perché in quei riflessi si scoprono sentimenti puri, si va intuendo limpido amore per l’esistenza, e ci si nasconde per le fronde della sapienza di pensieri sempreverdi. Tutto qui. E il crescendo spaventa e concilia lo spirito a tornare all’azione.

Heysátan è un gospel islandese: così si conclude Takk.

È postrock e musica sinfonica evoluta, poesia e misticismo, Friedrich ibridato da Schiele: un album degno di completare la discografia di una band cosciente d’essere maestra e matrice d’un’era nuova nel rock. Mostruosi. 

 

 For us, music is the magic that happens in a moment. If you start dissecting it then you might spoil it. Sometimes you can discover new facets in music by talking in a superficial way about it but as soon as you try to get any deeper than that, you’re in trouble. After all, things that are dissected usually need to be dead first” (Georg Holm).

 

 

SIGUR RÓS

Jón þór Birgisson (Jónsi) – voice, guitar, keyboards. 23/04/1975.

Kjartan Sveinsson (Kjarri) – piano, keyboards, guitar, flute. 02/01/1978.

Georg Hólm (Goggi) – bass, glockenspiel, keyboards. 06/04/1976.

Orri Páll Dýrason (The Animal) – drums, keyboards. 04/07/1977.

 

DISCOGRAFIA ESSENZIALE e BREVI NOTE

 

Takk, Geffen, 2005.

(), MCA, 2002.

Ágaetis Byrjun, Bad Taste, 1999.

Von, Sm, 1997.

 

Islanda, 1994. Nascono i Sigur Rós. Fondatori sono gli allora adolescenti Jón þór Birgisson, Georg Hólm e Águst. Quindi si unì alla Rosa Kjartan Sveinsson. Orri Páll Dýrason ha preso il posto del primo batterista della band, Águst, dopo l’incisione del secondo album, Ágaetis Byrjun.

 

Jón þór Birgisson ha fatto parte di altre band: gli Stoned (1992-1993), una band grunge islandese, e i Bee Spiders (1995, con Kjartan Sveinsson).

Nel giugno 2000, la band ha suonato a sorpresa in un negozio di dischi di Reykjavik, presentandosi come WHM (“We Hate Music”).

 

Fonte delle informazioni biodiscografiche e dei testi: Sito Ufficiale / Always On The Run.

Approfondimento in rete: Sito italiano non ufficiale / Ondarock / Pitchforkmedia.

Sigur in Lankelot: Von, Agaetis Byrjun e (), a cura di GF.

 

 

Gianfranco Franchi, “Lankelot”

 

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