Fight Club
Fight Club è un film molto complesso e ambiguo e si basa sul sorprendente libro di Chuck Palanhiuk. Lo scrittore si inventa un nuovo modo di scrivere, fatto di ripetizioni, di tagli, di nomi esoterici legati alla medicina, di nozioni utili se si vogliono fabbricare esplosivi. Chuck ha un talento letterario unico. Scava dentro la nostra società (consumistica) e si insinua in quei luoghi bui e molte volte nascosti, quegli antri oscuri in cui si ripiegano le incongruenze del mondo in cui viviamo. Chuck ci fa entrare in questi luoghi: gli incontri tra malati terminali, il lavoro delle compagnie automobilistiche durante gli incidenti, la costruzione di esplosivi. Il protagonista del libro si ritrova invischiato in una vita che non sente più propria. Schiavo del lavoro, degli oggetti, delle cose che ha intorno e di cui non ha bisogno.
Le cose che possiedi alla fine ti possiedono – dice Tyler Durden. Ed è vero. Quella del protagonista è una rivoluzione. Di tipo anarchico e masochista.
La violenza dei fight club è un’implosione-esplosione della propria rabbia. Implosione perché all’inizio il protagonista picchia se stesso, esplosione perché nei combattimenti la rabbia repressa si tramuta in una nuova forza generatrice. Nel libro vengono toccati i più disparati argomenti, che però sono illuminati tutti da una nuova luce, da un nuovo punto di vista. Il merito di David Fincher è stato quello di riuscire a tradurre in un linguaggio cinematografico non banale l’originale impatto narrativo di Chuck e a trasformare in invenzioni visive molte di quelle letterarie.
Fincher si sofferma sugli oggetti, li studia, ci scava dentro, molte volte non li riconosciamo finché la macchina da presa non si stacca da loro e li riporta al normale rapporto che hanno con la realtà. Molto interessanti sono le riprese dell’immondizia come se fosse un sistema planetario o anche la spiegazione del cambio della pellicola in cui Tyler infila fotogrammi del suo pene.
L’ambiguità del film e del libro si creano soprattutto nel messagio e nel tema del doppio. Alla fine non è ben chiaro cosa il film ci voglia comunicare. La rivoluzione partita da Tyler si trasforma in una sorta di lotta reazionara che riguarda soprattutto le altre persone che seguono i suoi ordini. Come scimmie spaziali. Come automi che non hanno più una loro libertà. Forse la libertà va cercata all’interno di una costrizione. Questo è un tema che lo scrittore tratta in un altro suo libro, Survivor. Il tema del doppio invece si risolve forse in maniera troppo banale. Visivamente. Mentre in realtà nella sua sostanza rimane molto interessante. Soprattutto perché viene descritta la schizofrenia di una persona. O anche la proiezione dei propri sogni, delle proprie frustazioni e della rabbia repressa per una vita di merda. Anche nel libro il finale, che è leggermente diverso da quello del film, rimane aperto. Ma credo che il messaggio vada cercato nell’insieme delle cose. Nella miriade di informazioni, nuove angolazioni, aperture di senso che il libro offre.
La regia di David Fincher lavora in maniera ottima nella prima parte del film andando però perdendosi nella seconda, soprattutto da quando viene svelata la vera natura di Tyler Durden. Comunque sia l’immagine finale con i palazzi che crollano è da brividi, soprattutto se pensiamo a quanto è successo alle Twin Towers.
Quello di Fight Club è un tentativo di rivolta, spirituale prima di tutto e poi anche materiale. E’ anarchico perché si fa portavoce di una distruzione per il ristabilimento di un nuovo ordine. E’ masochista perché parte dalla conoscenza del dolore come conoscenza di se stessi. E’ un lungo viaggio verso il fondo, unico modo per capire realmente chi siamo.
Gli attori sono tutti molto bravi soprattutto Helena Bonham Carter e Edward Norton che caratterizzano perfettamente i loro personaggi. Comunque un consiglio, se vi è piaciuto il film leggetevi assolutamente il libro.
Scoprirete un grande autore.
E ricordatevi che mettersi le penne nel culo non farà di voi una gallina.
Emiliano Bertocchi